Che Città del Messico con i suoi venti milioni di abitanti sia una delle città più popolate al mondo, è un dato noto.

Meno banale forse è il fatto che la maggior parte di questa popolazione vive la capitale solo di giorno e, come una vera e propria emorragia, esce a fine giornata per raggiungere le diverse aree periferiche. Il 20% di questi 'migranti' vive nella periferia est, delegazione di Iztapalapa, una delle zone più povere e violente della città. In questo contesto si trova il FARO, la Fábrica de Artes y Oficios de Oriente. Il Centro ha sede in un edificio progettato da Alberto Kalach, collocato nel bacino prosciugato del lago di Texcoco. La struttura risale ai primi anni Novanta e fu costruita per ospitare la sede distaccata di alcuni uffici governativi, ma rimase incompiuta e l'intera area si trasformò in una discarica. Pochi anni dopo un gruppo di intellettuali propose alla nuova amministrazione di sinistra un progetto di recupero e bonifica dell'intera area e la trasformazione dell'edificio in un centro di produzione artistica per la comunità di Iztapalapa. L'edificio di Kalach prende così metaforicamente la forma di una nave e nel 2000 inizia ufficialmente la sua rotta. Per la prima volta la Ciudad assiste alla nascita di un progetto culturale decentrato.

Ma come coinvolgere nella definizione di un progetto culturale una popolazione da sempre reticente? La soluzione a questo urgente quesito si trova nel mural che percorre tutto il perimetro dell'edificio: coordinato dal collettivo di muralisti-graffitisti Neza Arte Nel, è stato realizzato coinvolgendo una buona parte della comunità. Questa operazione ha creato un immediato senso di appartenenza: lo spazio in brevissimo tempo è diventato un luogo di incontro e di produzione creativa, capace di contare ogni anno quasi 1.500 iscritti ai laboratori, circa 40 per ogni trimestre. I corsi non sono gli unici servizi gratuiti offerti, va aggiunta la biblioteca con i suoi 16.000 volumi, la sala cinema, lo spazio espositivo, la ludoteca e una piazza capace di ospitare 10.000 persone. La Fábrica non rimane, però, un progetto locale, lo dimostra la presenza di oltre 150 artisti arrivati da diverse parti del mondo per confrontarsi e operare in questo contesto. Il FARO offre, così, un importante esempio di come la pratica artistica possa avere un ruolo all'interno delle trasformazioni sociali: la riappropriazione di uno spazio pubblico come spazio sociale, ovvero di uno spazio che per esistere ha bisogno del "fare" attraverso le soggettività delle persone; ma anche l'utilizzo di un terreno urbano residuale come terreno di gioco delle partecipazioni che crea la possibilità di altri modi di vita. Un progetto senza precedenti, tanto che la Segreteria di Cultura del Governo che fino a poco tempo fa aveva avuto un ruolo di discreto promotore, ha preso in mano la gestione e iniziato un vero e proprio processo di istituzionalizzazione. Non solo: ha importato questo modello in altre parti della città, attivando una vera e propria rete di FAROS. Alessandra Poggianti

https://www.farodeoriente.org