Biennale dell'Avana

Con interventi disseminati in città e artisti di provenienza variegata, l'undicesima Biennale cubana sottolinea il processo di apertura – prudente, ma evidente – in corso nell'intero Paese e presenta un ambiente artistico di grande ricchezza e vitalità.

"Portate costume da bagno e infradito": così recita l'invito stampato da Glenda León in occasione dell'undicesima Biennale dell'Avana. Il suo lavoro, Sueño de verano (El horizonte es una ilusión), occupa l'area della piscina dell'Edificio FOCSA, un complesso abitativo monolitico e dalle proporzioni impressionanti a due passi dall'Avana vecchia. Ai due antipodi della vasca, León ha installato le gigantografie delle mappe dell'Havana da un lato, di Miami dall'altro; due città affacciate l'una dirimpetto all'altra, ma divise, nella realtà, da cinquant'anni di conflitto politico: quello che ancora oggi divide Cuba e gli Stati Uniti. Ma se la piscina diventa quel lembo di mare, basterà un tuffo e via: con qualche bracciata la separazione è superata. Nuotare diventa così un atto carico di significato, un modo per sovvertire lo status quo, per spezzare l'isolamento, per raggiungere l'altra sponda rompendo finalmente quell'invisibile diaframma che da tempo ormai fa di Cuba un mondo a parte. E sorseggiare un drink ascoltando musica sul bordo della piscina evocherà un modo felice e umano di affrontare una situazione che la politica non sa dipanare.

L'installazione di Glenda León è uno dei numerosi interventi che in occasione di questa Bienal de La Habana troviamo disseminati per la città. Può sembrare un fatto scontato, ma non lo è. A sottolinearlo, è il curatore stesso, Jorge Fernandez Torres, che – nell'ambito di una conversazione informale – evidenzia il significato di apertura. Lo prova il fatto che, per la prima volta, la mostra non risulta più concentrata in un'unica sede, come è sempre stato nelle edizioni scorse, ma si è invece espansa in numerosi punti della città: edifici, ma anche strade, piazze, il lungomare. A questo va aggiunto il fatto che la biennale vede un numero notevole di presenze internazionali, anche occidentali: un fenomeno nuovo per l'isola, che, fino a poco tempo fa, a livello istituzionale, resisteva a contatti e influenze ostentando autosufficienza.
Qui sopra e in apertura: Glenda León, <i>Sueño de verano (El horizonte es una ilusión)</i>
Qui sopra e in apertura: Glenda León, Sueño de verano (El horizonte es una ilusión)
Nata nel 1984, la Biennale dell'Avana si presentò inizialmente come piattaforma in cui presentare l'arte di aree geopolitiche considerate allora non centrali, da Cuba stessa con tutta l'area caraibica, all'America Latina, all'India. Si trattava di un progetto d'inedita novità. Ma, dopo le primissime edizioni, in corrispondenza con l'accentuarsi dell'isolamento del Paese seguita alla caduta del Muro di Berlino, la rassegna sembrò segnare il passo. Oggi l'incrinarsi di questa impermeabilità in ambito culturale e artistico va letta alla luce dell'attuale situazione: una situazione che, dopo alcuni decenni di chiusura estrema, si sta avviando, seppur lentamente e con circospezione, sulla via del cambiamento. L'undicesima Biennale riflette questo processo prudente, ma evidente. L'impressione è che segni una vera e propria transizione.
Colectivo, <i>Un olor que entra por mi ventana</i>, dettaglio
Colectivo, Un olor que entra por mi ventana, dettaglio
Quest'anno i nuclei centrali della mostra occupano il Centro Wifredo Lam e il Gran Teatro de La Habana. Il primo ospita lavori di artisti cubani noti internazionalmente e attualmente considerati tra i maggiori: Carlos Garaicoa, che vive tra L'Avana e Madrid, Maria Magdalena Campos-Pons e Neil Leonard, attivi tra L'Avana e Boston e Jorge Pardo, che lavora tra L'Avana, Los Angeles e Long Island.

Il Gran Teatro ospita invece le opere di artisti di provenienza variegata. Opere poco legate tra loro, ma in molti casi interessanti; c'è, per esempio, la videoanimazione di Mona Marzouk, che prefigura un futuro in cui uomo, animale e macchina si ibrideranno fino a costituire un tutt'uno; o l'installazione di Rafael Lozano-Hemmer, una sorta di ritratto biometrico sotto forma di apparato respiratorio che si attiva al ritmo di 10.000 volte al giorno, il ritmo normale di un adulto. O ancora il lavoro Apuntes en el hielo di Celia & Yunior: un video e una pila di copie di una tesi di dottorato in sociologia, sulla società cubana: una tesi basata su una ricerca approfondita, circonstanziata, rigorosa, che fornisce una quantità di informazioni sulle quali poter basare un processo di cambiamento… Se solo esistesse una volontà di cambiamento. Purtroppo, invece, i fascicoli restano lì, inerti, ancora imballati.
Nata nel 1984, la Biennale dell'Avana si presentò inizialmente come piattaforma in cui presentare l'arte di aree geopolitiche considerate allora non centrali, da Cuba stessa con tutta l'area caraibica, all'America Latina, all'India.
Colectivo, <i>Un olor que entra por mi ventana</i>
Colectivo, Un olor que entra por mi ventana
Proprio a due passi dal Gran Teatro, una collezionista fuoriuscita da Cuba, Ella Fontanals-Cisneros, ha potuto mostrare il meglio della propria collezione in una delle sedi più centrali dell'Havana. Il suo arrivo rappresenta un fatto eccezionale ed è stato accolto con un entusiasmo che ha trsformato l'inaugurazione della mostra in un evento. Tra le presenze di rilievo, se ne annoverano alcune di artisti statunitensi di nascita o di adozione, come Marina Abramovic e Andres Serrano, e poi Lorna Simpson, Carrie Mae Weems e altre artiste comprese nella mostra Cinema Remixed & Reloaded, non concepibili fino a questo momento. Artisti come Hermann Nitch e Gabriel Orozco hanno tenuto lunghi workshop con gli studenti delle scuole locali e il performer queer sudafricano Steven Cohen ha potuto realizzare per le strade un'azione in cui deambula con le gambe intrappolate in calzari impossibili e dolorosi che fanno del suo percorso un martirio; una performance che, trasformandosi in un'implicita richiesta di aiuto, costituisce anche un test rispetto al grado di empatìa ed al senso di solidarietà che una società sa esprimere.
Los Carpinteros, <i>Conga Irreversible</i>
Los Carpinteros, Conga Irreversible
Il programma di esposizioni ed eventi collaterali è composto di un centinaio di progetti tra mostre ed eventi speciali. La Fortaleza San Carlos de la Cabana, amplissima fortificazione coloniale situata di fronte all'Avana Vecchia, sul versante opposto della baia, e sede principale della Biennale nelle edizioni passate, ospita una mostra di artisti cubani delle recenti generazioni di proporzione inusitate – oltre quattrocento artisti – ma di qualità eterogenea; tra i lavori presentati spicca quello di Guillermo Ramirez Malberti, che tematizza la pratica del restauro creativo tramite il recupero e il riciclo mettendo in opera un vero e proprio garage in cui esemplifica la prassi, comune a Cuba, di ricostruire le vecchie automobili anni Cinquanta utilizzando e riutilizzando ogni pezzo meccanico possibile: a Cuba ogni cosa può diventare risorsa. All'idea della necessità e del riciclo si affianca qui la critica implicita all'idea di originalità, di univocità, di purezza: in fondo siamo tutti compositi, molteplici esiti di incontri e di innesti. Tra gli interventi più potenti quello di Los Carpinteros nella via centrale della città, il Paseo del Prado. Si tratta di Conga Irreversible: una parata basata sui ritmi e sulla danza tradizionale del carnevale latinoamericano, la Conga, appunto; ma in questa parata ogni elemento risulta ribaltato: nero l'abbigliamento di solito variopinto, nere le piume che ondeggiano sul capo dei ballerini; ma soprattutto invertiti la musica e le parole, e capovolti i movimenti dei ballerini, rivolti all'indietro i loro passi. Cuba è luogo di contraddizioni, a volte può parere faccia due passi avanti, tre passi indietro; ma quelle contraddizioni nutrono un ambiente artistico di grande ricchezza e vitalità. Basti vedere la mostra collaterale di sei giovani artisti organizzata da Havana Cultura Visual Arts Project presso il Museo del Ron. Gli artisti hanno avuto un supporto che ha consentito loro possibilità di lavorare a opere di grandi dimensioni e il risultato è notevole; come nel caso di Reinier Nande Perez, che ha realizzato una videoinstallazione in cui, a partire dal panorama urbano dell'Avana, esprime la discrepanza tra desiderio e realtà, tra esistenza sognata e vita vissuta. Oggi Cuba vive in quello spazio di discrepanza e la Biennale lo racconta.
Vista della Biennale dell'Avana, 2012
Vista della Biennale dell'Avana, 2012
Mabel Poblet, <i>Simplemente Bellas</i>
Mabel Poblet, Simplemente Bellas
Vista della Biennale dell'Avana, 2012
Vista della Biennale dell'Avana, 2012
Vista della Biennale dell'Avana, 2012
Vista della Biennale dell'Avana, 2012

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