a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.
Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XVI
C'è un'incolmabile distanza tra l'Ulisse descritto nei versi di Omero e quello che, invece, si racconta, ormai defunto, nell'Inferno dantesco. C'è una distanza profonda come il mare, lunga molte notti e giorni, i quali mostrano all'orizzonte solo una linea leggera di demarcazione tra cielo e acqua, un tempo infinitamente dilatato e scandito soltanto dalle parole di un diario di bordo. L'Odisseo omerico è sfuggito a Calipso e il suo andar per mare è un nòstos, un viaggio di ritorno, una freccia puntata su Itaca. Vuole ritrovare casa l'eroe stanco, provato dalla guerra e, ancora di più, dall'ammaliante seduzione della ninfa. L'Odisseo dantesco è un temerario, uno sperimentatore cronico, un esploratore che a tutto rinuncia – famiglia e regno compresi – pur di varcare le colonne d'Ercole e sprofondare sconfitto nell'abisso della sua insaziabile curiosità del mondo. Il mare descritto dai due autori è il medesimo: un Mediterraneo ricco e ostile come solo l'esotismo della narrazione può restituire. Il mare è un viaggio estremo, anche nel placido Mediterraneo, anche quando viaggio propriamente non è, come c'insegna Melville, stavolta nel Pacifico, attraverso le avventure di Achab, il comandante ossessionato dalla balena. Viaggio e ossessione sono due termini che descrivono bene l'assoluto marino, quella forma di febbre che spinge l'uomo a confrontarsi con una natura crudelmente monotona, con un elemento pauroso, con un rischio incessante.
"Forse – scrive Henri Laborit in Elogio della fuga – conoscete quella barca che si chiama Desiderio". Febbre di conoscenza, anelito d'uccidere il mostro, brama per le sirene, smania del ritorno. L'archetipo dell'eroe che solca le acque inizia qui con una favola, potremmo chiamarla Lu Piscicola così come l'aveva intitolata Italo Calvino nelle Favole italiane, in cui ricorda il destino di Nicola – Cola – Pesce. Tre volte il ragazzo si tuffò per il re di Sicilia, tre volte scese laddove nessun uomo era giunto per raccontare al Sovrano cosa c'era in fondo al punto più profondo del mare. La terza volta non riemerse, inghiottito da un desiderio più grande della ragione, scomparso. "Cola Pesce s'aspetta che ancora torni" chiosa l'autore, facendo riferimento ad un'eterna attesa, che ogni giorno si rinnova come le onde del mare. E lo scrisse anche l'artista Collier Shorr "quando Bas Jan Ader partì per la sua ultima traversata, probabilmente pensava che la vera azione romantica fosse navigare in eterno".





![Bas Jan Ader: "In search of the miraculous" [art & project, 89], litografia a stampa offset su carta. Pubblicato da Art & Project, Amsterdam,
Ed. 800 circa. Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam Bas Jan Ader: "In search of the miraculous" [art & project, 89], litografia a stampa offset su carta. Pubblicato da Art & Project, Amsterdam,
Ed. 800 circa. Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam](/content/dam/domusweb/it/arte/2013/03/22/bas-jan-ader-tra-due-mondi/big_407034_5668_22_BasJanAder.jpg.foto.rmedium.jpg)

