Un art pauvre

Coinvolgendo tutto il Centre Pompidou, la mostra “Un art pauvre” presenta un ventaglio di pratiche artistiche – arte, design, cinema, musica e live performance – accomunate dall’idea di “povero”.

La mostra estiva del Centre Pompidou dal titolo “Un art pauvre” è una manifestazione inedita nella sua organizzazione multidisciplinare, che coinvolge il museo nella sua totalità presentando un ventaglio di pratiche artistiche – dall’arte al design, dal cinema alla musica e alla live performance – il cui terreno d’incontro è rappresentato dall’idea di “povero”. Vi trovano spazio: una giornata di studi dedicata all’Arte Povera, sessioni di film d’artista e documenti d’archivio, due video sul Cretto di Alberto Burri a Gibellina, girate una dal compositore Thierry De Mey e l’altra dall’artista Raphaël Zarka.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

E ancora una partnership con il Festival dell’IRCAM per l’arte e l’innovazione tecnologica, una sezione dedicata alla composizione musicale, anch’essa centrata sul concetto di “povero”, che include autori come Beat Furrer e Salvatore Sciarrino. Per la danza, in tre week-end si alterneranno negli spazi del museo coreografi come Thomas Hauert, la compagnia Grand Magasin, Marius Schaffter e Jérôme Stünzi. 

Riccardo Dalisi, Animazione al Rione Traiano, 1971-1975. © Archivio Dalisi

Per quanto riguarda le opere esposte, si fa principalmente riferimento al periodo che abbraccia la nascita e la consacrazione del movimento che ha preso il nome di Arte Povera: gli anni Sessanta e i primi Settanta. Così all’inizio del percorso incontriamo la scultura murale di Mario Merz Coccodrillo con progressione di Fibonacci (1972), mentre l’esposizione principale alla galerie 4 presenta, dopo un’introduzione con superfici acrome di Manzoni, combustioni di Burri e tagli di Fontana, un nucleo importante, appartenente alla collezione permanente del Centre Pompidou, di opere di tutti gli esponenti del movimento.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

Uno degli aspetti di maggior interesse della manifestazione nel suo insieme rimane tuttavia la messa in relazione di queste opere con un altro nucleo importante, anch’esso parte della collezione permanente del Centre Pompidou, ospitato in quest’occasione al quinto piano: la mostra “Architecture et design. Autor de Global Tools (1973-75)”. Ettore Sottsass, che della scuola di contro-design, come venne definita la Global Tools, fu il presidente, Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, Riccardo Dalisi, Lapo Binazzi, Franco Raggi, formatisi tutti come architetti, hanno finito per dare un contributo fondamentale nell’ambito delle arti visive partendo da presupposti che con certi assunti dei poveristi condividono un buon grado di identità. Com’è noto entrambi i movimenti sono stati tenuti a battesimo dal critico Germano Celant che, dopo aver coniato il termine Arte Povera per il gruppo di matrice torinese, inventa anche quello di Architettura Radicale per gli architetti, non unicamente ma spesso, fiorentini, almeno di educazione.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

È tuttavia un caso molto raro poter vedere, solo per citare alcune delle molte esposte, opere come: Igloo di Giap (Merz, 1968), Penne di Esopo (Pascali, 1968), Soffio 6 (Penone, 1978) o il celebre Senza titolo del 1968 di Anselmo in cui un blocco di granito sembra stia fagocitando un cespo di lattuga, quasi congiuntamente a lavori di esponenti del Radicale quali la Tecnica Povera di Dalisi con la sua Sedia in cartapesta (1973), o i Modelli delle abitazioni verticali (1975) realizzati da un Michele De Lucchi ancora studente della facoltà di Firenze. E anche, sempre di Dalisi, le immagini del suo lavoro svolto nelle periferie di Napoli come l’Animazione del Rione Traiano (1971-75), i progetti Archizoom di Gazebi ideati per “Pianeta Fresco” (1967), i Disegni per i destini dell’uomo (1973), lavori di Sottsass, frutto delle sue peregrinazioni in zone desertiche della Spagna e, a dominare la sala, la grande installazione di Gianni Pettena Wearable chairs frutto della performance svolta negli Stati Uniti (1971). I Poveristi e i Radicali sono stati accomunati dall’esaltazione del carattere empirico della loro ricerca che rendeva esperibile, fisicizzabile, nell’oggetto-opera il processo di pensiero che ne era all’origine. Hanno posto in essere un dialogo vivace tra la dimensione materiale e quella immateriale del fare artistico, preteso un’inedita contiguità tra il corpo e l’ambiente come in un sistema di vasi comunicanti.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

Esponenti Poveristi e Radicali si erano incrociati in alcune manifestazioni artistiche italiane del tempo – il Premio Masaccio di San Giovanni Valdarno nel ’68, “Campo Urbano” a Como e “Al di là della pittura” a San Benedetto del Tronto nel ’69. Sono stati successivamente separati dalla fortuna critica, indiscutibilmente più ampia per l’Arte Povera, e ri-accomunati da sistematizzazioni teoriche che, paradossalmente, fatte debite eccezioni, sono comunque state più feconde all’estero che non in patria. “Live in Your Head. When Attitudes Become Form”, curata da Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna nel ’69, è la mostra che consacra l’Arte Povera così come per il Radicale sono la mostra del ’72 al MoMA “Italy the New Domestic Landscape” curata da Emilio Ambasz e l’opera di riconoscimento da parte di istituzioni museali quali il Frac Centre di Orléans e per l’appunto il Centre Pompidou a rendere giustizia a un movimento che in Italia solo molto recentemente sta suscitando l’attenzione e l’interesse che avrebbe più giustamente meritato in passato. L’accorta opera di acquisizione degli ultimi anni del Centro Pecci e la mostra di Superstudio attualmente in corso al MAXXI ne sono un esempio.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

“Architecture et design. Autor de Global Tools” presenta anche alcune fotografie e documenti inediti che raccontano di un altro terreno di incontro comune alle due realtà: il Seminario Verticale autogestito da studenti della facoltà di Architettura di Firenze. Nell’ambito di questo, Gianni Pettena (allora giovane docente, appena rientrato in Italia dopo essere stato Artist in residence tra gli altri al Minneapolis College of Arts, poco dopo che il Walker Art Centre nella stessa città aveva dedicato una personale al poverista Pistoletto), fece intervenire a metà anni Settanta alcuni dei più autorevoli esponenti dell’Arte Povera come Mario Merz, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Luciano Fabro, mettendoli in relazione al proprio lavoro e a quello dei Radicali.

Vista della mostra “Un art pauvre”, Centre Pompidou

Non ultimo elemento a denotare una certa empatia tra le due realtà fu la capacità di comprensione critica del processo artistico allora in atto. Fu per esempio di Ettore Sottsass, indiscusso padre ispiratore del Radicale italiano, la prima lettura, che giustamente svincolava i Quadri Specchianti di Pistoletto, qui in mostra alla galerie 4 nel nucleo dei poveristi, dalla componente Pop all’interno della quale erano stati erroneamente fino a quel momento letti (Sonnabend e Friedman). Sottsass dalle pagine di Domus (n. 414, 1964) a proposito dei lavori di Pistoletto parla di “vecchia ulcera europea” con una matrice diversa da quella della Pop americana “da ricercarsi tra Kafka e Metropolis, tra Céline e Artaud, tra l’angoscia dell’anonimità e quella dell’attesa della realizzazione del sé”. Non rimane che augurarsi che del felice esperimento parigino l’Italia trovi presto la forza per una replica.

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fino al 29 agosto 2016
Un art pauvre
Centre Pompidou, Parigi
Curatore: Frédéric Paul