Punk is Pink, report da Frieze

Il tema centrale dell’ultima edizione di Frieze, la kermesse londinese d’arte contemporanea, è stato il dibattito sul corpo, declinato in un fitto percorso di proposte artistiche dentro e fuori dalla fiera.

Georgina Starr, Frieze Projects 2017 Photo by Lewis Ronald. Courtesy of Lewis Ronald/Frieze

Una fiera come Frieze Art Fair non è solo un osservatorio sulle tendenze estetiche attuali, ma può generare attenzione su svariate relazioni che l’arte contemporanea intesse nella nostra cultura e società. Il vero protagonista di questa edizione della fiera è il corpo. Un corpo in lotta per le sue diverse definizioni, la cui presenza si contrappone a una società distaccata dalla fisicità e dal contatto. Ritroviamo questo tema in un fitto percorso di proposte artistiche che si esprimono attraverso svariati media tra cui la performance, che rimane uno strumento fondamentale dell’urgenza espressiva connessa alle dinamiche identitarie.

Il collettivo Superflex utilizza lo spazio della Turbine Hall per creare un’installazione non solo da guardare, ma da attraversare con il proprio corpo. All’ingresso, un gigante pendolo oscilla su un pavimento dai mille colori per poi lasciare spazio, oltre il ponte di mezzo che delimita lo spazio architettonico, a una struttura a ragno composta di svariate altalene immerse in una luce artificiale che emerge dall’oscurità. La prima reazione fisica del visitatore è di concedersi immediatamente al gioco e di attivare, con il proprio peso gravitazionale, le altalene al fine di reiterare il movimento del pendolo che altro non è se non il costante e inevitabile passaggio del tempo. Attraverso un’associazione fisica, il gioco inconsapevole dell’infanzia assume un aspetto diverso, a tratti inquietante, e rende gli spettatori partecipi del meccanismo temporale cui è impossibile resistere.

Poco distante dalla Tate Modern, l’artista Eddie Peake attiva la dimensione di una piazza nel cortile anteriore della galleria White Cube di Bermondsey. Peake propone una partitura coreografica: due corpi femminili e due corpi maschili si impongono nello spazio di un grande rettangolo vuoto con attorno il pubblico. L’artista è presente sulla “scena-piazza” mentre campiona alla console suoni e parole, creando un altro linguaggio che si sovrappone ai movimenti dei performer che a volte simulano azioni sessualmente allusive, altre volte percorrono lo spazio con una gestualità amplificata.

Come ogni anno, la David Roberts Art Foundation di Camden celebra la performance con una serata speciale. Questa volta, si è trattato di un “Gran ballo” all’interno del celebre KOKO, una sala da concerto con un palco centrale e una gigantesca mirror ball che pende dal soffitto. Una grande quantità di pubblico si disperde su quattro piani tra la platea, i palchi centrali e laterali. Più di 80 performer alternano suoni, canti, azioni, balli, costumi, luci e molto altro. Impossibile descrivere quello che accade ovunque ed elencare con precisione le singole identità che diventano un unico corpo espanso. Si tratta di una sorta di inversione carnevalesca contemporanea che sconvolge il palcoscenico di un vecchio teatro con l’energia dispersa della performance.

Marvin Gaye Chetwynd con MEGA HAMMER, An Evening of Performances + DRAF 10th Anniversary Party at KOKO. Photo Max Colson

Pochi giorni dopo, all’interno della grande tenda di Frieze a Regent Park il tema del corpo riemerge con forza. Quest’anno si presenta una specifica sezione intitolata “Sex Work: Feminist Art and Radical Politics” a cura di Alison M. Gingeras. Un gruppo compatto di gallerie mostra i lavori di Dorothy Iannone (Air de Paris), Marilyn Minter (Regen Project, Salon 94, Baldwin Gallery), Penny Slinger (Blum&Poe), Judith Bernstein (The Box, Karma International) Betty Tompkins (Andrea Caratsch), Mary Beth Edelson (David Lewis), Natalia LL (local_30), Renate Bertlmann (Richard Saltoun), e Birgit Jürgenssen (Hubert Winter). In questa sezione, il corpo della donna si scontra con gli stereotipi della società eterosessista. Le artiste menzionate sono vere e pioniere del femminismo e, attraverso i loro lavori, hanno prodotto e continuano a produrre un denso dibattito estetico e teorico attorno alla figura della donna. Nella sezione “Sex Work” troviamo alcune opere per la prima volta disponibili sul mercato, perché inizialmente non erano state concepite per finalità commerciali. Gli echi della rivoluzione femminista degli anni Settanta entrano adesso a pieno titolo nel sistema dell’arte e nella circuitazione fieristica, aprendo un questionamento interno sul rapporto tra la politica del corpo e la sua mercificazione.

Il corpo, come strumento di rivendicazione e linguaggio di lotta, è anche in THE SPIT! (Sodomites, Pervets, Inverts Together) di Carlos Motta, John Arthur Peetz e Carlos Maria Romero. Gli artisti scelgono di portare nel tendone della fiera la voce di una rivoluzione che guarda al passato, ma pensa al futuro. Attraverso la ricompilazione di alcuni manifesti a tematica queer e la stesura di cinque nuovi manifesti, The SPIT! dichiara guerra a coloro che non si sentono diversi e rivendica una non-assimilazione alla massa. Nello spazio-piazza tra il ristorante e la VIP Lounge, una sedia di legno diventa l’oggetto attraverso cui esercitare il potere della parola.  Su questo podio improvvisato si alterna un gruppo di performer attivi sulla scena queer di Londra che gridano le parole e mimano i gesti dei Manifesto contrapponendosi mentalmente e fisicamente ai rumori e agli abiti del pubblico dell’arte.

Il dibattito sul corpo continua nei lavori di molti artisti in altre sezioni della fiera. Per esempio, l’artista Lili Reynaud-Dewar (Emanuel Layr) stampa su tessuto alcuni statement intitolandoli con i ruoli di diversi partecipanti al sistema (curator, museum staff, activist artist…). Nell’opera Small Tragic Opera of Things and Bodies in the Museum le parole degli statement della Reynaud-Dewar sono recitate da una voce e indossate da manichini o esposte come vestiti intrappolati tra lastre di vetro.

Il linguaggio e il corpo sono anche i temi centrali del video di Paul Maheke Seeking After the Fully Grown Dancer *deep within* (Sultana), in cui l’artista esegue una partitura coreografica che s’interpone alla presenza comunicativa ed evocativa di una sottotitolatura in assenza di suono.

Paul Maheke, Seeking After the Fully Grown Dancer *deep within*, 2016, 13,30. Photo Life Long Burning. Courtesy of Galerie Sultana

Infine, con Androgynous Egg di Georgina Starr ritorniamo dentro un piccolo teatro all’interno della fiera. Questa volta le architetture effimere sono color pastello e forti luci illuminano un gruppo di donne che indossano abiti eccentrici. Una di loro è presente solo con la testa appoggiata a un tavolo e la sua voce orchestra i movimenti delle altre. Una grande gomma da masticare rosa e un sipario fatto di uova sono altri elementi che si aggiungono a questa nuova dimensione fisica e viscerale che, invece d’imporsi con un linguaggio specifico, sembra ricrearne uno del tutto nuovo.

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