Adrian McGregor: “Siamo un organismo vivente e le nostre città sono natura”

Intervista all’architetto australiano, partner di McGregor Coxall Architects, su biocittà, biourbanistica e sul loro ultimo progetto, un aeroporto degli uccelli a Tianjin.

Ogni anno decine di milioni di uccelli percorrono il mondo avanti e indietro tra l’Antartico e l’Artico più settentrionale. Un percorso che attraversa città, zone disabitate e tutto quel che c’è in mezzo, abitanti che possono essere più o meno ospitali con gli uccelli che vanno in cerca di cibo e di acqua. Nel porto di Tianjin, in Cina, lo studio d’architettura australiano McGregor Coxall ha vinto il primo premio a un concorso internazionale per un progetto straordinario, chiamato “Aeroporto degli uccelli”: un’oasi protetta di 60 ettari destinata ai volatili, su una discarica in degrado nei pressi di un aeroporto. Il progetto rispecchia un’idea di biourbanistica particolarmente cara allo studio, una concezione che considera la città come una forma della natura invece che come un tessuto edilizio contrapposto alla natura, cercando di individuare nell’ambito della progettazione una complementarità tra tutti i sistemi.

Le biocittà e la biourbanistica rappresentano un’idea centrale del vostro modo di lavorare e di affrontare il progetto. Spiegaci questa idea.
Adrian McGregor: La biourbanistica è venuta definendosi attraverso la ricerca di una piattaforma o di un paradigma intorno al quale progettare la città in modo più intelligente. Il che dipende dai successi e dai fallimenti del lavoro sulla città in tutto il mondo e del tentativo di ottenere qualcosa che possa migliorare la città per il genere umano.

Come ci riesce la biourbanistica?
Considera la città come un bioma. Gli esseri umani amano distinguere se stessi e la città dalla natura. Perciò la premessa della biourbanistica è che siamo un organismo vivente e le nostre città sono natura. Basta considerare natura la città per cambiare il modo di progettarla.

La questione degli uccelli migratori che hanno bisogno di sosta era parte dei requisiti di progetto o l’avete individuata voi nel corso della vostra ricerca?
Abbiamo concepito l’idea di un luogo dove uccelli ed esseri umani potessero coesistere nello stesso sito. Il progetto articola il modo di gestire esseri umani e uccelli tutelando gli interessi di entrambi. Perciò c’è una transizione d’intensità. Un lato del sito è destinato all’esperienza dei visitatori, al museo, alla didattica e a tutte le attività che stanno intorno al turismo ecologico e all’educazione all’ecologia. L’altro lato del sito è completamente riservato agli uccelli e quindi riguarda la tutela. C’è poi un’area mediana dove ha luogo una transizione tra questi due poli, che è una zona acquitrinosa con delle costruzioni. Si tratta quindi decisamente di una città intesa come natura:  si può avere un ambiente destinato agli uccelli migratori nel bel mezzo di una città e riuscire ugualmente a gestire i sistemi di cui essi hanno bisogno per sopravvivere. 

Come fate a progettare con le risorse condivise, come l’aria e l’acqua, che sono spesso inquinate ma anche essenziali?
Dato che l’Aeroporto degli uccelli era un sito a sé disponevamo di un alto grado di controllo sull’aria, sull’acqua e sulla vegetazione. Potevamo creare nel sito dei microsistemi tutti nostri ed essere sicuri che il riciclo dell’acqua, la vegetazione, il terreno e i microorganismi fossero tutti effettivamente gestiti con beneficio reciproco.

Credi che i media del mondo del progetto e la rappresentazione abbiano un ruolo nel concentrare l’attenzione sull’immagine e sui criteri estetici che hanno il sopravvento sui, chiamiamoli così, criteri di sostenibilità dei nuovi progetti?
L’estetica, il design e la moda sono fondamentali per la cultura umana, e lo saranno sempre. Ma non c’è ragione per cui non si possa avere tutto questo insieme con un fondamento che sostenga questa estetica, che è rivoluzionaria e viene incontro al modo di lavorare del XXI secolo: si possono avere entrambe le cose. Se i governi fossero un po’ più proattivi nel fissare gli obiettivi delle emissioni dl carbonio, in modo che i progettisti avessero un quadro cui fare riferimento, le cose cambierebbero molto rapidamente.

Facci qualche esempio di progetto recente o di prossima realizzazione nel quale integrerai alcune delle strategie e delle idee di cui stiamo parlando.
Attualmente stiamo lavorando con SANAA sulla Sydney Modern, che è la ristrutturazione e il raddoppio della preesistente Art Gallery del Nuovo Galles del Sud, e qui stiamo cercando di inserire nel progetto idee come i ‘tetti verdi’, le pratiche progettuali urbanistiche attente all’acqua, i materiali sostenibili, che fanno tutti parte dell’obiettivo Green Star del progetto nel suo insieme e che porteranno a un buon risultato. L’estetica, il design, la moda e l’arte sono il motore, ma sotto ci sono dei risultati progettuali ambientali davvero positivi.

C’è qualche altro progetto di cui vorresti parlare, in Australia o altrove, in cui siano in gioco queste idee?
Abbiamo appena completato il piano regolatore GreenWay [a Sydney] per collegare l’Iron Cover al fiume Cooks: è un bel progetto in cui lo spazio aperto, fondamentalmente legato all’infrastruttura, viene ripensato per diventare parte della rete dei parchi cittadini. È un corridoio infrastrutturale di ferrovia leggera che corre lungo una rete di piccoli corsi d’acqua e fa anche da collegamento con lo spazio aperto, un corridoio. È una strategia di trasporto attivo continuo, un collegamento ciclabile e un collegamento pedonale, uno spazio libero per i residenti, ed è anche un polmone verde per gli abitanti in termini di trattamento delle acque e dell’aria. Solo la città ha tanto terreno da poterlo destinare a parco e quindi poter prendere in considerazione l’infrastruttura ferroviaria, l’infrastruttura autostradale, l’infrastruttura dei servizi: queste aree spesso non sono gestite come parchi, ma possono essere dei parchi straordinari.

La biourbanistica può governare il ritmo e la scala delle nuove edificazioni?
C’è ancora un’enorme quantità di edilizia urbana in corso di realizzazione, e per i paesi in via di sviluppo c’è l’occasione di fare un balzo in avanti. Invece di industrializzarsi e usare i processi dell’industria oggi possono costruire le città usando la tecnologia dell’energia e della mobilità che già si sta configurando. Grazie all’urbanistica metropolitana di grande scala i paesi in via di sviluppo possono fare molto meglio di quanto non abbiano fatto i paesi occidentali con le loro città. Ma ciò significa pensare controcorrente e cambiare la prassi tradizionale: adottare le energie rinnovabili e le altre forme di tecnologia che è possibile usare.

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