Le fotografie del Red Location Museum
firmato Noero Wolff mostrano una condizione
post-traumatica fatta di detriti, polvere e bambini
randagi, ma anche un ordine serrato, capace
di tenere tutto questo insieme. La compostezza
dell'edificio è straordinaria, ma è l'asprezza del
contesto a inquadrarlo in una narrativa avvincente.
Lo studio Noero Wolff si è aggiudicato la
commissione al termine di un concorso tenutosi
nel 1998. Le linee guida parlavano di un museo e
di un centro d'arte pensati per celebrare la storia
delle lotte sudafricane proprio nel cuore di Red
Location, una vecchia comunità nera che aveva
resistito fieramente alla segregazione. Negli anni
del post-apartheid, il governo ha sviluppato questi
siti all'interno di una politica di rappresentazione:
incapace di portare benessere immediato al suo
vasto numero di sostenitori che ancora vivono in
povertà, ha investito in progetti simbolici come
musei e parchi, puntando anche a eventuali benefici
attraverso il turismo.
In questo senso, il museo va visto come un
esempio di architettura "in attesa". È concepito
come catalizzatore per lo sviluppo dell'area circostante;
altri progetti rivolti agli abitanti della
comunità (edilizia popolare di tipo sperimentale e
un cinema all'aperto) sono
già sorti ai suoi margini.
Deve diventare il nucleo
di un nuovo centro urbano
fatto di edifici pubblici
e strutture commerciali.
Tuttavia, allo stato attuale,
con la vita della comunità
ancora largamente
immutata, la sofisticata
funzione e la grande scala dell'edificio paiono in
netto contrasto con un contesto disperatamente
bisognoso.
Anche gli interni del museo sembrano
un invito alla rioccupazione. Gli architetti lo
hanno immaginato come un container di una
sequenza di "scatole della memoria", collegate
come scala e materiali alle case circostanti. È
un "contenitore di contenitori", un'abitazione
per quell'effimera materia della memoria che
altri autori porteranno al suo interno: artisti con
le loro installazioni o visitatori che vedono o
immaginano le vite degli altri.
È un approccio le cui modalità riflettono
una profonda sensibilità nei confronti della natuÈ
un'abitazione
per quell'effimera
materia della
memoria che altri
autori porteranno
al suo interno
Negli slum di Port Elizabeth,
Sudafrica, un museo in memoria
delle lotte contro l'apartheid
come atto di fede in un futuro
diverso
ra politica dell'architettura. Del resto, fin dagli
anni Ottanta, Jo Noero si divide tra progetti privati
e pubblici e ha affermato che la sua ambizione
è operare a cavallo tra i rispettivi linguaggi
architettonici: il bello e inutile, il brutto ma utile,
una divisione che nel Sudafrica dell'apartheid si
traduceva in spazi per bianchi e spazi per persone
di colore. Fa parte di quel ristretto numero di
architetti che hanno lavorato negli interstizi tra le
due comunità e la sua formazione si riflette nella
dualità degli impegni del suo studio. Il suo lavoro è
insieme poetico – nell'esprimere significati attraverso
le immagini della memoria – e pragmatico
nel rispondere alle necessità di base circa le infrastrutture
urbane.
Parlando della sua attività, Noero indica il
bisogno di rintracciarvi una forma di rettitudine
nella folle eredità disgregante dell'apartheid,
vocazione che si concretizza realizzando spazi
e forme capaci di mediare tra condizioni estreme.
Per questo, ha fatto della geometria un ordine
stabilizzante: a Red Location una rete quasi
impercettibile di legami formali collega il quartiere
agli spazi del museo, estendendosi alle serene
proporzioni degli elementi della facciata. Anche
i materiali risultano familiari: evocano le tettoie
delle fabbriche vicine, le arrugginite lamiere ondulate
delle casette, le pile di legname, le guide in
cemento e i cassoni da imballaggio del porto.
Il portico d'ingresso rappresenta l'esempio
più intenso di transfer delle tipologie esterne
dentro al complesso volume del museo. La griglia
di colonne di cemento all'interno prosegue al di
fuori dell'edificio trasformandosi in pali di legno
grezzo per evocare il linguaggio visivo degli arenili
vicini. L'esterno è un mondo turbolento, esposto e
imprevedibile. Il portico crea una forma di porosità
tra dentro e fuori, diventando riparo e offrendo
a eventi informali e arte pubblica uno spazio tra
museo e comunità. Materializzando la filosofia
di Andreas Huyssen e l'attivismo di John Turner,
questo spazio propone un ruolo per l'architettura
come atto di apertura verso l'esterno, il non finito
e il non realizzato.
Architecture from the frontline
Negli slum di Port Elizabeth, Sudafrica, un museo in memoria delle lotte contro l'apartheid come atto di fede in un futuro diverso. Design Noero Wolff Architects. Testo Hannah Le Roux. Foto David Southwood, Rob Duker.
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- 31 luglio 2008