Sia che derivi da un’ostessa garbata, da un combustibile fossile o dalla Triennale, sia che abbia origini oscure, talvolta il toponimo è parte dell’incantesimo (o della dannazione) di un luogo, che spesso finisce per essere riconoscibile proprio grazie alla particolarità del suo nome. Domus ha selezionato 9 luoghi dal toponimo singolare che, al di là della curiosità che solleticano, racchiudono storie inaspettate, talvolta in sintonia, talvolta in netto contrasto, con il loro nome.
Da Metanopoli a Zen 2: 10 strani toponimi spiegati
Guida a nomi strani e bizzarri di luoghi italiani, tra architetture celebri e atmosfere inaspettate.
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- Chiara Testoni
- 05 febbraio 2025
Ad esempio, nonostante l'epiteto grigio e industriale, Metanopoli è un quartiere ricco di verde e spazi aperti; nei quartieri della Maggiolina o della Garbatella architetture e atmosfere accattivanti traducono la piacevolezza dell’epiteto: dalle case a forma di zucca come spuntate da una favola, alle atmosfere paesane nel cuore della metropoli. Il numerico QT8 sviluppato da Piero Bottoni racchiude nel suo nome in codice la storia della Milano del dopoguerra e del suo incontro con l’architettura moderna, così come, più lontano, la Scarzuola racconta del dopoguerra la parte di fascinazione per il mistero e la meraviglia. “Stat rosa pristina nomine” – la rosa primigenia esiste nel nome – citava Umberto Eco, ma forse per alcuni luoghi la regola non è così netta.
La zona prende il nome da un'antica cascina demolita nel 1920 che sorgeva lungo il corso del Seveso, approssimativamente sul luogo dell'attuale via della Maggiolina. Il quartiere conserva ancora oggi architetture di un certo rilievo, tra cui due delle otto le case a igloo progettate da Mario Cavallè tra il Villaggio dei Giornalisti e il quartiere Maggiolina nel 1946, dal caratteristico sistema costruttivo a volta in mattoni forati disposti a losanghe convergenti (da cui il soprannome di “case zucca”), e la razionalista Villa Figini progettata da Luigi Figini come propria abitazione nel 1935.
Il nome del quartiere Garbatella, nato nel 1920 come città-giardino per i lavoratori delle fabbriche lungo la via Ostiense, ha origini oscure: che sia dovuto alla piacevolezza del sito, a un tipo di coltivazione della vite “a garbata” o a una leggendaria e amabile figura di ostessa della zona, il quartiere divenuto popolare dopo la seconda guerra mondiale ha ancora quell’aria di “paese” dove il carattere rurale dialoga con diverse influenze architettoniche, tra cui il cosiddetto barocchetto romano introdotto da Gustavo Giovannoni. Il quartiere è stato una quinta prediletta di narrazioni letterarie e cinematografiche, da Pasolini, a Nanni Moretti, a “I Cesaroni”.
Il quartiere sperimentale, progettato da un team con a capo Piero Bottoni, venne concepito nell'ambito dell’ottava Triennale di Milano svoltasi nel 1947. Con abitazioni, servizi, infrastrutture e spazi pubblici regolamentati da un disegno urbanistico accurato, il quartiere registrava tutto l’entusiasmo della ricostruzione post-bellica, tradotto in un lessico ispirato tanto all'opera di Le Corbusier quanto al concetto di città-giardino. Al suo interno, il Monte Stella, un'altura artificiale costituita con le macerie di tutti gli edifici distrutti a seguito dei bombardamenti subiti dalla città.
La frazione di S. Donato Milanese pensata da Eni per i suoi lavoratori era concepita, su masterplan di Mario Bacciocchi, come una città ideale completa di una serie di edifici per rendere il più possibile equilibrato il rapporto tra vita e lavoro: il centro direzionale, con gli uffici centrali delle società del gruppo, il quartiere scientifico con i laboratori, il quartiere industriale con le officine ed i magazzini, il motel per i camionisti e gli automobilisti, la stazione di servizio e di rifornimento ed il quartiere residenziale con le abitazioni dei dipendenti, la chiesa, gli impianti sportivi. Oggi conta circa 6 000 abitanti ed è un comparto urbano tutelato.
Dopo lo sfollamento nel 1952 dai Sassi di Matera degli abitanti, che qui vivevano in condizioni di estrema povertà, la città ha dovuto fare fronte ad un imponente esodo, realizzando quartieri popolari idonei al trasferimento di circa 2/3 della popolazione. Tra questi luoghi, appositamente progettati con l’obiettivo di preservare i valori storici della vita di relazione e della prossimità su cui si basava la società popolare di allora, c’è il Borgo La Martella, ideato da Ludovico Quaroni e Adriano Olivetti, che prevedeva abitazioni e servizi di comunità (tra cui la chiesa). Si dice che ai primi abitanti che vi si insediarono furono donati una mucca e un carretto con le ruote gommate, forse per rendere più accettabile il passaggio dall’universo contadino ad una nuova dimensione urbana.
Il quartiere Zona Espansione Nord, interamente costituito da fabbricati di edilizia popolare, si suddivide in due aree abitative comunemente definite come "Zen 1" e "Zen 2", quest’ultima connotata da strutture architettoniche cosiddette “insulae”. Il comparto urbano è afflitto da consolidate problematiche di degrado ambientale e sociale. Di recente sono stati avviati percorsi partecipati tra Università, Comune e residenti per migliorare l’offerta di servizi e ridurre la criminalità.
Nell’area di un convento sulle colline umbre, l’architetto milanese Tomaso Buzzi ha dato vita alla sua “città ideale”: una vera e propria allegoria escatologica dell’esistenza narrata attraverso il linguaggio ermetico della massoneria settecentesca. Il complesso è, come l’architetto lo definì, "un'antologia in pietra", una grande scenografia teatrale che legittima il recupero di elementi del passato: da Villa Adriana, agli edifici dell'Acropoli, al Bosco di Bomarzo. La visione progettuale sottende un percorso iniziatico che si dipana tra gli edifici e rappresenta un confronto con l’Inconscio, secondo il modello sviluppato da Jung e basato su figure archetipiche.
Nata dalla visione di Edmondo Rossoni, Ministro dell’Agricoltura e Foreste degli anni ’30 sulla base del modello delle “città nuove” realizzate tra le due guerre, Tresigallo è una “capitale” del razionalismo italiano: palazzi rigorosi, torrette, portici di marmo, cilindri, coni, parallelepipedi, archi intatti nel tempo restituiscono l’atmosfera metafisica e ancora invariata di una città ideale nata “a tavolino”.
La cittadella direzionale, progettata sul masterplan di Kenzō Tange in un sito industriale dismesso, è caratterizzata dall'ampio asse centrale, al di sotto del quale si dispongono i parcheggi, e lungo il quale in superficie si distribuisce una sequenza di piazze e grattacieli. Il comparto, ispirato al pensiero di Le Corbusier, rappresenta uno dei primi tentativi riusciti di separazione netta tra traffico automobilistico e pedonale. La costruzione dei grattacieli venne affidata ad architetti di fama internazionale, tra cui Renzo Piano (palazzo dell'Olivetti), Massimo Pica Ciamarra (le due Torri ENEL) e Nicola Pagliara (Torri del Banco di Napoli e Palazzo dell'Edilres). La Torre Telecom Italia, con i suoi 129 metri d'altezza, è uno degli edifici più alti d’Italia.