The house that Herman built

da Domus 898 dicembre 2006È una storia estrema, quella di Herman Wallace. Una storia che dalle mura della prigione di Angola, in Louisiana, rimbalza incredibilmente sulle pagine di una rivista. E che racconta, tra le altre cose, come la possibilità di immaginare gli spazi possa aiutare a resistere. A cura di Fabrizio Gallanti, Loredana Mascheroni

È una storia estrema, quella di Herman Wallace. Una storia che dalle mura della prigione di Angola, in Louisiana, rimbalza incredibilmente sulle pagine di una rivista. E che racconta, tra le altre cose, come la possibilità di immaginare gli spazi possa aiutare a resistere. A cura di Fabrizio Gallanti, Loredana Mascheroni

Herman Wallace è stato recluso in confinamento individuale nel carcere di stato della Louisiana (USA) ad Angola per 34 anni. Il confinamento individuale ad Angola consiste in 23 ore quotidiane trascorse in una cella di due metri per tre. Wallace, membro attivo delle Black Panthers, è stato condannato all’ergastolo senza possibilità di essere scarcerato sulla parole per l’omicidio di una guardia carceraria, sulla base della testimonianza di un altro detenuto che in seguito si è dimostrata venduta. Dopo aver proclamato la propria innocenza per 34 anni, la sentenza è ora in corso di revisione.

Jackie Sumell è entrata in contatto con Herman tramite Robert King, anche lui detenuto per 31 anni ad Angola, 29 dei quali in cella individuale, per un crimine che non ha commesso. King è stato rilasciato nel 2001 e partecipa attivamente alle campagne di sensibilizzazione sulla situazione dei suoi ex compagni di cella e sull’attuale condizione dei penitenziari negli Stati Uniti. Wallace, King ed Albert Woodfox – Black Panthers – sono conosciuti come gli Angola 3. Nel novembre 2002, dopo mesi di corrispondenza, Jackie ha rivolto una semplicissima domanda a Herman: “Che casa sogna un uomo che è stato recluso per oltre trent’anni in una cella di due metri per tre?”

La risposta a questa domanda si trova nell’incredibile scambio di circa cinque anni. Attraverso oltre 300 lettere, svariate telefonate e visite in prigione l’artista e attivista Jackie Sumell ha dato voce e corpo all’immaginazione di Herman Wallace. In queste pagine abbiamo selezionato parte del materiale di questa lunga corrispondenza, già presentata al pubblico nel giugno scorso all’Akademie Schloss Solitude di Stoccarda in Germania in una mostra che attualmente viene ospitata dal Galway Arts Centre in Irlanda. Jackie ha costruito un modello in legno 50:1 e un modello CAD della casa proiettato su un video e accompagnato da un commento audio letto da Robert King. A fare da contraltare a questa casa virtuale c’è un modello in legno a scala reale della cella di Herman, costruito sulla base del disegno pubblicato nella pagine seguenti.

I contenuti della mostra e gli estratti delle lettere sono stati raccolti nelle 130 pagine del libro The House that Herman Built di merz & solitude (grafica di Katya Bonnenfant). Attualmente Herman e Jackie sperano di trovare un terreno in donazione o uno studio di architettura con patrocinio gratuito per costruire la casa. Si tratta di un progetto che trascende i confini dell’arte e dell’attivismo per parlare di resistenza, amicizia e i baluardi dell’umanità. Il desiderio più grande sarebbe costruire la casa e rendere così fruibile un sogno nato sulle ceneri di un incubo. F.G.

Immaginare lo spazio per sopravvivere
Ordine spaziale e sequenza temporale sono i migliori aiuti per aiutare la memoria. Per tenere a mente il filo di una storia o parte di un discorso, si può utilizzare come riferimento un luogo familiare, per esempio una casa e le sue singole stanze. A ogni stanza si collegano immagini specifiche (oggetti, eventi, persone) che si vorrebbero ricordare. Nel corso del suo giro immaginario della casa, il narratore, muovendosi da una stanza all’altra, può ricordare la sua storia, spazio dopo spazio e immagine dopo immagine. Vedere immagini nella propria testa, visualizzarle, richiede un’acuta capacità visiva, che non è più così comune nella società di oggi. È risaputo che la nostra immaginazione visiva è costantemente affievolita dall’invasione di immagini e simboli che caratterizza il mondo contemporaneo dominato dai media. Chi non è più capace di vedere, non riesce neanche a creare immagini mentali, e se non si è in grado di fare questo, diventa impossibile anche orientarsi nello spazio. E chiunque non sappia orientarsi è perduto, sia fisicamente, sia mentalmente. Sulla base di queste premesse, immaginate una persona, Herman Wallace, che ha trascorso trentanove anni della sua vita nel penitenziario di Angola, nello Stato della Louisiana (negli USA), di cui trentaquattro in isolamento. Spinto da Jackie Sumell, un’artista americana attivista che si batte per i diritti umani, Herman ‘vede’ la sua casa ideale, la immagina stando nella sua cella di sei metri quadrati in cui trascorre ventitré ore al giorno. Herman Wallace è la prova vivente che la sopravvivenza di un singolo individuo dipende direttamente dal desiderio di battersi per una nobile causa. Le immagini, gli spazi che Herman Wallace immagina stando in cella, sono la prova che lui vive, pensa e non rinuncia a sperare. È a partire da queste immagini, create collaborando con persone all’esterno, che Herman riesce a racimolare l’energia che lo mantiene vivo. E in quest’opera condivide queste immagini con noi. Jean-Baptiste Joly Direttore dell’Academy Schloss Solitude

Per avere altre informazioni/aggiornamenti sulla situazione di Herman e Albert potete consultare: http://www.angola3.org o scrivere a Jackie Sumell: jackie@sumell.org (subject: Herman’s House)

Herman Wallace
#76759 CCR U/D #14
Louisiana State Penitentiary Angola
LA 70712 USA

Albert Woodfox
#72148 CCR U/B #13
Louisiana State Penitentiary Angola L
A 70712 USA

Inviare denaro a sostegno della difesa:
c/o Legal Defense
221 Idora Ave Vallejo, CA 94591 USA

Herman e Jackie vogliono ringraziare: Akademie Schloss Solitude, The Puffin Foundation, The National Coalition to Free the Angola 3, In Context 3 South Dublin City Council, Katya Bonnenfant e Burkhard Finken
Herman "Hooks" Wallace, foto tratta dal quotidiano <I>Black Panther Party</I>, 10 Giugno 1972
Herman "Hooks" Wallace, foto tratta dal quotidiano Black Panther Party, 10 Giugno 1972

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