Hito Steyerl: Duty-Free Art

Ogni mostra è per la videoartista tedesca Hito Steyerl l’occasione per riflettere sul mondo e sui suoi assetti attuali. Come la recente “Duty-Free Art” a Madrid.

“Campi di battaglia”: questo sono, per Hito Steyerl, i luoghi dell’arte; musei compresi. E come tali l’artista li tratta. Ogni sua opera, ogni mostra è occasione di una riflessione intransigente sul mondo e sui suoi assetti attuali; una riflessione che è anche una forma di attivismo critico, e di guerriglia intellettuale.

Le opere di questa filmmaker e videoartista tedesca, tra le maggiori figure dell’arte internazionale, sono per lo più installazioni incentrate su film realizzati coniugando il linguaggio del documentario e quello dell’animazione; del resto, proprio dall’ambito del cinema documentario Steyerl ha preso le mosse, per poi smontarlo in maniera analitica e radicale.

Nella maggior parte dei casi il punto di partenza è una conferenza-performance dal ritmo incalzante in cui, leggendo un testo, l’artista interagisce con l’uso live di immagini e video. La costruzione del testo e l’editing delle immagini, vanno di pari passo. Le lecture/performance sono poi registrate e diventano parte integrante dei film e delle videoinstallazioni.

Vista della recente mostra “Duty-Free Art” al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid

Il lucidissimo sguardo di Hito Steyerl si appunta sulle componenti principali del mondo attuale; sull’ipercomunicazione, anzitutto, che ha trasformato il mondo in una rete; e sulla quantità di dati e di immagini che proliferano fino a sommergerci; sul flusso ininterrotto di informazioni che, filtrate, svuotate, progressivamente ridotte a slogan, ci vengono somministrate ogni giorno, senza che per questo noi siamo realmente informati; e poi sulla speculazione finanziaria e sui temi della precarietà, del controllo, della sorveglianza; e sulla crescente militarizzazione della società, con il mercato degli armamenti che fiorisce e le armi che viaggiano, e passano di guerra in guerra, e infiltrano la società intera; le armi ad uso bellico, ma anche quelle più maneggevoli, che sono state una delle “grandi” invenzioni dell’uomo: grazie ad esse chiunque può uccidere chiunque; è “la violenza della democrazia, e la democratizzazione della violenza”, sintetizza l’artista in una delle sue opere.

Vista della recente mostra “Duty-Free Art” al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid

Il ritmo delle opere di Steyerl è incalzante. I testi brevi e rapidi, incisivi, costruiti per associazione di idee, nascono dall’idea che il montaggio corrisponda a una modalità del pensiero.

Le immagini che l’artista sceglie e processa sono le medesime che, dai videoclip ai videogiochi, passano di mano in mano e occupano l’immaginazione dei giovani: immagini attraenti e seducenti, che però Steyerl considera sia per la loro origine e modalità di produzione, sia in quanto merce, e usa per raccontare il mondo dominato da un’economia neoliberale fluida, opaca.

Vista della recente mostra “Duty-Free Art” al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid

Per l’artista ogni storia, per quanto individuale sia, va inserita in un contesto più ampio. Per questo, nelle sue opere, vicende singolari e paradigmatiche si intersecano con fenomeni globali, e situazioni personali si intrecciano con considerazioni di ordine e politico filosofico.

La recente mostra “Duty-Free Art” del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid ha presentato un numero consistente delle sue opere; da Strike, del 2010, che affronta il tema dello schermo nella sua fisicità, a In Free Fall, sempre del 2010, in cui Steyerl traccia la biografia di un oggetto, l’aereo Boeing 707, dalla sua creazione fino all’incidente che ne determina la caduta, e al riassemblaggio che ne rimette in circolazione le parti. Le tortuosità di questa storia corrispondono a quelle della geopolitica e dei rapporti transnazionali.

Vista della recente mostra “Duty-Free Art” al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid

Tra le opere esposte c’è anche Guards, del 2012, che ha per protagonisti alcuni addetti alla sicurezza dell’Art Institute di Chicago con alle spalle carriere militari. Muovendosi nelle sale del museo, gli uomini raccontano le loro esperienze passate, mentre una serie di proiezioni li accompagna nella simulazione di un’azione. E c’è How Not To Be Seen. A Fucking Didactic Educational. Mov File, realizzato per la Biennale di Venezia 2013, che si configura come un beffardo insieme di istruzioni, con tanto di dimostrazioni e simulazioni virtuali, su come raggiungere l’invisibilità nell’era digitale. E Liquidity, del 2014, che racconta l’emblematica vicenda di un ex consulente finanziario reinventatosi esperto di arti marziali dopo la crisi economica mondiale. Anche in quest’opera, incorporando ricerca visiva e teorizzazioni filosofico-esistenziali, l’artista propone una riflessione globale sul concetto di liquidità; perché “il clima è tempo”, “il tempo è denaro”, “il denaro è liquido”, “le correnti possono cambiare”.

Vista della recente mostra “Duty-Free Art” al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid

Così, con rara lucidità critica e con lo sguardo sempre rivolto alla mappa e ai territori, Steyerl gioca sulla dialettica tra visibile e invisibile, tra l’evidente e il rimosso, tra violenza estetica e violenza bellica; e, facendolo, smaschera le contraddizioni del mondo globalizzato e i suoi occulti meccanismi.

Senza dimenticare il mondo delle arti visive contemporanee, anch’esso connesso alle tematiche socio-politiche e compromesso in relazione assai pericolose: se mercato delle armi ed economia neoliberale vanno di pari passo, le arti, legate come sono alle strategie di accumulo economico e di speculazione finanziaria – le medesime che stanno dietro le guerre – e sempre più intese in termini di intrattenimento, di spettacolo, di industria culturale, cosa sono diventate? E come stupirsi che il museo, invece che luogo di emancipazione, sia diventato un fortino difeso e militarizzato? E che fare, se non viverlo in maniera critica, e cercare di superare di nuovo l’impasse tornando a considerarlo sede di una continua ricerca?

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