Natalie Mossin: “La condivisione deve avvenire a livello globale per poi operare a livello locale”

Le responsabilità dell’architettura sul piano economico, ambientale e sociale. E il ruolo giocato dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Una conversazione con l’architetta danese, direttrice dell’Institute of Architecture and Technology al KADK di Copenhagen.

Questo articolo è stato pubblicato in origine sull’allegato di Domus 1038, settembre 2019 “Il ruolo dell’architettura non è cambiato. Sono aumentate le problematiche e le sfide che essa deve affrontare. Non è certo una novità che l’architettura abbia grandi responsabilità, la differenza è il peso maggiore che hanno oggi. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite hanno reso tutto ciò molto visibile. Se li guardiamo nel loro insieme, ci accorgiamo che toccano aspetti diversi della progettazione e che comportano responsabilità ambientali, economiche e sociali. Proprio nel fatto che tengono insieme tanti ambiti di intervento è racchiusa la loro bellezza”. Natalie Mossin non ha dubbi. L’architettura deve avere un ruolo attivo e interagire con la società, con i cittadini, con i governi e con le aziende. Deve aumentare la qualità di vita nel rispetto del pianeta. “Credo che tutti i 17 goal abbiano uguale importanza, tuttavia mi preme sottolineare l’ultimo: le partnership”, prosegue. “Per provocare un vero cambiamento è fondamentale coinvolgere le persone e le comunità, valutare il carattere dei luoghi. In Danimarca, l’inclusione delle comunità nei processi decisionali fa parte della cultura ed è regolato dalla legge. Viaggiando ho visto progetti di condivisione in Africa, India e Stati Uniti in cui collaborano architetti, ingegneri, comunità locali. Purtroppo, non riguarda la maggioranza dei casi. “Il dialogo tra professionisti e comunità ha ripercussioni positive per ambedue le parti, sul progetto come pure sul rafforzamento e avanzamento della comunità, ma è necessario che gli architetti stessi siano i primi a credere in questa partnership”.

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes costruito a Auroville (India) nel 2015

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes costruito a Auroville (India) nel 2015

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes costruito a Auroville (India) nel 2015

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes alla mostra “Building Knowledge: An inventory of strategies” alla 15ma Biennale di Architettura di Venezia, 2016

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes alla mostra “Building Knowledge: An inventory of strategies” alla 15ma Biennale di Architettura di Venezia, 2016

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes alla mostra “Building Knowledge: An inventory of strategies” alla 15ma Biennale di Architettura di Venezia, 2016

Foto Javier Callejas

Natalie Mossin Anapuma Kundoo, prototipo di Full Fill Homes alla mostra “Building Knowledge: An inventory of strategies” alla 15ma Biennale di Architettura di Venezia, 2016

Foto Javier Callejas

Comprendere a fondo la cultura e i modi di vivere locali può essere la chiave per raggiungere i goal?
Se in passato con il Movimento moderno si è creduto che esistessero soluzioni universali ai problemi, cercando riposte assolute – per esempio la cucina più efficiente – oggi è chiaro che non è così; vi sono più sfaccettature. Impossibile dare una risposta globale. Ciò che funziona per la Danimarca non può funzionare in Egitto. Dobbiamo considerare il clima, la cultura e le capacità locali, le produzioni e i materiali locali. Solo in questo modo realizzeremo la migliore architettura possibile per quel preciso luogo e contesto.

Sand Bench x 100 people 3.0. Seduta circolare realizzata con sacchi di sabbia in juta da rifugiati in Danimarca in collaborazione con Emergency Architecture Human Rights a Ofelia Plads, Copenaghen

Come possiamo trovare un equilibrio tra approccio globale e scala locale?
La condivisione deve avvenire a livello globale per poi operare a livello locale. Possiamo condividere calcoli capacità costruttive, esperienze, strumenti di simulazione e know-how in genere.
Se per esempio vogliamo utilizzare dei materiali locali risparmiando nel trasporto degli stessi e supportando l’industria e la comunità del posto, dobbiamo supplire con altro. L’architetta Anupama Kundoo ha raccontato, in una conferenza al Danish Architecture Center nel settembre 2018, come è riuscita a utilizzare, per un progetto in India, dei mattoni locali non particolarmente resistenti grazie ai calcoli statici di ingegneri tedeschi. Un metodo di calcolo avanzato, condiviso internazionalmente, ha permesso l’utilizzo di questi mattoni: conoscenza globale, materiale locale. Come architetti abbiamo un livello molto alto di conoscenza che possiamo condividere globalmente con grandi benefici.

Non-Gender Pavilion, Roskilde Festival, 2019, un progetto di Emergency Architecture Human Rights per il collettivo Unicorny Camp

Da un punto di vista accademico, percepisce da parte dei giovani un rinnovato interesse nei confronti di un'architettura sostenibile dal punto di vista ambientale e tecnologico, oltre che socialmente impegnata?
Sicuramente. Nel mio Istituto abbiamo un diploma di laurea e tre master. Tra questi, quello dedicato alla sostenibilità è richiestissimo. Il successo del corso indica che i giovani vogliono realizzare l’architettura del futuro e la vogliono sostenibile. Ho la sensazione che si tratti di un movimento più ampio della società. Sicuramente i giovani puntano al cambiamento ma vedo architetti impegnati di ogni età. È il caso del greco Vassilis Sgoutas, presidente onorario di UIA, che da anni si batte per queste cause. Abbiamo professionisti di tutte le età che credono in ciò ma le nuove generazioni hanno capito la situazione limite in cui si trova oggi il pianeta.

Scuola per il campo profughi di Zaatari, in Giordania, di Emergency Architecture Human Rights, 2017, parte del progetto 100 Classrooms for Refugee Children

Qual è l’obiettivo che gli studenti capiscono più facilmente?
Il numero 11, Sustainable cities and communities. Viene compreso immediatamente. Approfondendo ci si accorge che l’architettura interagisce con tutti e 17 i goal. Poi ognuno di noi è diverso: c’è chi predilige la parità di genere e chi la formazione. Ma tutti capiscono che i goal sono interconnessi e tutti ugualmente importanti.

In apertura: il nuovo campus scolastico nel villaggio di Azraq, Giordania, un progetto di Emergency Architecture Human Rights. È il secondo progetto del programma 100 Classrooms for Refugee Children in the Middle East