Simona Bertozzi

E se fosse la danza a definire l’idea di architettura?

Intervista con la coreografa e danzatrice Simona Bertozzi, sul suo Prometeo: Architettura – Milano, un’architettura mobile e nomade, al servizio della danza contemporanea.

Prometeo: Architettura

“Il gesto non finisce con il mio corpo e basta. Inizia e finisce perché attraversa il mio corpo e gli altri intorno. Trasmetto e lancio informazioni che vengono captate, se non ci sono altri corpi è lo spazio che le trasporta. Tutto questo è rivoluzionario. Tutto questo, forse, è architettura”. E se fosse la danza a definire l’idea di architettura? Simona Bertozzi, coreografa e danzatrice fra le più rilevanti nel panorama della danza contemporanea, arriva trafelata poco prima di andare in scena con Prometeo: Architettura – Milano al festival “MilanOltre”, al Teatro Elfo di Milano.

Quest’anno, la rassegna che da 32 anni porta sul palco le più interessanti sperimentazioni della danza contemporanea, dedica alla performer bolognese un focus sul Prometeo, progetto biennale di sei quadri coreografici organizzati intorno a una riflessione sul mito della figura mitologica che scoprì il fuoco.

Nel quinto quadro (all’Elfo anche il sesto quadro dal titolo And it burns, burns, burns), 13 adolescenti condividono uno stesso habitat scenico e dialogano attraverso il proprio corpo portando una riflessione dei movimenti nello spazio, fra danza e pedagogia. “M’interessava la narrazione di Prometeo come indagine sulla scrittura coreografica. Non solo del mito, ma dell’aspetto che più lo connette alla contemporaneità. La dimensione del dono che ha fatto all’umanità è stata per me un pensiero sulla tecné, sul saper fare, sul saper forgiare, sul dare forma”, spiega. 

Prometeo: Architettura

Per quale motivo l’hai intitolato Architettura?
C’è una genesi rispetto alla mia suggestione generale sulle creature di Prometeo create nell’Ottocento dal coreografo Salvatore Viganò (un fuoriclasse che nominato Maître de ballet a Vienna, collaborò con Beethoven e divenne Maître de ballet alla Scala). Il pioniere nella coreografia ha creato una dimensione di scrittura, il coreodramma, uno spartiacque tra dimensione coreografica precedente e visione dell’anatomia del corpo e del movimento nella situazione scenica e teatrale.

Com’è strutturato lo spettacolo?
Prometeo è diviso in sei atti; è un’opera enorme, potente con molte presenze tra cui le arti, le scienze, le muse, dedicata alla tecné. Prometeo Architettura è diventato, tra i sei quadri, quello con maggiore mobilità, nomadismo e quindi una maggiore attenzione alla sua dimensione architettonica. Dal biennio 2015-2016 ogni rappresentazione cambia performer da Catania, a Ravenna, da Bologna a Milano, abbiamo trovato in ogni luogo interpreti radunati per l’occasione.

Il pioniere nella coreografia ha creato una dimensione di scrittura, il coreodramma, uno spartiacque tra dimensione coreografica precedente e visione dell’anatomia del corpo e del movimento nella situazione scenica e teatrale.

Qual è la definizione di architettura che porti in scena?
È un’architettura mobile e nomade con pilastri che preesistono, in cui ogni gruppo lavora sul rapporto spazio-movimento, relazione, socialità. La particolarità è che finora sono sempre stati gruppi di giovani, preadolescenti e adolescenti. È bello vedere chi trova più velocemente il senso, chi è limitato nella creazione, chi, invece, riesce a introiettare elementi preesistenti proiettandoli nella dimensione dell’incontro con l’altro. L’architettura, in questo senso, non è solamente una attenzione al nuovo spazio e al nuovo gruppo ma anche quanto il gruppo riesce immediatamente a costruire in una struttura interna di relazione.

Prometeo: Architettura

Hai fondato la Compagnia Simona Bertozzi/Nexus, nel 2014 porti alla Biennale Danza Venezia un sestetto di danzatori tra i 10 e 12 anni. Qual è il tuo campo d’interesse?

Nella scrittura coreografica indago spesso il rapporto del singolo con l’altro. Quando va in scena un assolo non sei solo, sei con lo spazio, con il tempo e con tutti gli elementi climatici come musica, luce ma anche con l’anatomia. Ho letto, o qualcuno mi ha detto, che l’architettura è nata laddove si incontravano i cittadini, dove si sono incontrati i primi passaggi di presenze. Quando parliamo di forma, parliamo della modalità di tensione, di più tensioni; non è un perimetro. E questo è fondamentale per il movimento. Per me è stata una epifania sostanziale a tutte le età.

Progetto:
Simona Bertozzi e Marcello Briguglio
Coreografia:
Simona Bertozzi
Interpreti:
Letizia Ponti, Alicia Dias, Gaia Buono, Aurora Pasquali, Martina Brignola, Aleksandra Kumaraku, Rebecca Costa, Alice Ugetti, Bianca Ghezzi, Sofia Polizzi, Martina Carone, Jacopo Severini, Arianna Fioravanti
Musica:
Steve Reich
Luci:
Antonio Rinaldi
Organizzazione:
Beatrice Capitani
Promozione:
Elena de Pascale
Produzione:
Compagnia Simona Bertozzi /Nexus
Con il contributo di:
MIBACT e Regione Emilia Romagna
Con il sostegno di:
Associazione Danza Urbana, Associazione Cantieri Danza, Ater-Romagna
Anno:
2018

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