Vivere sul posto di lavoro

La pandemia ci ha catapultati in una nuova realtà. Il lavoro da casa funziona davvero oppure ha semplicemente introdotto nuovi problemi e domande nelle nostre vite?

Mentre il mondo si muove dentro e fuori lockdown circoscritti, mentre si apre con speranza e si chiude con risolutezza e attenzione, l’unica costante di familiarità, a cui tanti sono abituati, appare la realtà di lavorare dalle proprie case. La linea non è solamente sfocata, ma nella maggior parte dei casi non esiste più. Come afferma Bonnie Hamilton, Carr Senior Interior Designer, “La necessità di essere sempre attivi, senza dubbio, influenzerà la salute mentale e il benessere”. Se per alcuni ha rappresentato una novità e per altri un avvenimento forzato e pesante, la questione non è affatto nuova soprattutto per i liberi professionisti, i piccoli imprenditori e i consulenti che oltre a esserci abituati, scelgono di farlo. Da fuori, quell’apparente scelta è stata vista con fascino e invidia, eppure nel bel mezzo di tale situazione, molti si chiedono se il quadro sia davvero ideale. In qualche modo, viviamo tanto in ufficio quanto lavoriamo da casa, ma, probabilmente, la novità è andata pian piano svanendo a causa delle sempre maggiori pressioni esterne e incertezze. Non esiste forse un motivo per cui il posto di lavoro debba essere inteso come una struttura positiva che offre una meta geograficamente dislocata in cui la concentrazione raggiunge i massimi livelli e l’andare via a fine giornata sprona alla motivazione?

Il battage pubblicitario

Nonostante le pressioni esercitate per anni dai datori di lavoro circa la produttività e l’efficacia del lavoro al di fuori del solito ambiente controllato, quest’ultimo anno ha confermato che quello da remoto può elargire analoghe ricompense. Nel passato, gli ideali del benessere e dell’equilibrio tra lavoro e vita privata sono stati citati come motivi per incoraggiare quello a distanza, in quanto evitare il pendolarismo e avere l’opportunità di svolgere faccende quotidiane durante la giornata comporta un migliore senso di appagamento, riducendo ansia o stress. Al contrario, ciò che è emerso è la rivisitazione dello spazio domestico in una serie di superfici di lavoro. La scissione tra quest’ultimo e il riposo è stata eliminata e non vi è una chiara definizione tra i due. Hamilton aggiunge: “La sacralità della casa come luogo di riposo e di ristoro è stata perturbata. Le nostre case non sono più solo uno spazio personale. L’onnipresenza tecnologica legata al lavoro dimostra che questo è riuscito a infiltrarsi ancora di più nelle nostre vite”. Se internet ci ha reso reperibili in ogni momento e in ogni luogo, ora anche lo spazio fisico delle nostre case come ambienti di riposo e di ristoro è stato diradato.

Eva Carmina Jervolino, Nakagin Monolith. Menzione d’onore Limitography, Manifesto di una Architettura Estroversa

I luoghi come simboli

Vi è un qualcosa di unico negli spazi intesi come simboli e negli spunti che l’architettura può suscitare. Nel modo in cui uno spazio caldo e materico può sentirsi intimo e uno solitario e che sfida l’organizzazione può essere meditativo, gli esseri umani hanno bisogno di spazi che li facciano sentire diversi e che li stimolino in modo diverso. Il luogo di lavoro tradizionale è privo di oggetti personali, vi è una nota ripetizione nelle postazioni o negli uffici e un’omogeneità nell’arredamento e nella progettazione. È un luogo di impiego, di concentrazione e non uno in cui si desidera rimanere più a lungo del necessario. Al contrario, la casa è tradizionalmente uno spazio personale, un luogo di connessione, di personalizzazione, un santuario. Eppure, in qualche modo, li abbiamo fusi aspettandoci gli stessi risultati. Parlando dell’importanza degli spunti ambientali e dello spazio fisico come facilitatore della produttività, Hamilton asserisce: “Si può dire molto sul dislocamento di queste strutture in un ambiente domestico. È importante creare una separazione visiva laddove possibile, ad esempio allestendo nella propria casa una stanza adibita a ufficio e chiuderla di notte per tracciare una barriera fisica fra il lavoro e lo spazio personale. Gli ambienti che spesso si trovano sul posto di lavoro sono tipicamente insonorizzati, con una distrazione visiva e sonora limitata, garantendo così una maggiore concentrazione”.

Nonostante il tavolo da pranzo e la postazione siano entrambi superfici orizzontali con quattro gambe, le funzioni e le sensazioni che provocano sono molto diverse. Uno è un luogo di impeto, fili, carta, penne, telefoni che squillano ed e-mail a cui rispondere; l’altro è uno spazio di unione, di ristoro e di socializzazione. L’immagine della postazione di lavoro è molto diversa da quella del tavolo da pranzo, eppure abbiamo involontariamente lasciato che il primo prendesse il sopravvento sul secondo. Il tavolo, il piano della cucina o qualsiasi altra superficie sono diventati spazi su cui lavorare e la gioia nostalgica che ne deriva è scomparsa. La domanda quindi è: come la recuperiamo e come possiamo reintrodurre una definizione di scopo?

Eva Carmina Jervolino, Nakagin Monolith. Menzione d’onore Limitography, Manifesto di una Architettura Estroversa

La necessità di organizzazione

Il potere degli oggetti come simboli è incredibilmente significativo, così come la necessità di organizzazione per creare e consolidare uno scopo. Il pendolare di per sé simboleggia un rito e un elemento chiave al fine di stabilire un’organizzazione. La distanza fisica fra due ambienti suggerisce un cambiamento psicologico e permette una variazione nelle modalità di pensiero, Hamilton aggiunge “Più che un semplice divario fisico, il pendolarismo dato dal lavoro crea un divario temporale, al mattino ci si prepara mentalmente per l’ufficio e la sera ci si rilassa prima di tornare a casa. Stare in un ambiente d’ufficio rivela come i confini tra la persona che lavora e la persona al di fuori di esso siano ben indicati e possano essere mantenuti". Per quanto ci si sforzi, gli spunti visivi di uno spazio possono raramente essere sostituiti con un altro, e a volte è lo spostamento geografico tra il lavoro e la casa che consente di separare le due cose. Storicamente, poter lasciare il posto di lavoro e non essere contattati, non essere in grado di lavorare o di svolgere qualsiasi attività (come, ad esempio, i propri mezzi o quelli presenti all’interno dell'ufficio stesso) ha aiutato a diffondere il passaggio mentale da una modalità all’altra. Nel modo in cui gli oggetti suscitano sentimenti di azione, anche l'architettura che ospita tali oggetti incarna lo stesso potere, perciò non sorprende che la condizione attuale abbia reso difficile la scissione fra le due cose.

La soluzione intermedia

Sebbene il quadro attuale appaia come un nuovo e forzato cambiamento, ha comunque dimostrato l’efficienza e l’efficacia di lavorare in ambienti non tradizionali. Tuttavia, se questi possano tuttora considerarsi come preziosi spazi “domestici” di ristoro è una domanda alla quale non abbiamo ancora trovato una risposta. Nel frattempo, mentre continuiamo a vivere nel lavoro, potremmo dover imporre un’organizzazione rigida, la non personalizzazione di tale “zona”, risvegliando il pendolarismo e dando vita a spazi che rappresentino più simbolicamente un punto focale qualora volessimo preservare qualsiasi parvenza di ciò che amiamo e di cui abbiamo bisogno dalle nostre case.

Immagine di apertura: Federica Sanchez e Sara Sagramola, Abitacolo Fluido. Menzione della Giuria Limitography, Manifesto di una Architettura Estroversa

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