Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 965, gennaio 2013
Steven Holl
Nel 1979, per il sesto numero di Pamphlet
Architecture, Lebbeus Woods fece
un progetto intitolato Einstein Tomb. Era
l'idea strabiliante di una tomba in viaggio
nello spazio, su un raggio di luce. Oggi, la
immagino occupata da Lebbeus stesso.
Il 30 ottobre 2012, fu lanciato in orbita da
Lower Manhattan, attraverso un uragano.
Le sue opere avevano il carattere di una
rivolta originale, metafisica. Lavorava "fuori
dal tempo", lontano dalle tendenze postmoderne
(1975-1985), in una posizione distinta
rispetto al decostruttivismo (1985-1995) e
nettamemente differente dall'architettura
blob generata a computer (1995-2005).
Woods scrisse di Guerra e Architettura
animato da uno spirito di rivolta contro lo
Stato. Analogamente scrisse di 'resistenza',
ma come fosse una riflessione scettica,
nella quale s'invocava "un'idea indipendente
tanto dell'architettura quanto del mondo".
Ecco alcuni precetti tratti dalla sua
Resistance Checklist:
• Resisti a quanto appare inevitabile
• Resisti alle persone
che sembrano invincibili
• Resisti a qualsiasi idea
con la parola algoritmo
• Resisti all'impulso
di disegnare forme blob
• Resisti al desiderio
di partire per Parigi, in primavera
• Resisti al desiderio
di trasferirti a Los Angeles, sempre
• Resisti all'idea
che l'Architettura sia un edificio
• Resisti all'idea
che l'Architettura possa salvare il mondo
• Resisti alla speranza
di ottenere quell'incarico importante
• Resisti all'impulso di procurarti lavori
• Resisti alla voglia di prendere
la strada con minore resistenza
• Resisti alla tentazione di parlare veloce
• Resisti a chiunque ti chieda
di progettare solamente la parte visibile
Resisti all'idea di avere bisogno
di un cliente per fare architettura
Stefano Boeri
Di Lebbeus Woods ricordo una vicenda
emblematica. Quando uscì sugli
schermi L'esercito delle 12 scimmie, fu
chiaro a tutti che la scenografia era totalmente
ispirata alla sua Neomechanical
Tower (Upper) Chamber. Lui protestò e
chiese ragione di questa dimenticanza.
Tutti capirono, comunque, che il cinema
aveva involontariamente consacrato l'architettura
di uno dei più visionari progettisti
urbani del pianeta. Ecco, Lebbeus era
questo: un architetto dell'immaginario che,
come pochi altri nella storia (Cedric Price e
Yona Friedman tra loro), ha saputo costruire
scenografie potenti (perché inquietanti e
rivelatrici) del pensiero collettivo del mondo.
Lebbeus Woods 1940—2012: un omaggio collettivo
Steven Holl, Neil M. Denari, Christoph A. Kumpusch, Zaha Hadid, Thom Mayne e altri dieci tra amici, ammiratori e collaboratori ricordano il "coraggioso creatore di mondi", scomparso lo scorso ottobre.

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- 30 gennaio 2013
- New York

Neil M. Denari
Conoscere Lebbeus voleva dire conoscere
un vero essere umano. Una
persona che si limitava a vivere, cosa che la
maggior parte di noi non fa. Essenzialmente
viveva per gli altri, anche quando perpetuava
il mito del personaggio singolare. Lavorava
per comunicare, non per soddisfare. Amava
la lotta per affermare una superiorità morale,
ma in nome dei principi. Amava il piacere
non per edonismo, ma come esperienza
condivisa. Nella sua forma di vita, il mondo
era un gigantesco, infaticabile organismo
cibernetico che descriveva attraverso i
propri disegni, le proprie idee, i propri scritti
e il proprio amore per l'umanità. Viveva il
proprio lavoro e questo lo faceva vivere. Ti
faceva esistere in maniera più profonda. Se
Lebbeus è sempre stato ossessionato dalla
metrica delle cose e dal modo in cui misuriamo
sistemi e fenomeni, la sola cosa che
non si sia mai potuta quantificare è stata la
sua vita. Lebbeus Woods continua a vivere.
Zaha Hadid
È una terribile perdita. Lebbeus era un amico
e un grande architetto. La sua opera,
piena di intuizioni e immaginazione, ha esplorato
il fantastico potenziale e dinamismo
dello spazio con proposte radicali e potenti
disegni che hanno esercitato una grande
influenza. Il suo Light Pavilion di Chengdu ci
ricorderà sempre, in maniera tangibile, che la
nostra professione ha perso una grande voce.
Christoph A. Kumpusch
In una delle nostre ultime conversazioni,
Lebbeus disse: "Vedi, Christoph, il problema
maggiore, che puoi avere nella vita, è non
avere problemi". Questo fu il suo commento,
quando finimmo di guardare le foto del Light
Pavilion che Iwan Baan aveva appena inviato
da Chengdu. Lebbeus mi spiegò che il
padiglione poneva un problema, più che una
soluzione. Era di ottimo umore, eccitato dalle
immagini che apparivano sullo schermo del
portatile e dal pensiero di come la gente avrebbe
reagito, una volta che ne fosse stata terminata
la costruzione. "È una cosa assolutamente
unica. Non è mai stata fatta prima, vero?".
Brindammo—generosamente—e festeggiammo,
noi due da soli, alle dieci e venti di
mattina. Lebbeus prese un bicchiere, lo riempì
e proclamò: "Questo è per Steve, il mio primo e
migliore cliente". Verso le undici, stavamo già
pensando a un altro progetto: "Questo li batte
tutti! Quando iniziamo?". Lebbeus adorava la
battuta di Kasper Gutman nel film Il falcone
maltese, quando, poco prima dell'arrivo della
polizia, dice: "I migliori addii sono i più brevi".
Geoff Manaugh
Lebbeus Woods era assolutamente unico
e totalmente insostituibile: una vera forza
terreste per ripensare il rapporto dell'architettura
non solo con il pianeta e la forza di
gravità, ma anche con ogni genere di sistema
filosofico che nutra una qualsiasi fiducia nella
stabilità e nella tranquillità. Lebbeus s'immerse
a capofitto nella guerra, nella sismicità, nella
crisi dei centri urbani e persino nello spazio
profondo, dove la prospettiva e l'orizzonte non
hanno senso: non per celebrare l'assenza di
fondamenta, ma per aiutare tutti noi a escogitare
nuovi modi di far parte di un gruppo,
di costruire e trovare un piano di riferimento
degno di fiducia (posto che una cosa del
genere possa esistere). Questa è l'architettura
migliore, quella più immediatamente rilevante
e Lebbeus—l'instancabile Lebbeus—sarà con
tutto il cuore ed eroicamente rimpianto.
Thom Mayne
Lebbeus, uomo di grandissima statura
morale e dall'insaziabile curiosità intellettuale
che lo spingeva a esplorare quanto gli
sembrava essere in architettura un potenziale—
esercizio di una mente libera, non disposta
a soccombere al contingente e ai compromessi
della nostra disciplina. Un impegno di
uguale forza e peso per l'analisi politico-culturale
era essenziale nella sua idea di architetto,
insegnante e scrittore. Era, soprattutto,
interessato ai valori: a che cosa serve l'architettura?
La sua concezione etica del nostro
lavoro gli ha dato un'autorità morale unica
che ha influenzato generazioni di architetti.
La sua ricerca mirava a un'autenticità del presente—
edificare l'inedificabile, caratterizzato
dalle ambiguità del tempo, dalla natura effimera
del durevole, dal peso (la gravità), dalla
fisicità e da un contenuto emotivo che univa
l'ottimismo critico e un senso di melanconia.
Ci siamo cercati per discutere, per approfondire
e per analizzare criticamente l'uno il
lavoro dell'altro per tutto il corso delle nostre
carriere. Ogni volta che ho dovuto prendere
una decisione importante, mi ha ascoltato e
ha lasciato il suo nido remoto e solitario per
calarsi nel lavoro di cui mi stavo occupando.
Arrivava quasi a identificarsi con me, nel senso
che capiva e sosteneva completamente
intenzioni e aspirazioni. Tra noi, vi erano un
rispetto e un amore straordinari e sentirò
terribilmente la sua mancanza. Aveva trovato
il suo posto nel mondo e lo ha vissuto
liberamente e pienamente sino alla morte.
Eric Owen Moss
Vado a foggiare nella fucina della mia
anima la coscienza increata della mia
razza e tenterò di esprimere me stesso in
un qualche modo di vita o di arte, quanto
più potrò liberamente e integralmente, adoperando
per difendermi le sole armi che mi
concedo di usare: il silenzio, l'esilio, l'astuzia".
Così parlava Stephen Dedalus, l'alter ego di
Joyce. Io non so se l'obiettivo di Joyce sia
raggiungibile. Ma è la difesa più commovente
dell'eroica aspirazione di Dedalo che
io conosca. Questa aspirazione risuonava
anche nella voce di Lebbeus Woods. Questo
è l'archetipo Woods. Silenzio. Esilio. Astuzia.
Tomás Saraceno
A ll'interno dei suoi disegni, all'interno
del nostro cervello... egli scolpiva
come nessuno... spazi che abitiamo,
sogni in forma di incubo... e che, come
sempre,... erano più reali della realtà...
Michael Sorkin
Lebbeus Woods era un autentico genio.
La sua intelligenza era radicale e la sua
opera al tempo stesso intensa e naturale,
colma di gioia rivoluzionaria. L'ineffabilità
del genio è così: lavora in assenza di volontà.
L'architettura sgorgava dalla smisurata immaginazione
di Leb: era pensiero fatto materia.
Leb era veramente il nostro eroe non tanto
per il limpido miracolo della sua mano, quanto
per quello che sceglieva di fare con essa. Era
un uomo di straordinaria integrità e generosità,
devoto alla causa dell'architettura come
pratica sociale. Produceva arte con uno spirito
genuinamente politico, scavando ovunque
alla ricerca della verità, mai illustrando, sempre
inventando. Sia che si occupasse della
devastazione di Sarajevo, della divisione di
Berlino, della minaccia dei terremoti a San
Francisco o del rischio dell'innalzamento del
livello del mare per L'Avana, l'architettura di
Leb si collocava nel punto di contatto tra crisi
e rimedio. I risultati non erano mai semplice
profilassi, ma sempre una ricerca della natura
della necessità: l'opera di Leb ha infranto il
vincolo del meramente possibile, estendendo
sempre i limiti della felicità e della mente.
Nel meraviglioso progetto Aerial Paris, Leb
immaginò un'architettura acrobatica svincolata
dalla forza di gravità, libera e danzante
nel cielo. Per tantissimi anni—in progetti
urbanistici intricati, misteriosi e splendidamente
ordinati, in forme costruttive accese
da un potenziale a metà strada tra metafisica
e magia—ha creato un mondo che solo lui
poteva magicamente far apparire, un mondo
che ha definitivamente mutato le dimensioni
del nostro. Lebbeus Woods è stato il più
grande architetto della sua epoca e la mia vita
sarebbe stata molto più piccina, senza il suo
esempio e il suo amore.
Peter Noever
Spietato e appassionatamente entusiasta—
questo è stato il mio primo pensiero,
quando mi è giunta la triste notizia che avevo
perso un amico molto speciale: un compagno
di strada critico, ma ottimista. I progetti
di Woods sono collocati in posti e luoghi,
dove realtà contraddittorie vengono brutalmente
alla luce sotto forma di crisi. Secondo
Woods, il compito dell'architetto è progettare
spazi e strutture urbane in grado di reagire
alle sfaccettature dell'esistenza umana.
Hans Ulrich Obrist
Con la scomparsa di Lebbeus Woods
abbiamo perso uno dei principali
teorici dell'architettura. Nel corso di
più di 50 anni Woods ci ha introdotto in
altre inattese dimensioni. Woods, per il
quale l'architettura era una porta aperta
verso il possibile, immaginò forme
nuove e alternative di pensiero utopico.
Ernst Bloch definì l'utopia come "qualcosa
di cui si sente la mancanza". In maniera
simile a Édouard Glissant, anche l'utopia di
Woods era percorsa da tremolii perché trascendeva
sistemi di pensiero consolidati e
si esponeva all'ignoto. Glissant ha ispirato
generazioni di architetti con una profonda
dedizione filosofica all'architettura. Una
volta, mi disse che si deve dire, sin dall'inizio,
che tremare non significa né incertezza
né paura; che ogni utopia conosce questo
genere di pensiero. L'utopia è una realtà
nella quale si può incontrare l'altro senza
perdere se stessi. In uno scritto sull'utopia,
Lebbeus si chiedeva: "Abbiamo raggiunto
la fine dell'utopia come abbiamo raggiunto
la fine della storia? Ascoltiamo e osserviamo
i più ambiziosi e idealisti della prossima
generazione. Sono i soli ad avere la risposta".
Anthony Vidler
Scrivo queste parole in lutto per la morte
di un grande insegnante, un artista,
e un collega di Cooper Union per decenni.
Lebbeus era anche un amico con il quale
si poteva discutere dei più reconditi aspetti
dell'architettura e che, per il suo senso morale
e la sua ferma resistenza allo spettacolo
consumista, è stato per tutti noi un punto di
riferimento. Molto si racconterà nei prossimi
mesi della sua architettura di resistenza, della
lealtà e creatività che ispirava nei suoi studenti,
dello straordinario insieme di disegni e
installazioni tridimensionali e del vuoto incolmabile
che lascia nella scuola e in tutti noi.
Alla Cooper celebreremo la sua opera con gli
studenti. Rivivremo "The Storm", la sua mostra
alla Houghton Gallery dopo l'11 settembre, e
"The Fall", alla Fondation Cartier di Parigi. E
ricorderemo il suo amore per noi e l'umiltà con
la quale insegnava e imparava ogni giorno.
Mirko Zardini
Credo che l'eredità più duratura di
Lebbeus Woods consisterà nella sua
grande—e rara—capacità di dimostrare che
è possibile fare coincidere resistenza e ottimismo
in architettura. E che l'architettura,
proprio come i disegni, "può essere fatta
ovunque vi sia abbastanza luce per vedere".
Kenneth Frampton
Lebbeus Woods era un enigma che ha
vissuto la propria vita sfidando la società
in cui era stato gettato e da cui era assediato.
Non è stato un viaggio facile per un
uomo come lui, dotato di un crudo senso
etico. La frase "A che cosa servono i poeti in
tempo di povertà?" avrebbe potuto essere
riferita a lui più giustamente che ad altri. Da
qui derivava l'incessante distopia della sua
immaginazione, la serie continua di visioni
angosciose disegnate in maniera compulsiva
dalla sua mente talentuosa. Era come
rivedere Blade Runner, la profetica mise
en scène di un mondo ridotto a macerie, i
rottami di astronavi e ponti ferroviari di un'evasione
destinata al fallimento. Efesto messo
alla berlina dalla ripugnante tracotanza
della propria tecnologia, poetica e cosmica,
dalla quale persino Lebbeus poteva essere
sedotto. Nonostante tutto, rimase sempre
l'appassionato paladino dello spirito creativo
e questo aspetto lo ha reso un docente
motivato e un appassionato educatore
di apprendisti architetti. Era un anarchico
romantico sino al midollo, cosa che lo rendeva
intollerante nei confronti di quelli come
me, vecchi studiosi progressisti irriducibili.
Una volta, mentre esaminavamo il lavoro di
uno studente alla Cooper Union, mi disse:
"Questa è la chiesa sbagliata per le tue prediche".
Si trattava di questo: un ribelle senza
causa contro un socialista senza nazione.