La chiesa dell’autostrada di Michelucci compie 60 anni

Nell’aprile del 1964, vicino a Firenze, veniva inaugurata una pietra miliare dell’architettura italiana: Gio Ponti la pubblicava su Domus, assieme alle parole che aveva dedicato al progettista, Giovanni Michelucci.

A Michelucci sulla Chiesa di San Giovanni

Quest’opera è una espressione italiana di architettura e d’arte, ed è italiana anche perchè tutte le strade d’Italia incontrano nel loro percorso monumenti ed opere d’arte; così una nuova autostrada italiana non poteva mancarne.

Quando vidi alla sua prima presentazione, con altri invitati, questa opera di Michelucci, padre Pellegrino, ch’era presente, mi chiese se io volevo dire qualche parola. Egli intendeva che io le dicessi entro il registratore per la Radio Vaticana. Io, invece, avevo capito di dover dire qualche mia commossa parola agli astanti, ed ero voglioso di manifestare la mia opinione: mi misi in agitazione e presi qualche appunto. Poi compresi, deluso e confuso, il mio abbaglio (e non mi riuscì di parlare al microfono, con gli occhi poi sulle ruote avvolgenti dell’implacabile meccanismo, parlare che si fa sempre in un canto, per pudore che altri ci senta e veda emettere parole ad alta voce nell’orifizio di uno strumento).
Ma quelle note mi sono riapparse e mi tentano a rifar qui quel discorso, che era il meno critico-architettonico del mondo.

Parlando criticamente ed emettendo giudizi, c’è il pericolo che la gente si faccia sbrigativamente un giudizio prefabbricato sul nostro, per non pensarci più. Mentre importa invece contribuire a che la gente maturi un proprio giudizio, e perciò facciamo invece, da queste pagine, nelle parole che le commentano, l’invito a vedere quest’opera eminente, e magari a farsi coraggio ed avvicinare l’architetto che — come sono gli architetti di valore — è un uomo “vivo”.

Domus 413, aprile 1964

Le cose che volevo dire quel giorno agli altri ed a Michelucci ci vuole un po’ di coraggio a ripeterle qui, per vere e naturali che siano, tanto sono eterodosse nei riguardi dei consueti discorsi sull’architettura.

Volevo dire a Michelucci, e Io dico ora a lui ed ai lettori: che egli ora, per aver fatto un tal suo capolavoro, è nella meravigliosa situazione di poter morire felice quando (fra i molti anni che ce lo auguriamo con noi) Dio lo vorrà. Egli che pur avendo scritto un volumetto Felicità dell’architetto, questa felicità non l’ha mai goduta, ed è stato invece l’architetto con lo spirito più travagliato del mondo. Lo è stato dai primi lavori, con la esemplare ancor oggi (ma allora vituperata) stazione di Firenze, da lui appresso ripudiata per altri turbamenti, i quali attraverso polemiche esterne e interiori, e inquietudini e strazi, ed intime violenze, e in perpetua guerra con se stesso, lo portarono a lasciare l’insegnamento nella Facoltà di Architettura per quello in una Facoltà d'Ingegneria.

Questi travagli, incontrati per accostarsi ancor più ad una verità, in una professione intesa come missione, hanno fatto — proprio di chi scrisse la Felicità dell’architetto — l’architetto più ammirevolmente, nobilmente infelice fra tutti noi.

Ma son proprio questi travagli, che han fatto di Michelucci l’architetto che, per essere esente da vanagloriose certezze e complessi di superiorità, ma per essere pieno di fede nell’architettura doveva ricevere un premio eccezionale proprio dalle mani di Dio, con questa chiesa, fatta di alti pensieri e fatta pazientemente a mano. Con quali pensieri? quelli, dico io, ispirati dalla religiosità. La architettura religiosa — lo pensai sempre — è prima un fatto di religione che di architettura e giunge alle alte espressioni pertinenti al sacro, alla “sacertà”, solo per le vie della religiosità.

Domus 413, aprile 1964

E questo è indubitato a chi visita la sua chiesa, che è antica e moderna ad un tempo, fatta a mano con tecniche antiche (da vecchi superstiti scalpellini, e maestri muratori dai sessanta in su), e simultaneamente con la modernissima e coraggiosa struttura in cemento della volta a tenda e dei puntoni in cemento che la tengono alta. Architettura “antica e moderna”, vuol dire “perenne” come “perennis religio est”. Questa perennità è poi la “perpetuità” che dice Palladio essere attributo della (buona) architettura (come è attributo di ogni buona opera d’arte e di verità).

Attendendo che il tempo si pronunci su quest’opera di Michelucci come essa merita, ci conforta il dire che è il capolavoro della sua vita, sapienza, filosofia, e della sua infinita passione d’architetto; ed è specchio dei severi ed alti pensieri che esclusivamente lo ispirano.

Questa chiesa ha una forza, come dire? austera ma non altera, anzi di quella modestia e dignità con che soltanto si può pensare alla casa di Dio. E casa di Dio lo è, grandiosa per afflato, e piccola invece per misure, solida come una fortezza, come una sicurezza; non ricca ma sovrana: e musicale di poetici silenzi. Le sue strutture, i suoi cementi bianchi che han preso e rimandano con le luci come una polvere di oro mattutino, sono, vedeteli nelle illustrazioni, degli alberi, ai cui rami è legata la volta rovescia, la tenda. Questa chiesa di Campi Bisenzio è ispirata in riferimento a motti biblici ed evangelici che a proteggere la fede dicon giovare una tenda, perchè essa fede era forte nei cuori, prima che nei ripari. I pensieri di Michelucci erano già prefigurati in questa espressione. Una Provvidenza per gli architetti, davvero divina, provvede a questi incontri fra i pensieri segreti dell'architetto e l'opera che li viene a resuscitare. E ciò avviene ancor meglio nella età matura, e nella vecchiaia, che negli architetti è meravigliosa di scoperte ed apprendimenti, aizzati dal tempo che fugge.

Domus 413, aprile 1964

Nel concerto della cultura contemporanea non basta leggere una rivista sola, anche se la si ama, e come abbiamo invitato i lettori a visitare la chiesa di Michelucci e lui, li invitiamo a ricercare e leggere il fascicolo 76 del febbraio '62 di L’architettura, diretta da Zevi, dedicato a Michelucci; già scorrendo quelle pagine nei capitoli dedicati ai suoi pensieri vedremo formarsi in lui l’architettura: ecco i titoli di quei capitoli : troppo spesso si vive ed opera come si fosse soli..., penso che per distaccarsi formalmente dal passato, occorre essere arricchiti al massimo del contenuto del passato, il supermarket offre una struttura che mette in evidenza alcuni elementi vitali che son propri della città moderna, l’abilità si è spinta fino al gioco, se alla popolazione non dispiacciono queste mie costruzioni è perchè hanno più della casa per la festa, che del monumento, ero libero dalle forme della vecchia città recintata di mura e di torri, la strada, la tenda... e leggete lo stupendo saggio di Leonardo Ricci su l'uomo Michelucci, percorrendo l’arco delle sue costruzioni, nelle quali dopo le strutture rettilinee, via via il disegno si muove nelle piante, e la visione si articola negli alzati già avvicinando nella chiesa del Belvedere — perchè una copertura in cemento armato non è una struttura ma un telo teso — l’impiego del cemento non in termini di soggezione ad una economia tecnico-strutturale, ma di un impiego al servizio della volontà dell'architetto di creare e configurare degli spazi, con scioltezza e direi irriverenza ai ritmi e modi con cui le strutture cementizie si son presentate a noi, e volgendole finalmente al nostro uso ed estro, da muratore più che da calcolatore. Da Leonardo Ricci, con parole di volta in volta più belle e commosse, sarà portato il lettore alla chiesa dell’Autostrada del Sole, ed a quella di San Marino che la seguirà, ed all’augurio di altre opere.

Noi, attardandoci sotto la sua tenda metteremo l’accento sulla atmosfera che egli ha creato entro questo simbolo, come sentirà chi visita la sua chiesa.

Domus 413, aprile 1964

La quale poi, tanto è genuina che è vernacola e campagnola, ed è toscana; non lo so spiegare, ma lo è. S’è anche scritto che è fatta perchè i molti che corrono sulla autostrada sostino, e l’uomo incontri se stesso. Dirò che incontrerà Dio, perchè è proprio per questa via del mistero che è sigillato in ciascuno di noi viventi, che noi si conosce il soprannaturale, dal quale scende la conoscenza di ogni cosa, e l’ispirazione di ogni gesto.

E che questo invito venga da una chiesa cattolica, la quale del cristianesimo alberga le immagini e i simboli, e le storiche e drammatiche allegorie ed evocazioni, è il più alto onore e rango che ad essa possa venire attribuito, perchè è del cristianesimo richiamare gli uomini a questa elevazione di pensieri in nome di una fraternità (asserita anche con eroico prezzo di sacrificio) fra gli uomini, onde nelle nostre coscienze civili non possiamo non pensare a tutti gli uomini, nella presenza religiosa del sovrannaturale, di Dio, e nelle parole di Gesù.

Domus 413, aprile 1964

S’è così posto l’accento sulla genuinità dell’opera di Michelucci, perchè questo richiamo non è mediato dall’architettura, ma viene attraverso la “sua” espressione architettonica, da lui, da una voce d’uomo, espressa in un’opera la cui singolarità rappresenta la verità; pensate cosa sarebbe stato d'importuno, una chiesa formalmente “accademica” e “tradizionale” in quel luogo; invece di questa chiesa capitata lì, volata lì, dalla autostrada stessa, e sorta come un albero, da una semente portata dal vento.

Con questo episodio rasente al rapido fiume dell'autostrada, si adempie una espressione della nostra civiltà, che per essere vera, cioè intera, deve avere il luogo dove possa avvenire l’incontro dell'uomo col soprannaturale e, nel medesimo tempo, con la coscienza.

Sia lode a quelli che l’han voluta, ed hanno così onorato nel modo più alto i loro morti nel lavoro. E per questa chiesa l’Autostrada del Sole, si riattacca alle nostre strade che menano per famose architetture attraverso città, luoghi e castelli. Le altre nostre autostrade sono orfane di architetture.

Domus 413, aprile 1964

Scrissi un giorno : “costruire una chiesa è come ricostruire la religione, restituirla alla sua essenza, al Mistero, al Divino, al Sacro”. Tu hai fatto così, Michelucci, e te ne ringraziamo. Ma ho corretto anche quel mio scritto così : “è come ricostruire, prima dentro noi stessi, la religione, ricondurla prima dentro noi stessi, alla sua essenza”. Tu hai fatto così, e lo riconosciamo nella tua opera.

(Qualcuno m’ha insinuato: dire a Michelucci che ora può morire felice, che cattivo gusto: alla larga. Che sciocco, Michelucci, quel tale! che uomo prefabbricato! come se gente come noi due alla nostra bellissima età non fossimo accompagnati sempre dal forte pensiero del morire senza paura del morire, ringraziando Iddio di questa elargizione: come se non fosse quel pensiero il più alto che è consentito ad un uomo, quello che più lo avvicina a Dio; come se in esso un uomo non sia finalmente “liberato” finchè vive — e nell’augurio di vivere a lungo — per pensare bene ed operare bene nella propria arte; come se nell'operare quel pensiero, fra tante vicende malsicure ed incerte, non ci fosse la guida più benefica, generosa, sicura e certa, nella vicenda più certa! Come se di poter morire felici per la maestria della propria opera non fosse l’augurio più alto, il conforto più grande, anzi l’unico, alla nostra vita d’architetti. Ma chi ti ama e di ammira, Michelucci, ti considera maestro, e prega perchè quest'ultima felicità sia ancora lontana per essere ancora più ricca di opere.

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