Soft Power. Arte Brazil

Partendo dai contrasti della società brasiliana, la collettiva al KADE di Amersfoort concentra 40 artisti impegnati nel trattare spinose questioni politiche attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea.

Iniziale dell’economicamente promettente acronimo BRICS, il Brasile non è noto solo per la propria energia informale e la propria pulsione modernista, ma anche – e soprattutto – per la tensione che ci sta in mezzo. È proprio a partire dai molti contrasti della società brasiliana, esasperati da dispendiose vetrine internazionali come i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016, che parte la ricerca curatoriale dietro a “Soft Power”, la collettiva ospitata dal KADE di Amersfoort.

Soft Power, vista della mostra

Il titolo proviene dal celebre concetto teorizzato dall’americano Joseph S. Nye Jr., secondo cui il comportamento altrui può essere influenzato in maniera indiretta, tramite il lavoro sul proprio carisma nazionale, per esempio. Ma la mostra non si riferisce al tipo di soft power che mette il Brasile nelle classifica annuale di Monocle, quanto piuttosto all’approccio degli artisti esposti – una quarantina, tra locali e ospiti – nel trattare spinose questioni politiche attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea. In questo senso, mette insieme un eterogeneo, ma equilibrato, mix tra opere di forte impatto grafico e altre di più complessa digestione.

Haas en Hahn, Favela Painting, favela Vila Cruzeiro, Rio de Janeiro, 2016. Photo Udo Feitsma

Lo si capisce già dalla prima sala. Un’amaca e un chioschetto equipaggiato con una varietà di tè forniti dal collettivo carioca Opavivará! celebrano lo stile di vita indigeno, insieme ai colorati oggetti intessuti da Maria Nepomuceno, ma una bandiera bianca e nera appesa da Roberto Winter domina lo spazio dall’alto. Vi si legge: “8 ore di lavoro, 8 ore di ricreazione, 8 ore di riposo” e suona un po’ come una rivendicazione. La resistenza verso chi minaccia il vivere brasiliano diventa anche più esplicita nell’opera di Jonathas de Andrade, la cui installazione (composta da foto e testi) documenta una performance realizzata a Recife: avendo il governo bandito l’uso dei cavalli per trainare i carretti dei venditori ambulanti, privando migliaia di persone di un lavoro, l’artista mette in scene una gara per legittimarne la presenza sullo spazio pubblico come opera d’arte.

Opavivará!, Self Service Pajé

Il tema della protesta ricorre anche nelle altre sale e, nel caso di Frente 3 de Fevereiro, riguarda razzismo e violenza della polizia. L’opera del collettivo è presentata in un video, ma le azioni sono radicate nello spazio pubblico. I loro slogan (“Dove sono i neri?”, “Salvate il Brasile nero”) appaiono infatti su gigantesche bandiere esposte allo stadio, luogo di forte confronto sociale. Anche nel resto della mostra, l’utilizzo dei linguaggi dell’attivismo si nota sia nell’abbondanza di collettivi che di manifesti: quelli di Grafica Fidalga, realizzati con tecniche tipografiche tradizionali, tappezzano l’intera parete di fianco all'entrata, mentre altri dal design più minimale e digitale a opera di Poro, altro gruppo al confine tra comunicazione artistica e pubblica, trovano posto nei corridoi ai lati della sala principale. Entrambe le serie vanno dal politico al poetico e si basano su slogan (“Più amore per favore”, “Cucinare è un atto rivoluzionario”), ma altrove non mancano forme di decorazione più o meno astratte.

Haas & Hahn, Favela Painting

Restando in “tema muri”, infatti, da una parte troviamo il connubio tra modernismo ed eredità coloniale portoghese rappresentato dalle piastrelle bianche e blu disegnate da Athos Bulcão, ex collaboratore di Niemeyer a Brasilia; dall’altra parte, gli intricati paesaggi murali figurativi di Sandra Cinto, che trasforma intere pareti in tempestosi oceani alla Murakami. A metà strada, una rampa di scale variopinta ci ricorda i famosi Favela Paintings degli olandesi Haas & Hahn, la cui impressionante trasformazione d’intere aree urbane informali in monumentali dipinti è documentata in un video di fronte.

Sandra Cinto, Open Sea, 2010-2015

I conflitti urbani non sono l’unico aspetto degno di nota di un paese grande e complesso come il Brasile, dove multiculturalismo non significa soltanto multietnicità. Nel documentario Sérgio e Simone (2007-2014), Virginia de Medeiros esplora infatti il tema dell’identità religiosa e sessuale, documentando la doppia vita di un travestito praticante del Candomblé (religione afro-brasiliana) che è anche un predicatore evangelico. Nelle opere di Paulo Nazareth il personale riguarda invece l’artista stesso come parte di un circuito globale; organizzando una propria biennale nella favela Veneza o camminando a piedi fino ad Art Basel l’artista commenta l’asimmetria del mercato e dell’infrastruttura istituzionale.

Maria Nepomuceno, Oferenda aos deuses das cores, 2015

È proprio il posto del Brasile nell’immaginario e nella storia a interessare l’argentina Carla Zaccagnini, che prova a catturarne le promesse non mantenute nella serie Evidências de uma farsa (2011), dove ne espone il cieco ottimismo tramite vecchie copertine di Times e dell’Economist affiancate a un montaggio video con alcuni pappagalli animati. Anche altri artisti preferiscono concentrarsi su singole figure e immagini: Arthur Scovino guarda al passato e alla figura di Caboclo, eroe della guerra d’indipendenza nel nord del Brasile tuttora venerato in una fiera annuale a Salvador de Bahia, mentre il duo Chameckilerner si concentra su un singolo culo in preda a un forsennato tremolìo da samba, al rallentatore. Ma uno dei lavori più ipnotici e misteriosi è il video di Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, O Século (2011): vi si vede una strada ripresa dall’altro, gradualmente investita da una valanga insensata di oggetti che piano la ricoprono, per poi scomparire e riprendere dall’altro lato.

Efrain Almeida, Hummingbirds, 2014.

Per varietà e qualità “Soft Power” non delude, ed è anzi un’ottima ragione per visitare un museo un po’ fuori dal solito loop artistico Amsterdam-Rotterdam. Inoltre gli spazi stessi del Kade ben si prestano a ospitare un roaster di opere così eterogeneo, grazie all’alternarsi di spazi ampi e luminosi per le installazioni, stanzette relativamente intime per i video e corridoi ideali per i poster. Al di là del titolo, in definitiva, si può dire che il ritratto brasiliano che ne esce è senz’altro affascinante.

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fino al 28 agosto 2016
Soft Power
Kunsthal KADE
Eemplein 77, Amersfoort