Con casa Scaccabarozzi, Alessandro Antonelli introduceva nel tessuto costruito della Torino di fine XIX secolo un edificio filiforme come risposta ardita a stringenti vincoli spaziali: un fabbricato abitativo che recuperava in altezza la superficie inibita dalle ridotte dimensioni in pianta del lotto e che tutt’oggi si staglia fieramente tra i fabbricati sfidando le leggi della statica con la sua inusuale forma esile ed affilata di “fetta di polenta”.
A distanza di tempo e di spazio, l’architetto indonesiano Ary Indra accoglie con entusiasmo la sfida del suo predecessore, progettando un edificio che si innesta come una scheggia verticale in un lotto di dimensioni esigue a Salatiga, in Indonesia.
PituRooms si colloca in un lotto stretto e lungo di 12 x 2,8 m, un’area residuale precedentemente occupata da una discarica a seguito dell’assenza di principi regolatori nel disegno urbano della zona. La possibilità di colmare in altezza la capacità edificatoria consentita nell’area ha dato luogo ad un fabbricato ad uso ricettivo sviluppato su cinque piani che svetta sullo skyline per la sua sagoma alta e sottile, e per il rivestimento in pannelli di pietra arenaria di Agra che accendono la costruzione di un rosso vivace. Il volume scarno ed essenziale è animato dalle finestre regolari sulle testate e sul fronte orientale, dove fenditure si aprono come branchie per lasciare filtrare internamente la luce, e dalle gabbie dei locali tecnici in acciaio a sbalzo alle estremità.
Il layout interno elabora ogni singolo centimetro di superficie in modo efficiente e funzionale. Come recita il nome (“pitu” nel linguaggio locale significa “sette”), l’hotel ospita sette camere, che occupano l’ampiezza dell’edificio nelle testate e che ospitano in uno spazio minimo e compatto di 2,8m x 3m in pianta e 2,4 m un letto matrimoniale e un servizio. La distribuzione interna è affidata ad una scala centrale con struttura in acciaio e passerelle a griglia metallica che alleggeriscono la densità dello spazio e lasciano filtrare la luce naturale ai vari livelli. Nell'area interstiziale tra le camere e la scala, è inserito un ascensore a forma circolare di diametro 75 cm con parete in acrilico, per l’abbattimento delle barriere architettoniche. All’ ultimo piano, un bar/ristorante si apre su una terrazza sul retro, offrendo agli ospiti una vista panoramica sulla città.
In un tempo in cui l’architettura nel settore ricettivo (ma non solo) spesso è subordinata ad esigenze di marketing che rincorrono i primati più estremi – l’hotel più alto, il più grande, il più lussuoso e così via – questo intervento accoglie con ironia e divertimento la sfida del superlativo, proponendosi come “l’hotel più smilzo del mondo”, e accendendo di nuovo i riflettori su un tema caro alla storia dell’architettura: l’existenzminimum, lo spazio minimo ad elevata funzionalità in grado di corrispondere efficacemente ai bisogni essenziali e irrinunciabili dell’individuo che – dal CIAM del 1929, a Le Corbusier, alle capsule abitative del Metabolismo giapponese – dimostra ancora oggi come attraverso un progetto efficace anche il disagio possa trasformarsi in opportunità, e come quanto poco spazio sia effettivamente necessario per potere vivere e muoversi comodamente.
- Capo progetto:
- Ary Indra
- Committente:
- CV. Pitu Untung Sahaja
- Ingegneria strutturale:
- PT. Cipta Sukses
- Impianti meccanici ed elettrici:
- Eranto Prasetyadi
- Costruzione:
- Eranto Prasetyadi