Lo SCI-Arc (Southern California Institute) si vanta di essere un’istituzione irrequieta. Una scuola richiede, per condizione ordinaria, un atteggiamento sperimentalista, dei confini disciplinari e professionali da laboratorio. Perciò non sorprende che, quando ha ricevuto l’incarico di realizzare una retrospettiva su quarant’anni di storia nel quadro della manifestazione del Getty Center "Pacific Standard Time Presents: Modern Architecture in L.A.", lo SCI-Arc abbia scelto i panni dell’eresia. "A Confederacy of Heretics: The Architecture Gallery, Venice, 1979", a cura di Todd Gannon, Ewan Branda e Andrew Zago, è dedicata a un periodo di nove settimane dell’autunno 1979, in cui undici architetti esposero i loro lavori in una galleria alternativa allestita in casa di Thom Mayne. I curatori hanno scovato i contenuti delle mostre della Architecture Gallery in una serie di recensioni scritte dal critico d’architettura del Los Angeles Times di quei tempi, John Dreyfuss.
Ciascun professionista (chi più eterodosso, chi più affermato) alzava l’asticella per chi l’avrebbe seguito nel ciclo con una mostra e la relativa conferenza nella sede accademica dello SCI-Arc di Berkeley Street (tutte sono disponibili presso lo SCI-Arc Video Archive). L’elenco dei partecipanti comprende sia alcune delle più importanti personalità di Los Angeles sia nomi per i quali il Pritzker resta fuori portata: Eugene Kupper, Roland Coate Jr., Frederick Fisher, Frank Dimster, Frank Gehry, Peter de Bretteville, Morphosis (Thom Mayne e Michael Rotondi), Studio Works (Craig Hodgetts e Robert Mangurian), Eric Owen Moss. Fu Coy Howard, artista e architetto, a dare il calcio d’inizio. All’epoca ognuno di loro sentiva il prurito dell’ambizione: una mostra in una galleria rappresentava l’occasione di provare il loro valore sulla scena di Los Angeles.
La prima puntata di Dreyfuss, l’11 ottobre 1979, descriveva lo scenario dalla Architecture Gallery e costituisce lo sfondo della mostra attualmente aperta presso la SCI-Arc Library & Gallery. “Dietro uno sparuto filare d’alberi, al di là di un ingresso messo su con rete da pollaio e pali coperti da teli di plastica nera, attraversata la porta rossa di un anonimo edificio la cui vernice bianca si scrosta sui mattoni rossi, si apre uno spazio stupendo”, scriveva il critico del Los Angeles Times. Più che un’introduzione di colore al suo pezzo, il modo in cui Dreyfuss descrive l’ingresso della galleria di Mayne ne sottolinea lo scenario alternativo e informale, cui si contrappone l’opera di ciascun architetto.
Il carattere informale (da non confondere con l’assenza di forma) è un punto cruciale. Quel che sembra confusione rappresenta anche una riformulazione di che cosa rappresentasse una prassi professionale accettabile. E inoltre la confusione era il perfetto contrappunto all’accurata calibratura teorica dell’architettura e alla codificazione delle avanguardie storiche che si stavano realizzando sulla Costa orientale. Nell’autunno del 1979, quando l’Architecture Gallery iniziò il suo breve arco di vita, il numero 18 di Oppositions richiamava l’attenzione sulla Costa occidentale pubblicando la Lovell Beach House di Rudolph Schindler (1926). Nel frattempo lì accanto, a Santa Monica, Frank Gehry faceva esplodere il concetto stesso di abitazione.
In A Confederacy of Heretics, Casa Gehry è rappresentata da una serie di fotografie scattate e stampate all’epoca da Grant Mudford. Le immagini in bianco e nero documentano un breve periodo della storia della casa, attraversato da gesti espressivi architettonici concatenati e da intelaiature di legno a vista. Questi gesti, che più tardi sarebbero diventati firme personali, traevano la loro forza dallo spiazzamento di materiali vernacolari banali e si collocavano sulla scia di una messa in discussione della domesticità che era iniziata con Schindler e con altri modernisti californiani.
Ma A Confederacy of Heretics non è necessariamente una celebrazione del pauperismo e della casualità. Molto del lavoro è estremamente elaborato. Tavole a collage e modelli a bassorilievo ispessiti da pittura e da applicazioni ostentano tecniche oggi in disuso, nell’èra dei rendering digitali e della stampa tridimensionale. Heretics comprende alcune delle prime, fondamentali opere dell’epoca, tra cui disegni della Casa della Sesta Strada dello studio Morphosis e del South Side Settlement dello Studio Works, nonché modelli di Moss e Fisher. Benché si tratti di lavori specifici e sperimentali, talvolta eretici, uno sguardo a posteriori svela influssi variamente compositi. I deliziosi schizzi di Peter de Bretteville e Michael Rotondi per l’Ajax Car Rental di Los Angeles (1973) rivelano il loro penchant per Archigram. E non mancano risonanze di James Stirling, Cedric Price e Charles Moore (l’ombra del Postmoderno, non più fuori moda, aleggia sulla mostra). Un gruppo di nove modelli di Moss – tra cui la Fun House, la Pinball House e, tra i miei preferiti, la pareidolia dei Five Condominiums – è esposto su alcuni lunghi tavoli, allusione dei curatori al modo in cui questi modelli erano esposti all’Architecture Gallery. Secondo i documenti fotografici Moss aveva concepito ciascun modello come introduzione a un tavolo apparecchiato per la cena, completa di bicchieri, coperti e sedie. Una vera festa dell’architettura, ma va anche ricordato che The Dinner Party di Judy Chicago fu esposto in anteprima nel marzo 1979 al Museum of Modern Art di San Francisco, dove l’emblematica opera femminista ricevette grande attenzione da parte della stampa nazionale e internazionale.
Tuttavia, anche se riporta alla mente un’abbondanza di precedenti, la mostra deve fare i conti con la difficoltà di esporre opere che sono spiccatamente prodotto del loro ambiente in quanto arte e architettura, ma restano relativamente isolate dalle sperimentazioni contemporanee della cultura in generale: l’esplosione nichilista del punk rock da un lato del panorama e le proiezioni di futurismo tecnologico di Guerre stellari (1977) dall’altro. Entrambi gli influssi emergono più avanti, ma nel 1979 non sono presenti. Un recente messaggio e-mail di Moss a Christopher Hawthorne del Los Angeles Times è citato nella recensione dell’8 aprile del critico. Secondo Hawthorne Moss lamenta che Gannon e Zago abbiano perso l’occasione di citare l’“influsso della guerra del Vietnam e della controcultura”. Ma questi riferimenti appaiono osservazioni stantie su quell’epoca, rivendicazione, da parte di un americano nato nel primo dopoguerra, di una posizione politica che era già svanita in una nube di fumo azzurrino.
Nel tentativo di metter da parte la nostalgia i curatori hanno organizzato la SCI-Arc Gallery secondo il tipo di proiezione spaziale – assonometria, prospettiva, solidi di rotazione – invece che per autore, per progetto o per ordine cronologico. In qualità di progettista dell’allestimento Zago ha collocato nello spazio una serie di spesse pareti, ciascuna lievemente modificata per rappresentare i differenti modi di proiezione spaziale. L’effetto è piacevole e ben concepito, ma il tentativo è un po’ frustrato dalle opere stesse. Inoltre Gannon, Branda e Zago dedicano grande attenzione al contesto. La mostra è stata allestita in occasione dell’anniversario di SCI-Arc. Giunte alla maturità le scuole devono portare il fardello del loro successo istituzionale, e perciò l’ambiente della formazione favorisce un’impostazione più didattica. Ma, quando la storia si traduce astrattamente in modi di rappresentazione facilmente assimilabili da parte dei progetti degli studenti, resta un’ombra di insoddisfazione. Perciò, pur se Heretics fornisce concrete lezioni mitopoietiche e tecniche, la forza della mostra sta nell’indisponibilità delle opere a lasciarsi classificare con tanta precisione.
29 marzo – 7 luglio 2013
Pacific Standard Time Presents: Modern Architecture in L.A.
A Confederacy of Heretics: The Architecture Gallery, Venice, 1979
Una mostra della SCI-Arc Gallery & Library