5 chiese del Novecento a Roma: capolavori dell’architettura sacra

Da Marcello Piacentini a Richard Meier, passando per le grazie di un’architettura “minore”: un excursus sulle idee e le forme dell’architettura religiosa della città eterna nel XX secolo.

Nel vasto e complesso scenario della produzione architettonica del Novecento, il caso dell’architettura sacra è da considerarsi senza dubbio un capitolo a parte. 
In particolare, con la chiusura dell’esperienza del Fascismo e il conseguente abbandono della dimensione celebrativa che era stata tipica dell’architettura di Regime, l’interpretazione dell’architettura religiosa, e la possibilità di un nuovo linguaggio per la stessa, avvia in Italia una stagione di dibattiti sul tema di grande intensità.
Voci autorevoli di architetti affermati si esprimono in merito, come nel caso di Saverio Muratori e Luigi Moretti, i cui punti di vista trovano spazio fra le pagine di riviste nate negli anni Cinquanta, come “Chiesa e Quartiere” e “Fede e Arte”, e specificamente dedicate ai temi dell’arte e dell’architettura sacra.

In nessun altro luogo più che a Roma l’edificio per il culto costituisce probabilmente una delle tipologie più caratteristiche presenti nel tessuto urbano.

Da nord a sud, sono notevoli le proposte di Gio Ponti, Figini e Pollini e Enrico Castiglioni nel contesto lombardo, le interpretazioni peculiari di Ludovico Quaroni per la chiesa a La Martella (1951), così come per la più tardiva Chiesa Madre a Gibellina (1970), o ancora la chiesa di San Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole progettata da Giovanni Michelucci a Campi Bisenzio, Firenze, fra il 1960 e il 1964.

Le vele di Meier in costruzione. Foto da Wikicommons

Un’ulteriore considerazione va fatta a proposito del contesto romano, dove le questioni relative all’edificazione di nuove chiese ricalcano comunque tutti i fasti – e i nefasti – della città eterna; dove accanto alla ricerca formale di progettisti più o meno attenti alle necessità liturgiche, più o meno impegnati a rappresentare vecchi e nuovi “ismi” (all’evocazione dei tradizionali storicismi si affiancano soprattutto versioni reinterpretate del modernismo brutalista, o l’intenzionale esibizione esagerata del tecnicismo strutturale) si annovera un altrettanto prolifico operato portato avanti dagli uffici tecnici della Capitale.

Proseguendo, è lecito sottolineare che in nessun altro luogo più che a Roma l’edificio per il culto costituisce probabilmente una delle tipologie più caratteristiche presenti nel tessuto urbano, specificando inoltre che alla grandiosità degli esempi storici imperiali si contrappone una produzione moderna e contemporanea più facilmente ascrivibile a un’edilizia minore, ma non per questo priva di qualità.

La presente selezione di cinque chiese progettate e costruite a Roma nel Novecento prova a tracciare un quadro sintetico e al tempo stesso completo di come l’architettura sacra abbia cercato nelle sue molteplici interpretazioni artistiche e formali la sua dimensione ontologica più profonda, dalla Basilica del Sacro Cuore di Cristo Re sita al quartiere Della Vittoria (1920-34), opera di Marcello Piacentini, fino alla “Chiesa dell’anno 2000”, meglio nota come Chiesa del Giubileo, realizzata a Tor Tre Teste sul progetto dell’americano Richard Meier.

1. Marcello Piacentini, Basilica del Sacro Cuore di Cristo Re, Quartiere Della Vittoria, Roma, 1920-34 Foto Anonimo da wikimedia commons.

La Basilica del Sacro Cuore di Cristo Re appartiene a quelle opere di Marcello Piacentini che si potrebbero definire come architetture di transizione. Per l’architetto portavoce del Regime che di fianco all’esaltazione del carattere “italico” delle sue opere riconosceva l’onestà materica e strutturale del razionalismo tedesco e olandese, il progetto della chiesa del Cristo Re si colloca al crocevia di queste tendenze. Redatto in più fasi, dal 1920 al 1931, il progetto della basilica giunge alla sua configurazione finale nelle sembianze di un edificio emancipato dalle tradizioni stilistiche dell’architettura religiosa dei secoli passati.
La novità principale sta nell’impianto volumetrico, definito dalle forme chiare e geometriche del corpo principale e delle due torri campanarie, tanto essenziali per via della mancanza di ornamenti, quanto per il trattamento del paramento laterizio esterno. Specialmente la facciata principale, marcata da tre scabri archi a tutto sesto, rievoca le ragioni dell’opera milanese di Muzio e del cosiddetto “stile Novecento”.

2. Arnaldo Foschini, Basilica dei Santi Pietro e Paolo, EUR, Roma, 1939-1958 Foto Pufui PcPifpef da wikimedia commons.

Il progetto di Arnaldo Foschini per la Basilica dei Santi Pietro e Paolo ricade nel più ampio disegno dell’E42, il piano urbanistico per la celebrazione dei vent’anni dalla marcia su Roma che avrebbe dovuto ospitare l’Esposizione Universale di Roma nel 1942, e che prevedeva la realizzazione di una serie di strutture espositive permanenti atte a sublimare la civiltà italica.
Posta nel punto più scenografico dell’impianto, al culmine della scalinata che conclude a ovest il camminamento di viale Europa, la basilica dialoga con gli edifici più rappresentativi del complesso, quali il Palazzo della Civiltà Italiana e il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, ricalcandone l’estetica e l’uso del travertino come rivestimento. La pianta a croce greca presenta quattro avancorpi connotati da nicchioni squadrati e decorati a bassorilievo.  All’austera spigolosità degli alzati si contrappone l’imponente cupola emisferica, mentre il grande ambiente circolare interno riporta gli spazi scavati delle cappelle in esatta corrispondenza delle nicchie esterne.

3. Raffaello Fagnoni, Gesù Divin Lavoratore, Quartiere Portuense, Roma, 1957-61 Foto Croberto68 da wikimedia commons.

Nella Chiesa del Gesù Divin Lavoratore al Portuense si trova uno di quegli esempi di architettura “minore”, al contempo sorprendente proprio per la sua modesta sobrietà.
Raffaello Fagnoni si muove fra invenzioni planimetriche e suggestioni costruttive gotiche, e disegna una pianta ovoidale marcata da 14 setti in calcestruzzo armato rivestiti in pietra, che sorreggono prima il ballatoio, lungo il quale scorre un’unica finestra a nastro, poi il soffitto a calotta nervata con la sua orditura di travi. L’esterno della chiesa in pietra rossa presenta sottili ricorsi in travertino che accentuano la natura cilindrica del volume; gli stessi motivi sono ripresi nel campanile, anch’esso cilindrico, la cui sommità è distinta da una ghiera di pilastrini in calcestruzzo armato dietro ai quali si intravedono le campane. Nel complesso l’edificio presenta un linguaggio più affine alla fabbrica che al luogo liturgico, ma restituisce con coerenza i rapporti di spazio e luce per una moderna sacralità.

4. Saverio Busiri Vici, Chiesa S. Maria della Visitazione, via dei Crispolti 142-144, Quartiere Collatino, 1969-71 Courtesy Leonardo Busiri Vici

Con la chiesa di Santa Maria della Visitazione al Collatino, Saverio Busiri Vici realizza un discreto esempio appartenente a quel filone del brutalismo strutturale che, specialmente negli anni Settanta e Ottanta, cerca di dare risposta al tema dell’edificio religioso.
La chiesa si risolve essenzialmente nella sua struttura portante. Esternamente è leggibile il richiamo all’estetica navale del brutalismo lecorbusierano, nell’esibizione del telaio in calcestruzzo armato a vista, coi pilastri diagonali dall’ampia sezione e le travi-parete che scorrono lungo il perimetro dell’edificio creando un contrasto fra la facciata principale concava e la sua antitetica convessa sul retro che accoglie la zona presbiteriale. Anche internamente, lo spazio liturgico è delimitato esclusivamente dalle strutture portanti. La luce filtra dalle finestre a nastro, ritagliate come fenditure nel calcestruzzo, mentre una colonna di vetrate policrome impreziosisce il fondale dell’altare. Quest’ultimo è concepito come un arredo fisso, e insieme alla pavimentazione in cemento e ghiaia di fiume, restituisce l’immagine di uno spazio nudo, dove i materiali d’opera sono esposti nella loro piena essenzialità.

5. Richard Meier, Dio Padre Misericordioso, Tor Tre Teste, Roma, 1998-2003 Foto Federico Di Iorio da wikimediacommons.

La vicenda del progetto di Richard Meier per la realizzazione di una nuova chiesa a Tor Tre Teste ha alle spalle un iter significativamente figlio degli anni novanta, di una stagione di ambiziosi concorsi, di buoni propositi per le periferie, ed esiti non sempre felici.
Meier si aggiudica infatti il primo premio soltanto a seguito di un secondo bando di concorso nel 1997, e i ritardi nell’avvio del progetto faranno sì che la costruzione della chiesa diventerà un evento caratterizzante il Giubileo del 2000. Il risultato è ardito: tre pannelli autoportanti in cemento prefabbricato si stagliano come vele bianche sul terreno e danno vita a un vero e proprio guscio di raccoglimento per la comunità di fedeli, disponendo tre possibili ingressi all’aula, al battistero e alla cappella. Fasci di luce filtrano dai lucernai in copertura - anche in questo caso tre - ricavati fra un pannello e l’altro, estremizzando la simbolica allusione alla Trinità divina. Un progetto che, nel bene e nel male, si fa notare nello scenario della periferia romana dove l’identità architettonica scarseggia.