Saba Innab

È possibile documentare l’effimero permanente?

Intervista a Saba Innab, architetta e artista che, con il fotografo Armando Perna, porta alla Milano Arch Week una reflessione sugli insediamenti dei rifugiati palestinesi.

In occasione della Milano Arch Week 2018, “Relics of now” mette in dialogo la ricerca del fotografo italiano Armando Perna con il lavoro dell’artista e architetta palestinese Saba Innab. La mostra curata da Emilia Giorgi e promossa dalla Fondazione Merz è una riflessione interdisciplinare sugli insediamenti per rifugiati palestinesi e sulla loro condizione di perenne esilio. La mostra parte da due casi studio in Libano e mescola i linguaggi della fotografia, l’architettura e l’urbanistica. Saba Innab ci parla in esclusiva degli sviluppi della sua ricerca.

Parlaci del tuo approccio. Cosa ti spinge a esplorare altri linguaggi e altri punti di vista?
Credo che tutto sia collegato: considero la ricerca, l’architettura concettuale e la frequentazione della teoria sia un’estensione sia una sorgente della “tradizionale” professione dell’architetto. Costruire sul sapere insito in ciascuno strumento dell’architettura è cruciale. Detto ciò, fare ricorso all’architettura e ai suoi strumenti, alla sua capacità di rispondere alle domande impellenti non è qualcosa di nuovo e, oggi più che mai, dovremmo continuare a porre queste domande. Ovvero: che cosa significa l’architettura in quest’epoca di crescente deterritorializzazione e alienazione?

Che cosa vuol dire per te “costruire”?
Costruire per me non è mai stato un gesto astratto. All’inizio il confronto con l’atto del costruire aderiva strettamente al contesto e al fattore della temporaneità. Come costruire quando si è in stato di sospensione e che cosa significa. Con il tempo è diventato chiaro che in realtà il punto è l’atto dell’abitare, che è insito nell’atto del costruire.
La deterritorializzazione e l’alienazione sono state aggravate dalla razionalità della modernità e dalle sue varie forme d’architettura. A poco a poco si è formato un divario incolmabile tra abitazione e modernità, e l’abitazione poetica è tutto ciò che resta. Un altro livello di deterritorializzazione si verifica quando viviamo nell’effimero, da rifugiati, in esilio.

A poco a poco “costruire” è diventato qualcosa che riguarda il rapporto della costruzione e del territorio con il tempo, in riferimento alla condizione di rifugiati e all’esilio dei palestinesi: una condizione effimera che a poco a poco si trasforma – o si deforma – in una condizione permanente. Perciò, in certo qual modo, la questione del costruire ha acquisito un riferimento a questo concetto. Qui è fondamentale anche smantellare l’atto del costruire: capire come quest’atto è insito in vari strumenti, cioè nella mappatura, nel linguaggio, del disegno oltre che nel progetto.

Saba Innab, Moment 4, Sketch, 2018. Courtesy l’artista
Saba Innab, Moment 4, Sketch, 2018. Courtesy l’artista

Ci parli della tua ricerca in mostra, Momentary Foundations (“Fondazioni effimere”)?
Mi interessa affermare l’“effimero permanente” nelle sue differenti forme e nei suoi differenti livelli di temporaneità (fisica o meno). Analizzare questi differenti spazi nel loro contesto giuridico e politico mette in rilievo la complessità dell’effimero permanente e la sua fragilità. D’altra parte osservare questi spazi e metterli insieme in quanto archetipi e saperi crea in certo qual modo una narrazione alternativa. Individuando queste forme differenti e definendole “temporanee” (dal campo profughi all’esilio, come se stessimo inventariando l’architettura della diaspora) si comprende come le varie forme dell’effimero siano in costante confronto e riposizionamento rispetto al paese “ospite”, alla costruzione e ai processi di modernizzazione del suo Stato nazionale: un’altra stratificazione che rende ulteriormente complicato l’effimero permanente. Credo che il mio sforzo stia tutto qui: è possibile archiviare/documentare l’effimero permanente in quanto serie di tipologie? Può competere con le nitide linee della storia dell’architettura e con la sua autorevolezza? Ed è possibile considerare questa cronologia architettonica nel quadro delle trasformazioni e della storia dell’architettura?

Saba Innab, Moment 1 – Detail, 2018. Courtesy l’artista
Saba Innab, Moment 1 – Detail, 2018. Courtesy l’artista

Tu usi la rappresentazione dell’architettura per “mettere in evidenza e segnalare certi spazi e per creare una narrazione parallela della città”. Degli strumenti che ti appartengono personalmente fa parte anche la ricerca urbanistica. Puoi spiegarci questa posizione?
Partendo dagli stessi interessi e dalle stesse preoccupazioni di cui ho parlato prima – che mi appartengono profondamente – cerco di affrontare ogni questione attraverso luoghi conoscitivi, personali e professionali. Quando parlo di effimero permanente non mi astraggo da questo dilemma: è, si potrebbe dire, uno sguardo impegnato. Quindi in certo qual modo l’analisi e l’indagine diventano una maniera di osservare. E comprendere i messaggi politici e storici della realtà spaziale di un contesto diventa pratica quotidiana. In certo qual modo osservare, scrivere, riscrivere diventa il modo in cui esperisco i vari siti d’indagine.

Titolo mostra:
Relics of now
Date di apertura:
24 – 27 maggio 2018
A cura di:
Emilia Giorgi
Con:
Saba Innab e Armando Perna
Evento:
Milano Arch Week 2018
Luogo:
La Triennale di Milano
Promossa in collaborazione con:
Fondazione Merz

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