Mobile art di Zaha Hadid per Chanel

Disegnato nel 2007, il padiglione mobile di Zaha Hadid ha trovato una sede permanente a Parigi, di fronte all'Istituto del Mondo Arabo.

Nel riferire di questo bizzarro episodio di mecenatismo culturale, il cui costo si aggira attorno al milione di euro circolavano nei giorni scorsi sulla stampa francese, svariate teorie, ma una parola ricorrente: U.F.O (OVNI in francese), riferita alla forma del padiglione-gadget concepito e costruito dall'archistar Zaha Hadid per la firma Chanel. Il mobile art creatura che sembra uscita dalla copertina di un magazine di science-fiction e non nuova per gli addetti ai lavori si è definitivamente posato sul parterre antistante la primissima e forse più conosciuta architettura parigina di Jean Nouvel: l'Institut du Monde Arabe. Dunque lieto fine e un'unica versione ufficiale quella che riempie di gioia il direttore dell'IMA Dominique Baudis, al quale la crisi economica planetaria regala 600 metri quadrati firmati da un architetto (anglo-irachena e prima donna insignita del Pritzker nel 2004). Atterraggio forzato per l'oggetto volante—per la verità molto ben identificabile anche se la sua griffe è in questa operazione leggermente defilata—e per la quale un itinerante e nomadico destino era cominciato nel 2008.

Karl Lagerfeld direttore artistico della Maison Chanel per celebrare la mitica borsa matelassé, icona della marca da grande ammiratore dell'estetica di Zaha Hadid per le qualità anti e post-Bauhaus, le commissionò il padiglione mobile che doveva ospitare il fior fiore dell'arte contemporanea selezionato e diretto in una fiction avveniristica, immaginata da Fabrice Bousteau direttore della rivista Beaux-Arts. Il prodotto di questi incontri ravvicinati arte-moda-architettura ad altissime quote s'incaglia però dopo i primi due viaggi diplomatici a New York e Hong-Kong e rischiava di ammuffire in un deposito di Malakoff. Ora le 180 tonnellate di questo sinuoso e curvilineo "mitilo futurista", risolti i problemi di appoggio sull'auditorium sottostante, sostituiranno permanentemente l'orrenda tenda mercatino-sala da tè ereditata per le celebrazioni dell'anno dell'Algeria a Parigi.

Il padiglione, che dal 2007 ha viaggiato a Hong Kong, Tokyo e New York, è stato donato da Chanel all'Istituto del Mondo Arabo all'inizio del 2011.
Il padiglione, che dal 2007 ha viaggiato a Hong Kong, Tokyo e New York, è stato donato da Chanel all'Istituto del Mondo Arabo all'inizio del 2011.

Una favola a lieto fine, come sottolineavano all'unisono alla serata inaugurale tutti i protagonisti dell'evento che regalerà alla città una struttura e fino a ottobre una mostra su alcuni dei progetti recenti di Zaha Hadid. Non ci saranno neppure polemiche grandi e piccole da alimentare, visto che, anche dallo studio di Jean Nouvel, sono arrivate note di apprezzamento per questa jolie sculpture… Oggetto di design che potrà dividere solo i fan e detrattori della Hadid, conosciutissima in Italia dopo la realizzazione del museo Maxxi di Roma.

Fino a qui, realtà e comunicazione finiscono per trasfigurare agli occhi del pubblico il lavoro della Hadid, che si moltiplica esponenzialmente in questa overdose di strategie di recupero della comunicazione-corporate. L'oggetto, l'architettura e la mostra diventano una tautologia e ingenerano un effetto matrioska che rende quasi esilarante persino il fatto che il padiglione ospiti una mostra sui programmi di ricerca recenti dello studio di Zaha Hadid.

Creato nel 2007 da Zaha Hadid per Chanel e commissionato da Karl Lagerfeld, il padiglione raccoglie al suo interno una selezione dei lavori di Hadid. Nella foto un modello della Sephira Tower a Rabat, Marocco (2009)

Ciò che si produce è invece una lettura alleggerita anche dei tre livelli di esperienza, programmati dallo studio. Dapprima, la scoperta-presentazione del mobile art, ma—come si diceva—Parigi lo eredita perché l'economia mondiale lo inchioda al suolo. Quindi la sua scenografia, che diviene metaforicamente la più sofisticata messa in scena di questo fallimento, in cui persino il magnifico modello numerico marchio di fabbrica dello studio Zaha Hadid perde i parametri contestuali. Qualcosa suona falso in questo display: si perde la lettura su scala urbana delle splendide e più riuscite creazioni dell'architetto e a poco servono le quattro video proiezioni. La reinvenzione del concetto di torre, per esempio—da quelle già costruite (Marsiglia Tour CMA CGM) o quelle allo stadio progettuale (come Pechino e Dubai)—sembrano svilite dall'effetto all-over che diviene un inno all'effimero ad alto contenuto tecnologico. Nella mostra, poi, silver painting e rilievi fanno perdere di vista—sacrificati sul piano dell'evocazione e del decorativo puro—i materiali qualitativi e sociologici che sono i veri obiettivi della sua architettura di qualità. Sembra insomma si sia costruita—e la comunicazione non ha giocato a suo favore—una mostra che usa come semplice accessorio la straordinaria ricerca della Hadid. Il vero soggetto sembra essere la questione del passaggio di proprietà di un impertinente e nuovissimo showroom. In una città con un tessuto urbano molto poco permeabile alle vere realizzazioni architettoniche, ma ricco di padiglioni residuali e stipato di architetture che dovevano rimanere effimere, si materializza con questo dono-progetto un modo di intendere e comunicare l'architettura: il mobile art testimonierà metaforicamente lo scacco e l'imminente dissoluzione di alcuni inutili architetture negli effetti perversi di una crisi economica planetaria. Ivo Bonacorsi

Qualcosa suona falso in questo display: si perde la lettura su scala urbana delle splendide e più riuscite creazioni dell'architetto e a poco servono le quattro video proiezioni.
Una rete di curve guida è fissata al soffitto e al pavimento del padiglione in alcuni punti, e fornisce una serie di superfici minimali da usare come schermi per proiezioni, paraventi e controsoffitti.
Modelli del Beijing CBD core Area, uno dei progetti dello studio di Zaha Hadid presentati all'interno della mostra.
Modelli del Beijing CBD core Area, uno dei progetti dello studio di Zaha Hadid presentati all'interno della mostra.
Zaha Hadid ha sviluppato le geometrie dei sistemi naturali in uno spazio continuo, fluido e dinamico.
Il guscio in fibra sintetica del padiglione mobile è stato creato con una successione di segmenti in acciaio a forma di arco di dimensione sempre più ridotta.
La forma del padiglione segue la distorsione parametrica di un toro, creando una varietà di spazi espositivi attorno alla sua circonferenza. Al centro, un cortile di 60 metri quadrati illuminato dalla luce naturale offre un'area d'incontro per i visitatori.