Nasce come struttura provvisoria, a scadenza – tre anni –, pensata per colmare il vuoto espositivo di parte della sede madre in fase di ristrutturazione. Ma ha un segno forte e un obiettivo ambizioso: dare vitalità e valorizzare la Bovisa, quartiere simbolo dello sviluppo industriale milanese. Testo di Pierluigi Cerri. Fotografia di Paolo Rosselli. A cura di Loredana Mascheroni.

Con tutti i discorsi che si vanno facendo in Architettura sulla nozione di durata, di future testimonianze, di costruzioni degne di divenire o aspirare a essere monumenti, è bene confermarlo: questa installazione collocata nel tessuto in fibrillazione della Bovisa non è un’architettura. È piuttosto un oggetto i cui materiali di costruzione rivelano una incompiutezza che mostra il suo carattere di provvisorietà, non tanto nel suo significato di ripiego ma piuttosto nella sua derivazione latina di provisus, participio passato di providere, di provvedere a qualcosa che deve far fronte a un bisogno, preoccuparsi di dotare quel territorio in trasformazione di una struttura necessaria al progetto di comunicare (o amplificare) gli eventi proposti dal nuovo corso della Triennale Bovisa (TBVS per dirla con un occhio malizioso alle mode d’oltreoceano).

E, allora, i fronti di questo edificio effimero (questa è l’ambizione) saranno schermi capaci di disvelare, con gli artifici della tipografia e la dinamica delle figure, le trame degli eventi. E, ancora, questa struttura dovrebbe essere un catalizzatore di incontri liberatori, essere il luogo degli intrecci disciplinari e dei giochi infantili (il piazzale ne rivela le tracce).

Penso alla grande popolazione di studenti. Ingegneri, architetti e designer... ma anche i cultori delle materie. Questa struttura così fragile in apparenza è da usare fino allo sfinimento. Prima che, un giorno, improvvisamente, così come è apparsa, svanisca. Per poi rinascere sotto forma di Vera Grande Architettura, per forma, immagine e configurazione. Pierluigi Cerri