La distopia di un enorme complesso residenziale come strategia anti-incendio di Tokyo

Higashi-Shirahige incarna l’approccio unico del Giappone alla prevenzione dei disastri. Costruito negli anni ’80, è una barriera antincendio abitabile che simboleggia la preparazione estrema.

1,2 kilometri di barriera frangifuoco, un muro urbano che corre lungo le sponde del Sumida: Higashi-Shirahige è un complesso residenziale di 18 blocchi di appartamenti interconnessi, ciascuno alto 15 piani, che definisce aree sicure e non sicure, separando il tradizionale tessuto minuto e in legno dal parco sul fiume.

Come prototipo di “edificio sicuro” sviluppato nell’ambito del Tokyo Development Plan for Disaster Prevention del 1995, che ha irrevocabilmente dato forma alla città identificando una rete di prevenzione dei disastri fatta di strutture resistenti al fuoco che circondano clusters di case in legno, il complesso Higashi-Shirahige è un’enorme infrastruttura abitabile. La facciata sulla cittadella è dotata di barriere che, una volta chiuse, bloccano la propagazione del fuoco. Quella lungo il fiume è scandita da venticinque idranti che definiscono una striscia di terra sicura, un parco lungo e stretto.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Vista aerea del complesso

Tra rigidità e cedevolezza

In Giappone, più che terremoti, inondazioni e tsunami, il fuoco ha rappresentato, e continua a rappresentare, la principale minaccia da cui difendersi. Politiche urbane e interventi mirati costruiscono le città considerando il disastro, l’imprevisto, l’emergenza, come condizioni alternative, sempre possibili, non eccezionali, con cui progettare. Abitare su un suolo instabile ha portato allo sviluppo di un approccio alla distruzione e alla sicurezza radicalmente diverso da quello occidentale. In quest’ultimo, la resistenza è stata storicamente sinonimo di forza strutturale e materiale. Al contrario, nel caso giapponese, la resilienza si è tradizionalmente fondata sulla cedevolezza e duttilità dell’ambiente costruito più che sul suo rafforzamento, traendo forza da un deliberato ciclo di distruzione e ricostruzione che ha avuto, e continua ad avere, un forte impatto pratico e concettuale sul progettare e costruire le città.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Taro Ohtani

Sin dal periodo Edo, a causa della natura lignea dell’ambiente costruito, la prevenzione degli incendi – spesso causati dalle scosse sismiche – ha disegnato lo schema urbano. La funzione primaria dei fossati e dei bastioni che circondavano il Castello di Chiyoda non era tanto quella di difenderlo da possibili assalti militari, ma piuttosto quella di formare un’estesa barriera al fuoco fatta di acqua e mura. Intorno al castello, edifici rivestiti in malta e quindi resistenti, i dozo, si alternavano con architetture in legno deliberatamente fragili, le yakiya (letteralmente: edifici combustibili) che potevano essere demolite in caso di fuoco per generare vuoti che avrebbero fermato la propagazione delle fiamme.

Un’enorme e autosufficiente infrastruttura abitabile, dotata di idranti e interamente richiudibile tramite barriere in acciaio, che divide irrevocabilmente, per chilometri, aree in legno da quelle in cemento, zone bruciabili da quelle non bruciabili, spazi insicuri da spazi sicuri.

I dozo erano magazzini collettivi in cui potevano essere riposti futon, tatami, cibo, tutto ciò che definiva il domestico, che doveva essere protetto dalla distruzione per poi essere ripreso a fine dell’emergenza. I giunti a secco delle costruzioni in legno ne permettevano invece un rapido smontaggio e riuso successivo, riflettendo così la primaria strategia di resilienza: la permanente e ciclica ricostruzione. Questo permetteva, da un lato, un certo grado di controllo sociale ed economico, che passava attraverso le nuove configurazioni della città, e dall’altro, rispecchiava l’approccio giapponese dello shoganai, un atteggiamento di laissez-faire verso i fenomeni al di fuori del controllo umano.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Taro Ohtani

La precarietà era quindi consapevolmente costruita: era la combinazione tra la resistenza di alcuni elementi urbani e la duttilità di altri che consentiva alla città nel suo insieme di resistere, in una concezione della sicurezza basata sull’immunità dei corpi piuttosto che sulla conservazione del costruito. 

Tra ordinario e straordinario

La Tokyo contemporanea può essere letta come l’evoluzione e il risultato dell’approccio tradizionale di normalizzazione dell’emergenza, dove dalla scala della città fino a quella della singola unità abitativa, coesistono stato di quiete e potenziale distruzione.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Beatrice Balducci

E’ infatti riconoscibile un sistema multiscalare e multidimensionale, una sorta di  spina dorsale sicura per continuare ad abitare in condizioni straordinarie, fatta di piani urbani, infrastrutture, oggetti che hanno intrinseca la dualità ordinario-straordinario: dalle strade, ai vuoti urbani, ai parchi di evacuazione, passando per serbatori d’acqua e torri dell’elettricità, konbini, cartelli stradali, pubblicità, fino ad arrivare alle botole o alle imbragature in ciascun appartamento per calarsi a piano terra in caso di incendio.

La principale trasformazione della città è avvenuta con il Tokyo Development Plan for Disaster Prevention del 1995 che, a partire dalla ricognizione dei densi complessi in legno e delle zone più vulnerabili, ha previsto una principale rete di strade sicure per l’evacuazione, delle cinture urbane antincendio, e enormi spazi aperti per consentire il rifugio in caso di disastro.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone.Foto Beatrice Balducci

Strutture resistenti al fuoco di media altezza hanno iniziato a sorgere rapidamente per circondare i clusters di case in legno tradizionali in quella che Yoshiharu Tsukamoto ha definito una “strategia raviolo”, una relazione di tipo “crosta e ripieno” simile a un pasticcino. A causa della loro vulnerabilità, questi “urban villages” su piccola scala sembrano essere destinati a scomparire gradualmente in favore di complessi più resistenti. Nell’area di Shinjuku, ad esempio, si stima che un terremoto di magnitudo 8 potrebbe provocare incendi che brucerebbero completamente le case in legno entro 24 ore. Di conseguenza, lungo le strade principali, sono stati costruiti edifici che fungono da mura antincendio non tanto per proteggere questi complessi vulnerabili, ma per evitare la propagazione del fuoco che da questi si potrebbe generare.     

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Beatrice Balducci

Tessuto urbano plasmato dal fuoco

Il complesso di Higashi-Shirahige, costruito a metà degli anni ’80 e ufficialmente istituito come parte del Piano di Sviluppo di Tokyo nel 1995, rappresenta un prototipo distopico dell’ “edificio sicuro” che compone le cinture antincendio della città, essendo concepito come un’enorme e autosufficiente infrastruttura abitabile, dotata di idranti e interamente richiudibile tramite barriere in acciaio, che divide irrevocabilmente, per chilometri, aree in legno da quelle in cemento, zone bruciabili da quelle non bruciabili, spazi insicuri da spazi sicuri.

Innestandosi in una precedente area industriale, l’edificio è progettato in relazione alle infrastrutture che lo circondano: il fiume Sumida a ovest, e due ponti che collegano il quartiere con le sponde opposte sui lati nord e sud. Tra lui e il fiume, il complesso delimita una striscia di terra verde, il cosiddetto bousai koen (bousai=prevenzione dei disastri, koen=parco), una specifica tipologia di parco urbano a doppia funzione, composto da un insieme di micro-infrastrutture e oggetti, come panchine apribili che diventano cucine da campo, tombini che possono essere utilizzati come servizi igienici, aree giochi interamente richiudibili che diventano rifugi, serbatoi d’acqua e generatori di energia off-grid, che costituiscono la spina dorsale di un potenziale insediamento temporaneo per 80.000 persone.

Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Beatrice Balducci

Higashi-Shirahige, conosciuto come “the Great Firewall of Tokyo”, ospita 4800 residenti annidati lungo i 18 blocchi interconnessi e intervallati da otto aperture che, attraverso barriere e cancelli in acciaio, possono eventualmente essere chiuse per garantire la continuità del muro. Serrande e sprinkler definiscono la facciata est verso quello che un tempo era il villaggio urbano in legno, mentre venticinque idranti, controllati da sistemi Cctv, scandiscono la facciata ovest verso il parco. Nel piano interrato, generatori off-grid garantiscono il funzionamento del sistema in caso di blackout.

Molto criticato nel dibattito intellettuale, ma fortemente sostenuto dalla municipalità e dal governo, nella sua esistenza di oltre 30 anni, Higashi-Shirahige non ha mai dovuto funzionare come barriera al fuoco. Tuttavia, è continuamente sottoposto a manutenzione per garantire il corretto funzionamento della sua seconda e potenziale funzione, rappresentando il binomio ordinario-straordinario, rigidità-cedevolezza, proprio del tessuto di Tokyo.  

Immagine di apertura: Higashi-Shirahige, anni ‘80, Tokyo, Giappone. Foto Beatrice Balducci

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