Ai margini del silenzioso Parco di Veio, sulla Via Francigena e a pochi chilometri da Roma, una presenza di tufo si adagia sul terreno come un fossile emerso dal tempo. È Casa Corrias, oggi rinominata L’Ammonite, un’abitazione progettata da Paolo Portoghesi a partire dal 1972, portata avanti nel corso di trent’anni e oggi oggetto di una nuova rinascita.
Il nuovo capitolo de L’Ammonite si apre grazie all’intervento di due musicisti, Daria Leuzinger e Maurizio Persia, che hanno deciso di acquisire la villa dopo averla scoperta quasi per caso, camminando lungo la Via Francigena. I nuovi proprietari non nascondono, sin dal passaggio di proprietà, il desiderio di trasformare la villa in un luogo di vita ma anche di accoglienza culturale, una culla musicale ed esperienziale.
A cinquant’anni dalla sua ideazione, L’Ammonite di Portoghesi si rinnova come creatura viva: radicata nella terra, aperta al mondo, capace di ospitare nuove narrazioni senza smarrire il senso profondo del luogo da cui è nata.
Il progetto aveva preso forma in un momento di transizione lungo la carriera di Portoghesi: architetto già affermato, studioso dell’organico e del barocco romano, qui elabora un’idea abitativa che è allo stesso tempo ritorno alle origini e dichiarazione di poetica. Portoghesi infatti, tra i più influenti teorici del Novecento, è noto per il suo ruolo centrale nel recupero della tradizione e nell’elaborazione del Postmodernismo in Italia e i primi ragionamenti sulla casa si ritrovano nel dialogo tra memoria storica e innovazione che promuoverà da direttore della Biennale di Venezia Architettura, tra 1979 e 1992. Il suo rapporto con la storia non è nostalgia ma fonte viva di ispirazione, e gli si affianca la “libertà di linguaggio”, contrapposta al dogmatismo del Razionalismo.
La casa viene concepita insieme a Giovanna Massobrio, all’epoca sua assistente e poi compagna di vita. Sarà lei a introdurre Portoghesi al progetto commissionato dall’ambasciatore Francesco Corrias e dalla moglie, la pittrice americana Frances de Villers Brokaw. I disegni della casa diventano così anche pretesto per un sodalizio sentimentale: “L’Ammonite per noi è la Casa dell’Amore, disegnandola a quattro mani, io e Paolo ci siamo innamorati”, ha confidato Giovanna ai nuovi proprietari.
La gestazione della casa è comunque lunga e non priva di problemi, ripensamenti e cambiamenti in corso d’opera. Il cantiere si sviluppa in fasi, subendo interruzioni e modifiche, ampliando l’idea originaria. Portoghesi stesso ha rivisto l’opera a distanza di anni, rilevandone cambiamenti che, per sua stessa ammissione, ne hanno potenziato la forza progettuale.
A cinquant’anni dalla sua ideazione, L’Ammonite di Portoghesi si rinnova come creatura viva: radicata nella terra, aperta al mondo, capace di ospitare nuove narrazioni senza smarrire il senso profondo del luogo da cui è nata.
La forma che l’abitazione assume nel tempo – evolutiva, frammentata e continua – è il riflesso di una ricerca architettonica incentrata sul concetto di micro-villaggio policentrico. Non c’è una facciata principale, non c’è un asse di simmetria: tutto si sviluppa come una successione fluida di curve, torri, patii e corti, ognuno con un orientamento specifico verso il paesaggio. La casa, non avendo un prospetto principale, si mostra differente da ogni angolazione, come una creatura che cambia aspetto man mano che ci si muove attorno ad essa. Sul lato concavo interno offre spazi raccolti e ombreggiati, quasi un abbraccio architettonico che protegge la vita privata; sul lato convesso esterno si apre invece al panorama, dialogando a distanza con il Santuario del Sorbo.
Questa articolata disposizione concava e convessa dà alla casa insenature per un rifugio intimo, come una tana serpentiforme inserita nel pendio, ma anche dispositivi visivi orientati verso la storia del luogo.
La realizzazione, interamente in blocchi di tufo locale e coperta da tetti tronco-conici rivestiti in coppi, evoca architetture rurali laziali, reinterpretate alla luce del pensiero borrominiano e dell’architettura organica, e l’ingresso principale, è di fatto uno dei tre perni di questo villaggio-casa.
Come una rielaborazione di un impluvium romano, la parte antistante all’ingresso è uno spazio circolare completamente aperto, nel quale si staziona temporaneamente, come ad attendere l’accesso in una nuova dimensione, una volta varcata la soglia. Superato il corridoio perpendicolare, si approda nel salone principale, che svela la sua apertura alla campagna circostante attraverso una vetrata che sostituisce interamente la facciata rivolta a sud.
Va detto che, come evidenziano i primi progetti di Portoghesi, questa zona in origine era stata pensata come un immenso patio pavimentato, aperto interamente alla natura. Il salone sviluppato a ventaglio divide il secondo fuoco della villa – dedicato ai servizi – dal terzo, dove sei camere di varie dimensioni formano la zona della famiglia.
Dall’esterno e dall’interno si comprende come le curve e le controcurve siano quasi tangenti e non sovrapposte, proprio per creare fessure che diventano altrettanti spiragli da cui la luce può penetrare nella villa, ma anche splendidi dispositivi verticali di visione verso il territorio.
Questa attenzione a incorniciare il paesaggio esterno si ritrova nel terzo fuoco della casa, che è di fatto una torre tronca di fattezza medievale, con accenni borrominiani nella sua forma a spirale. La torre conduce a un secondo piano di camere nella zona padronale, dando accesso a un terrazzo con vista sui tetti e sulla vallata, riconfermando l’impianto del villaggio medievale da Italia dei Comuni. Da qui si aprono anche incisioni dell'involucro che inquadrano rispettivamente il Monte Razzano, con dietro Campagnano, il Santuario del Sorbo e la campagna circostante.
