Barcelona 5.0

"La costanza della necessità di agire va accompagnata dalla costanza nel miglioramento del metodo." Tucidide, ?nella citazione di Antoni Vives, vicesindaco di Barcellona, ?Londra, febbraio 2012.

L'anno scorso Xavier Trías, della CiU (Convergència i Unió, la coalizione nazionalista catalana) è diventato sindaco di Barcellona, rimpiazzando nella carica il predecessore Jordi Herau, che per cinque anni aveva portato avanti una quantità di ambiziosi programmi tra cui il terminal dell'aeroporto, lo sviluppo del quartiere 22@BCN, la stazione dei treni ad alta velocità di La Segrera, i progetti urbanistici per San Andreu e per la rinascita del litorale di Port Vell. Queste nuove iniziative sono le più recenti tra quelle elaborate nel laboratorio barcellonese di architettura e di urbanistica, di fama mondiale, che dal 1959 si è sviluppato in un susseguirsi di fasi. Ma oggi la gravità del momento economico richiede una prospettiva differente, e fa piacere sentire che Trías si è assunto il compito di rigenerare la città, rendendola più efficiente e sostenibile, promuovendo l'aggiornamento dei sistemi tecnologici e creando edilizia sociale a capitale privato, sul modello della Housing Development Corporation di New York. Trías intende dare nuova vita alle aree urbane in disuso, migliorando il più possibile l'efficienza energetica tramite impianti a biomassa domestici e centralizzati. Ha inoltre nominato Vicente Guallart arquitecto jefe del Ayuntamiento (architetto comunale in capo), affidandogli la ripartizione Habitat urbano, che comprende i settori dell'urbanistica, dell'ambiente, delle infrastrutture e dell'ICT. Guallart dirige lo IaaC di Poble Nou, Institute for advanced architecture of Catalonia, di cui è stato co-fondatore con il sostegno del partito nazionalista di Trías, e promuove l'uso multidisciplinare delle tecnologie dell'informazione e il rispetto dell'ambiente in architettura per migliorare l'interazione sociale. Con il suo studio, Guallart Architects, ha realizzato a Valencia il nuovo quartiere di Sociópolis, dove si pratica l'agricoltura urbana, e progetti per Keelung a Taiwan. La sua Media House è stato uno dei progetti dello IaaC in collaborazione con il MIT e nel 2010 Guallart è stato condirettore del Fab Lab House per il concorso Solar Decathlon Europe. "Oggi la posizione dell'architetto non è di neutralità: il progetto migliore coincide con la migliore configurazione, e le risorse sono limitate." In futuro gli architetti dovranno "costruire con la natura" e l'architettura "dovrà essere multiscala", ha dichiarato di recente in un intervento al centro LSE Cities di Londra. Vi si era recato, per illustrare come la sua ripartizione avrebbe contribuito all'uscita dalla crisi, insieme con Antoni Vives, vicesindaco di Barcellona e assessore all'Urbanistica, Ambiente, Infrastrutture, Sistemi informativi e Telecomunicazioni. Entrambi hanno espresso l'intento di arrivare a una città autosufficiente e collegata a rete. "Le città devono ridiventare produttive, sulla base della condivisione dell'informazione", ha dichiarato Guallart. Ma qual è secondo Guallart il modello della configurazione urbana creativa? In precedenza, in primavera, ha dichiarato a un intervistatore che a Barcellona "l'urbanistica è finita", affermazione che ha innescato un vivacissimo dibattito. Più che la scomparsa dell'urbanistica, guardando al contesto delle sue affermazioni generali, il senso è certamente che è finita la vecchia prospettiva urbanistica, rigida e monumentale, disciplinarmente isolata, elaborata in un'epoca un cui si poteva contare molto di più sul settore pubblico come prospettiva di sviluppo della città. Oggi "non rimane più terreno vergine da urbanizzare". La nuova strategia elaborata da Guallart per la città si fonda su un'idea dell'habitat urbano che combina l'urbanistica con le tecnologie dell'ambiente e dell'informazione, il che è ovviamente molto differente dall'atteggiamento del precedente urbanista di Barcellona, Oriel Bohigas, per esempio, e appare molto più ricco di prospettive del piano più recente, il Forum, cui manca il senso del luogo. "L'urbanistica non è più un'attività isolata: dobbiamo conferire valore aggiunto alla città costruita", afferma Guallart; da cui l'accento posto sull'aggiornamento degli impianti tecnici. In modo non dissimile dal Piano di Gestione del Territorio di Milano, elaborato dallo studio Metrogramma, l'idea di Guallart pensa la città come una rete caratterizzata da nodi, cui è possibile aggiungere uno strato intelligente che funge da piattaforma per la fornitura di servizi. Grazie alle capacità sensoriali delle nuove tecnologie è possibile sapere che cosa occorra e dove occorra in un sistema distribuito invece che centralizzato. È un'innovazione fondamentale, indispensabile per molte città, che stanno già pensando di adottarla per contribuire a dare funzionalità e identità ai loro quartieri. Quando Guallart parla della città come di una rete di reti e afferma di progettare il prototipo di un'Internet liquida, si riferisce all'inedito potere delle nuove tecnologie di dare all'urbanistica la possibilità di compiere un salto di livello nell'analisi e nella misurazione delle prestazioni. Ciò può sembrare a qualcuno astratto – e perfino un po' alla Grande Fratello – ma sta di fatto che ogni singolo edificio verde può essere giudicato tale solo in base a una certificazione intelligente delle sue prestazioni. Come afferma Vives "le città devono dare una definizione di che cosa sia una città intelligente tramite esempi concreti". Guallart evidentemente intende impiegare nuove metodologie urbanistiche attive, molto più rizomatiche, per rendere autosufficiente la città, ma le sue affermazioni hanno suscitato commenti scettici da parte di personaggi come David Martínez, architetto e urbanista, professore ordinario dell'ESARQ, la principale scuola di urbanistica di Barcellona. In un recente articolo Martínez afferma che la nuova prospettiva urbanistica di Guallart non è affatto nuova, e che riprende certe caratteristiche anni Sessanta dei Metabolisti e di Archigram. "La fede cieca nella tecnologia, l'ispirazione delle forme organiche prese dalla natura, l'accento spiccato sugli edifici invece che sull'idea di città", per esempio, sarebbero indizi del desiderio di rompere il legame con gli architetti moderni capeggiati da le Corbusier. Martínez afferma che "nessuno di loro ha creato una nuova metodologia di intervento urbano", il che è vero; e tuttavia essi hanno ispirato le generazioni seguenti di architetti e di urbanisti. E non ci sono nemmeno argomenti in grado di sostenere l'esclusione del l'uso nell'urbanistica del XXI secolo della potenza delle nuove tecnologie e della natura. Martínez sostiene anche che "l'idea della città come concezione globale, prodotto di condizioni fisiche, storiche e sociali, è scomparsa". È cambiata, è indiscutibile, e l'identità locale è stata a lungo sotto la minaccia della globalizzazione. E oggi, in un'epoca in cui le condizioni economiche e sociali stanno trasformando il modo di vivere nella città, una prospettiva urbanistica differente, meno determinata dai vecchi modelli e dalle vecchie strutture di intervento sociale e più legata alla situazione, si rivela adeguata. Il che implica, invece che escluderlo, l'interesse per l'identità locale e l'equità sociale, due delle priorità dichiarate dell'ESARQ. Dal punto di vista politico chi nutre scetticismo sull'interesse del primo ministro britannico David Cameron per ciò che egli definisce "localismo" – definizione vaga che apparentemente implica che siano i cittadini a farsi carico dei servizi di quartiere in assenza di finanziamenti pubblici (per esempio con il lavoro volontario nelle biblioteche che non si possono permettere di restare aperte) – può trovare preoccupante il punto di vista di Guallart. D'altro lato l'idea della città come somma stabile delle sue condizioni è per gli urbanisti un punto di partenza meno efficace per la progettazione, perché le sue strutture politiche e sociali sono in pericolo e devono cambiare. La differenza tra l'urbanistica barcellonese del passato e quella di oggi, a parte il tasso di disoccupazione molto più alto e la mancanza di una base industriale, è che le tecnologie hanno il potere di consentire la percezione della città su più livelli. I sistemi digitali urbani sono già formidabili, e quindi evitare ogni 'cecità' in relazione alla fiducia da nutrire nelle loro capacità si fonda sulla qualità del progetto architettonico che sta dietro la loro realizzazione. E qui inizia il ruolo di Guallart. Dice Vives che la scomparsa dell'industria barcellonese dal mercato globale è stata un disastro. Ritornare all'industria oggi significa far crescere industrie nuove e tecnologie verdi, un campo in cui Guallart si è impegnato con il suo lavoro di Fab Lab (sia pure senza il passaggio alle auto elettriche che piacerebbe a Vives). In tutto il mondo comunque certe città lo stanno facendo, in misura più o meno ampia. Contemporaneamente Guallart mette l'accento sulla produttività naturale. Investendo sulla biodiversità e sull'agricoltura urbana, come ha sperimentato a Sociópolis, quello del parco diventa un modello economico. Considerare la città come un sistema metabolico non è un capriccio: è il modo per pensare ad accrescerne il valore. Ma ovviamente un nuovo modello produttivo urbanistico suscita preoccupazioni sulle strategie e sulle richieste che pone ai cittadini, e sarebbe bene che Guallart dicesse di più sulle inedite ricerche sulla situazione e sui principi sociali che il suo gruppo ha elaborato finora. "Stiamo parlando di un nuovo modo di costruire la società", ha detto all'LSE. "L'idea di città fondata sul turismo, sullo spettacolo, è finita", afferma Vives. Martínez si chiede se le espressioni 'città intelligente' o 'agopuntura urbana' escludano in questo senso la 'vecchia' urbanistica. D'altra parte si chiede anche se la prossima fase dello sviluppo di Barcellona resterà centrata sugli interventi di architettura iconica, quando buona parte della 'vecchia' urbanistica si è basata su monumenti collocati lungo assi principali invece che sulla partecipazione di quartiere e sulle più autosufficienti qualità dei sistemi distribuiti. Cita Blau@Ictinea, interessante nuovo quartiere progettato per il nuovo porto di fronte a Montjuïc da Willy Muller, affermando che non tiene in considerazione il rapporto tra la città e il mare, Questa compatta area ex portuale in realtà veniva usata come deposito ed è stata riprogettata quando Trías lanciò l'idea nel 2007. L'idea consiste nell'integrare 2.000 unità abitative, sedi universitarie e aziende delle nuove tecnologie attraverso un'alleanza tra il settore pubblico e quello privato, trasformando la costa nel corso dei prossimi vent'anni, dato che la cosa si può realizzare solo in modo graduale. Nel frattempo dare la priorità al valore delle più modeste strategie plurali dell'Habitat urbano pare una buona idea. Certi tipi di progetto, come quello della Segrera, non vengono più finanziati e Guallart annuncia che, mentre il progetto della ferrovia ad alta velocità sta andando avanti, per realizzare abitazioni e altri servizi ci vorrà più tempo. L'idea era di costruire interamente con fondi pubblici, che ovviamente ora sono scarsamente disponibili. Nel frattempo il gruppo di lavoro comunale dell'Habitat urbano sta realizzando Camy Comtal, un nuovo parco multifunzionale progettato da Aldayjover, lo studio di architettura del paesaggio che ha di recente completato la sistemazione della nuova rete tramviaria di Saragozza. In potenza il progetto collega la città con i Pirenei e il calendario di realizzazione non è noto, ma è probabile che sia completato per fasi, a partire da San Andreu, l'area di un'ex base militare la cui sistemazione urbanistica, che prevede un nuovo ospedale e la costruzione di edilizia sociale, è opera del recentemente scomparso Manuel de Solà-Morales. Si comprende bene che, in una città di icone, così orgogliosa della sua tradizione urbanistica, e con un progetto comunale ambizioso come Blau@Ictinea – prossimo passo di grande portata nel programma di modernizzazione della città – la prospettiva di Guallart venga messa sotto il microscopio. Il nuovo gruppo dell'Habitat urbano non deve necessariamente sostenere che il turismo non è importante; i nuovi trasporti pubblici costano molto e servono a tutti. Mentre serve una critica costruttiva, gli argomenti di Martínez si rivelano deboli: la realtà dei modi in cui le nuove tecnologie possono essere usate oggi non è accostabile al ruolo della tecnologia negli anni Sessanta e, anche se c'è ancora molta strada da fare, l'urbanistica ecologica viene percepita in modo molto differente da una volta. Guallart parla di interdipendenza. A proposito di nuove tecnologie "Internet ha cambiato la vita, ma non ha cambiato le città" e la tecnologia deve essere integrata allo scopo di creare "più città slow dentro una stessa città smart". Guallart riconosce che Barcellona è "il tipo di città abitata in modo discontinuo grazie ai trasporti ad alta velocità e alla tecnologia dell'informazione. La Catalogna oggi è fatta così". La sua proposta è la creazione di "quartieri a bassa velocità, dove si può vivere, lavorare e passare il tempo libero, in una città costruita sull'alta velocità, proiettata sul territorio. Città slow dentro città smart". È un'analisi sociale e basata sul tempo, più che un'analisi immediatamente fisica. Ovviamente la proposta di adottare come strumento chiave della propria tattica l'aggiornamento degli impianti tecnologici invece delle nuove costruzioni su territori vergini implica la ricerca su parecchie infrastrutture fisiche storiche. Guallart potrebbe illustrare esempi di ciascun prototipo sul sito web della ripartizione Habitat urbano, rendendo il processo trasparente per tutti i cittadini, dato che uno dei requisiti dell'ambiente urbano di oggi è rappresentato dai processi di miglioramento, come dice Vives, e non dal ritorno ai vecchi metodi urbanistici. Sono stati individuati dieci progetti a sostegno di questa concezione, dal ripristino del verde all'edilizia sociale, alle isole 'autosufficienti' all'interno della città, all'avanzamento del progetto Blau@Ictinea. In un'intervista con Moix Llátzer, pubblicata su LaVanguardia, Guallart ha sottolineato che le priorità dell'Habitat urbano sono lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro. È la prospettiva giusta, e i protocolli elaborati in funzione della rigenerazione della città sono adeguati, per costituire una strategia integrata per Barcellona come città della sostenibilità? Nel quadro di valori di Barcelona 5.0, se la prospettiva urbanistica è un nuovo modo di costruire la società, che tipo di strumenti sociali occorreranno all'Habitat urbano per portare avanti la sua strategia? Gli architetti possono essere gli agenti sociali che questo processo richiede o anche altre categorie devono acquistare importanza per contribuire al sostegno della città produttiva?

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