Le città sono la soluzione alla pandemia. E saranno sempre più globali

Lo dicono i risultati di una ricerca internazionale su 20 città che ha coinvolto sindaci, urbanisti, sociologi ed economisti. Ne risulta la conferma uno scenario sempre più digitalizzato, da un lato, e locale, dall’altro.

La pandemia colpisce tutto il popolo (pan demos, in greco antico) e soprattutto quello delle città. Wuhan, Milano, Parigi, Londra, Madrid, New York, Mumbai, San Paolo: tutti hub economici globali densi e inquinati. È lì che il contagio più che altrove circola grazie al contatto. Quel “con” che ci tiene insieme si traduce in un “dis”-valore, richiede una “dis”-tanza fisica. Aveva dunque ragione cent’anni fa Bruno Taut scrivendo La dissoluzione della città

Taut, che pure di housing sociale se ne intendeva (ha guidato la costruzione delle bellissime case operaie a Berlino, le siedlungen semicircolari, negli anni ’20), nella sua opera visionaria proponeva cooperative di lavoro, produzione decentralizzata in unità disperse nella regione, economia circolare e agricoltura multifunzionale in serre, abitazioni ecologiche ed energia idrica, eolica e solare. Sembra già un manifesto ecologista con un secolo di anticipo. Questi modelli sono stati però poi elaborati per élites abbienti e colte, mentre si è aggravato lo stato delle periferie delle megalopoli e dei territori spopolati. Manca del tutto l’innovazione portata da Taut, quartieri di qualità per operai fuori città. Mentre la domanda sociale se resta inevasa, esplode. 

Hufeisensiedlung, Bruno Taut, Berlino, Germania, 1925

Nei primi giorni dell’emergenza Covid-19 la città di Chicago ha varato un programma di assistenza alle famiglie senza casa: prevedeva di aiutare 2.000 famiglie, hanno risposto in 83.000. Negli Stati Uniti, il Bureau of Census (luglio 2020) mostra che su 71 milioni di famiglie in affitto circa un terzo hanno dichiarato che non saranno in grado di pagare la prossima rata mensile: si prevede che milioni di americani perderanno la casa.

La Fondazione ENI Enrico Mattei si occupa di sviluppo sostenibile e decarbonizzazione al 2050, per questo ha promosso una ricerca internazionale in 20 città del mondo, intitolata “Quale futuro per le città dopo il Covid-19”.

La ricerca è stata condotta grazie alle risposte di esperti di ciascuna città, un panel professori di urbanistica, economia, sociologia, geografia di importanti università, direttori di centri di ricerca a Bangalore in India o Accra in Ghana, di fondi di investimento in Arabia Saudita, di rappresentanti di organismi internazionali basati in città come Tunisi o Beirut. 

Il quadro che emerge è molto articolato e i risultati inattesi sono stati molti: il principale è che vi sia stata convergenza su tendenze comuni da parte di città così diverse come quelle Occidentali, Orientali e dei Sud del mondo. Le città ne escono come la soluzione, non il problema posto dalla pandemia, e da parti così diverse del mondo si è convenuto su un concetto di “augmented city”, una città aumentata anziché diminuita dall’ evento pandemico. 

Tutte le città, pur nelle grandi differenze mostrano una tendenza comune: diventeranno “glocali”, ovvero in grado di coniugare il globale e il locale. Soprattutto le catene del valore  saranno accorciate e regionalizzate, con un effetto di rimessa in discussione dell’attuale forma assunta dalla globalizzazione nei confronti delle città. Il turismo e la cultura saranno colpiti nelle attuali modalità di fruizione, ma erano forse già insostenibili. 

Bangalore, India. Foto Sanket Shah, unsplash

Si avranno modalità nuove di consumo, più locali appunto nei contenuti. E più attente alla produzione culturale anziché al solo consumo culturale. Il mondo della produzione e del lavoro sarà rivoluzionato perché prevarrà ovunque il telelavoro, il lavoro in modalità remota, per i lavori non manuali. Perfino i lavori manuali saranno interessati in modo massiccio da processi tecnologici di automazione, robotizzazione, teleassistenza. In pratica il progresso tecnologico sarà accelerato: ma sappiamo che ogni progresso comporta distruzione di lavori e sofferenza sociale per molti.

L’urbanizzazione ne risulterà modificata: con una percentuale di telelavoro del 30-40% (oggi è al 3-4%) nelle città più sviluppate dell’Occidente, cambierà il modo di lavorare e gli spazi “urbani” si dilateranno, decentrandosi verso il periurbano e la campagna urbanizzata.  

Nelle città dei Sud del mondo questa tendenza si presenterà invece legata al necessario risanamento degli slums e dell’informale, in cui le possibilità di lavoro e di abitazione sono radicalmente diverse. Ma i due mondi si mescoleranno sempre di più: in città sviluppate degli stati più ricchi saranno presenti modalità da Sud del mondo, mentre nelle città in via di sviluppo entreranno processi più avanzati di produzione, lavoro e consumo. Di qui una maggior polarizzazione sociale in entrambi gli emisferi. 

Tutto questo richiede una governance che sarà anch’essa più locale. Lo Stato, nella pandemia, è infatti ridivenuto l’attore-chiave, mentre i meccanismi di mercato e la privatizzazione (della città, della sanità, dei servizi) sono meno centrali di prima. Ma lo Stato dovrà a sua volta “localizzarsi”, ridefinirsi come attore locale: non potrà affidarsi alle sole burocrazie centrali. 

I modelli di consumo vedranno a loro volta la prevalenza dell’online shopping accanto a una ripresa dei negozi locali e di prossimità, mentre saranno messi fuori mercato i grandi centri commerciali (ma non nei Sud del mondo, in cui la classe alta e media nascente continueranno a privilegiarli).

Accra, Ghana. Foto Virgyl Sowah, unsplash

L’intera questione delle infrastrutture, internet ed energia, si proporrà come cruciale. Le città dovranno superare il divide digitale nelle periferie, e creare comunità energetiche rinnovabili su base di quartiere e di edificio. I trasporti pubblici conosceranno una crisi e un deficit di bilancio, mentre il trasporto individuale sarà rafforzato a favore di modalità di circolazione non motorizzata, e la motorizzazione spingerà nel medio termine verso l’elettrificazione e nel lungo termine verso l’idrogeno (processi molto intensi sia nelle città dell’Occidente che, ancora di più, in Cina). Nei Sud del mondo il trasporto pubblico sarà l’unico a poter dare risposte alla domanda di mobilità, e dovrà essere più sostenibile.

In definitiva le città saranno sempre più importanti, non meno importanti. La loro risposta, pur variabile a seconda dei contesti, dipenderà dalle azioni collettive e dai regimi di governance che saranno messi in atto in ciascuna di esse, la cui tendenza sarà in ogni caso quella di aumentare il capitale pubblico, privato e infrastrutturale delle città.

Immagine di apertura: Wuhan, Cina. Foto Benjamin Chris, unsplash

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