The Enclave

Il docufilm di Richard Mosse al Padiglione irlandese della Biennale di Venezia sfrutta le possibilità del genere per mettere in scena, da artista, l'orrore.

Richard Mosse, The Enclave, Biennale 2013
L’impotenza che si prova di fronte alla brutalità disumana, è difficile da narrare: sia attraverso il racconto verbale sia attraverso la documentazione. Questa ineffabile percezione è ciò che probabilmente ha spinto e costretto Richard Mosse a realizzare The Enclave, progetto che rappresenta il padiglione irlandese a questa 55. Biennale di Venezia. Richard Mosse, classe 1980, ha trascorso il 2012 nel Congo orientale assieme al videomaker Trevor Tweeten e al compositore Ben Frost.
Pur essendosi spacciati per giornalisti, con la loro incursione nelle zone presidiate da gruppi armati ribelli, hanno avuto un’attitudine e una selettività nel catturare gli scenari reali che si separa volutamente dalla narrazione giornalistica, finalizzata a restituire la veridicità di un fatto. Sono invece ricorsi a espedienti linguistici opposti, che esplodono in una fusione di immagini fotografiche, suoni e film.
Richard Mosse, The Enclave, Biennale 2013
In apertura: Still from ‘The Enclave’, shot on 16mm color infrared film in Eastern Congo, by Richard Mosse, 2012. A rebel from the M23 movement stands watch in Virunga National Park, North Kivu, November 2012. Qui sopra: Still from ‘The Enclave’, shot on 16mm color infrared film in Eastern Congo, by Richard Mosse, 2012. A column of M23 rebels maneuvers through undergrowth in Virunga National Park, North Kivu, November 2012.

The Enclave si compone di sei schermi, inseriti all’interno della stanza in maniera non casuale: in posizioni sghembe, decentrate, asimmetriche, compongono un paesaggio performativo, esasperato dal machismo delle presenze umane (tra cui quelle di guerriglieri bambini che imbracciano armi), e dal cinismo dell’osservatore di fronte alla telecamera.

Quello che attira di questa sequenza d’immagini in movimento è la costante presenza di una palette di colori tarata sul rosa acceso, che sembra sostituire tutto il verde circostante, il camouflage dei soldati, gli alberi, i cespugli e la savana sullo sfondo.

Una tinta irreale, generata dalla tecnica di ripresa che registra l’invisibile spettro della luce a infrarossi e stride di fronte al cupo presagio suggerito dalle ambientazioni. La stessa tecnica, peraltro, utilizzata fino a dieci anni fa sul fronte di guerra, per stanare il soldato mimetizzato nel paesaggio.

Richard Mosse, The Enclave, 2013. Biennale 2013
Still from ‘The Enclave’, shot on 16mm color infrared film in Eastern Congo, by Richard Mosse, 2012. Internally displaced people (IDPs) form a crowd at Rubaya, South Masisi, North Kivu. Most of these IDPs are Hutus fleeing ethnically targeted massacres carried out by the Raiya Mutomboki (meaning angry citizens), a loose inter-tribal anti-Hutu alliance.

Come si fa a trasformare in bellezza la tragedia umana? È la domanda che sottende alla visione di suggestioni compulsive, che si passano l’azione di schermo in schermo, si lasciano la mano per riprendersela nella scena successiva.

Dal mare oceanico si passa alla terrestre jungla, gremita di folle sul ciglio di sentieri sgretolati, che guardano in macchina con sguardi spettrali; dagli accampamenti dei profughi alla singola casetta in legno, sradicata come un trofeo da uomini scalzi, con la stessa irruenza di un animale selvaggio, che probabilmente è già lì, a pochi passi da loro.

Laddove non si guarda, si ascolta per vedere. Accanto alle immagini filmiche, esplodono quelle sonore. Oltre alle apparenti registrazioni in presa diretta, un suono preponderante è l’eco sorda che segue agli spari dei guerriglieri e che, a seconda degli utilizzi, attenua o enfatizza il grado di finzione dell’opera.

Richard Mosse, The Enclave, Biennale 2013
Richard Mosse, The Enclave, 2013. Six screen film installation, color infrared film transferred to HD video. Filmed in Eastern Congo.  Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery. Photo © Tom Powel Imaging inc.
Quello a cui assistiamo è l’immersione in una meta-realtà, che si finge di essere documentazione, ma porta avanti con somma precisione la possibilità di restituire l’immediatezza di un incubo visibile, attraverso l’artisticità di un linguaggio. Questa sospensione, determinata dalla componente fiction, è resa in maniera evidente dagli accadimenti che poco a poco si succedono inavvertitamente nelle riprese. I personaggi sembrano emergere dal set di un film di guerra: drammatici e ironici, sono loro stessi protagonisti di una storia raccontata, ma che al contempo accade per davvero.
Richard Mosse, The Enclave, Biennale 2013
Richard Mosse, The Enclave, 2013. Six screen film installation, color infrared film transferred to HD video. Filmed in Eastern Congo.  Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery. Photo © Tom Powel Imaging inc.
La raffinata messa in scena di certe gestualità di guerriglieri alle prese con riti propiziatori, lo psicodramma improvvisato nel fingersi morto in un terreno di violenza inaudita e reale, è ciò che paradossalmente trasforma a tratti questo film-ambiente, in un iperrealismo sconcertante, quasi parodistico. La macchina da presa di Richard Mosse diventa l’obiettivo attorno al quale ruotano le azioni sulla scena, una sorta di momento di pausa dal reale che, paradossalmente, conferisce legittimazione a tutti i protagonisti nel potersi auto contemplare e raccontare.

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