In questo senso, il museo va visto come un esempio di architettura "in attesa". È concepito come catalizzatore per lo sviluppo dell'area circostante; altri progetti rivolti agli abitanti della comunità (edilizia popolare di tipo sperimentale e un cinema all'aperto) sono già sorti ai suoi margini. Deve diventare il nucleo di un nuovo centro urbano fatto di edifici pubblici e strutture commerciali. Tuttavia, allo stato attuale, con la vita della comunità ancora largamente immutata, la sofisticata funzione e la grande scala dell'edificio paiono in netto contrasto con un contesto disperatamente bisognoso.
Anche gli interni del museo sembrano un invito alla rioccupazione. Gli architetti lo hanno immaginato come un container di una sequenza di "scatole della memoria", collegate come scala e materiali alle case circostanti. È un "contenitore di contenitori", un'abitazione per quell'effimera materia della memoria che altri autori porteranno al suo interno: artisti con le loro installazioni o visitatori che vedono o immaginano le vite degli altri.
È un approccio le cui modalità riflettono una profonda sensibilità nei confronti della natuÈ un'abitazione per quell'effimera materia della memoria che altri autori porteranno al suo interno Negli slum di Port Elizabeth, Sudafrica, un museo in memoria delle lotte contro l'apartheid come atto di fede in un futuro diverso ra politica dell'architettura. Del resto, fin dagli anni Ottanta, Jo Noero si divide tra progetti privati e pubblici e ha affermato che la sua ambizione è operare a cavallo tra i rispettivi linguaggi architettonici: il bello e inutile, il brutto ma utile, una divisione che nel Sudafrica dell'apartheid si traduceva in spazi per bianchi e spazi per persone di colore. Fa parte di quel ristretto numero di architetti che hanno lavorato negli interstizi tra le due comunità e la sua formazione si riflette nella dualità degli impegni del suo studio. Il suo lavoro è insieme poetico – nell'esprimere significati attraverso le immagini della memoria – e pragmatico nel rispondere alle necessità di base circa le infrastrutture urbane.
Parlando della sua attività, Noero indica il bisogno di rintracciarvi una forma di rettitudine nella folle eredità disgregante dell'apartheid, vocazione che si concretizza realizzando spazi e forme capaci di mediare tra condizioni estreme. Per questo, ha fatto della geometria un ordine stabilizzante: a Red Location una rete quasi impercettibile di legami formali collega il quartiere agli spazi del museo, estendendosi alle serene proporzioni degli elementi della facciata. Anche i materiali risultano familiari: evocano le tettoie delle fabbriche vicine, le arrugginite lamiere ondulate delle casette, le pile di legname, le guide in cemento e i cassoni da imballaggio del porto.
Il portico d'ingresso rappresenta l'esempio più intenso di transfer delle tipologie esterne dentro al complesso volume del museo. La griglia di colonne di cemento all'interno prosegue al di fuori dell'edificio trasformandosi in pali di legno grezzo per evocare il linguaggio visivo degli arenili vicini. L'esterno è un mondo turbolento, esposto e imprevedibile. Il portico crea una forma di porosità tra dentro e fuori, diventando riparo e offrendo a eventi informali e arte pubblica uno spazio tra museo e comunità. Materializzando la filosofia di Andreas Huyssen e l'attivismo di John Turner, questo spazio propone un ruolo per l'architettura come atto di apertura verso l'esterno, il non finito e il non realizzato.









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