On the Pyongyang Issue

 

L’architetto Jan Kaplicky, fondatore di Future Systems, critica l’iniziativa di Domus di una consultazione di idee per il Ryugyong Hotel di Pyongyang, in Corea del Nord: “propaganda a un regime che calpesta i diritti umani”. Stefano Boeri risponde a Kaplicky: “La nostra iniziativa è un ponte simbolico, uno spiraglio per denunciare una dittatura e aprire una fessura nell’isolamento del paese”.

A proposito di Domus 882
di Jan Kaplicky

Leggo Domus dal 1956, quindi da quasi cinquant’anni, ed ero convinto che la vostra rivista si occupasse di architettura, di design, di bellezza, e della gente. Negli ultimi mesi, invece, è diventata nient’altro che una testata politica. Domus 882 del giugno 2005, con le sue ventidue pagine e tre copertine di propaganda nordcoreana, mi ha lasciato inorridito, sgomento, sdegnato e infine addolorato. Propaganda a un regime che calpesta i diritti umani. A un Paese guidato da un dittatore la cui arma principale è la fame e che si è reso responsabile della morte di oltre due milioni di suoi compatrioti. Che fa uso di prigioni e campi di concentramento, si è dotato di armi nucleari e sostiene il terrorismo internazionale. Devo aggiungere altro? Le vostre immagini e il testo dell’articolo che avete pubblicato sostengono un tale impero del male senza nemmeno un commento critico. Espressioni come “il visionario piano del leader” fanno ridere. Come potete pensare che vengano prese sul serio? Non una sola parola su quanti muoiono di fame, sulle prigioni e sui campi di concentramento. Sulla gente costretta a subire il lavaggio del cervello, a diventare “robot che dicono di sì”. Gente che vive nel terrore. Il vostro hotel preferito è costato settecentocinquanta milioni di dollari di denaro pubblico. Quante vite si potevano salvare con una somma simile?
E tutto questo è il prodotto del lavoro della rivista e del suo direttore. Di redattori comodamente seduti in uno di quei famosi caffè milanesi ad atteggiarsi a intellettuali di sinistra. Che pena! Su chi credete di far colpo? Su voi stessi. Certamente non sugli architetti, ve lo garantisco. Queste sono pagine prive di filosofia. Forse sono solo il risultato dell’ammirazione per quel regime. Vorrei ricordarvi che persino Jean Paul Sartre rifiutò di accettare gli orrori di Stalin. Mi viene in mente l’immagine di Jane Fonda seduta su una postazione antiaerea nord-vietnamita: com’era ingenuo tutto ciò. Dovete smetterla con questi vuoti esercizi intellettuali. Non potete sostenere regimi disumani. Mussolini costruì stazioni ferroviarie, Hitler autostrade e Stalin metropolitane, spesso avvalendosi di manodopera schiavizzata. Kim Jong-Il costruisce hotel, e ne fanno le spese milioni di persone. Milioni di persone muoiono. Inoltre, ciò di cui parlate non è nemmeno architettura, forse solo mucchi di mattoni e cemento. L’hotel Ryugyong non è certamente architettura: è vuoto, al suo interno non c’è anima viva. Non può essere progettato e usato da robot lobotomizzati. L’architettura moderna non può esistere senza esseri umani liberi. Ma non c’è una sola parola di tutto ciò nel vostro articolo. Vi prego, svegliatevi. Siete isolati. Siete soli. È troppo pericoloso. Guardatevi intorno e cercate le cose belle, vedrete che ce ne sono. La vostra responsabilità nei confronti dei giovani architetti, degli studenti, dell’umanità è enorme.
Quello che fate non può e non deve essere d’ispirazione a nessuno. Sforzatevi di pensare in modo nuovo, bello, utile e progressista. Mentre sorseggiate un altro caffè al Bar Magenta, pensate al costo di questi progetti in termini di vite umane. Mi chiedo quale sarà il soggetto del prossimo numero di Domus: forse Mussolini, Hitler, o Mao? Mugabe che rade al suolo l’architettura? In futuro, celebrate la creatività, non la distruzione. Ve ne prego.
Jan Kaplicky

Jan Kaplicky è nato a Praga nel 1937. Nel 1979, insieme a David Nixon, ha fondato a Londra lo studio d’architettura Future Systems. Tra i suoi progetti recenti ricordiamo il Media Centre del Lord’s Cricket Ground di Londra e la sede dei grandi magazzini Selfridges a Birmingham.

Media, Architecture and Geopolitics
Spiragli
di Stefano Boeri

L’abbiamo detto fin dal nostro primo numero: noi crediamo che l’architettura sia oggi un punto di vista sul mondo. Utile e necessario. Crediamo che guardare, descrivere, interpretare gli spazi e le costruzioni umane - perché è questo una delle risorse dell’architettura - ci aiuti a capire meglio le comunità di persone in cui abitiamo.
Siamo convinti che il territorio - il territorio continuamente riscritto dai nostri movimenti, ripensato dai nostri desideri, punteggiato dalle nostre costruzioni - sia oggi una eccellente metafora delle nostre società. Perché lo spazio locale è uno scrigno ricco di dettagli e indizi sulla vita quotidiana e sulle energie invisibili che la percorrono; energie che a volte - magari per pochi istanti - solo nello spazio si lasciano intravedere, come le orme sulla neve.
La dimensione politica dell’architettura non sta nelle etichette colorate che aggiungiamo ai nostri progetti e neppure nell’altisonanza delle nostre dichiarazioni politiche; sta nel produrre una conoscenza utile e critica sul mondo contemporaneo; utile perché critica. Con questa idea in testa, nei mesi scorsi abbiamo raccontato su Domus le città nucleari e ‘proibite’ dell’ex Unione Sovietica, le rotte dei clandestini nel Mediterraneo, lo sfruttamento selvaggio degli immigrati nei cantieri di Shanghai, o il carcere infernale di Buenos Aires.
E con lo stesso spirito, quello di un’indagine sullo spazio locale, siamo andati a Pyongyang. Da dove abbiamo raccontato - senza bisogno di proclami ideologici - una città agghiacciante, percorsa da immense strade vuote senza negozi e da individui sparuti che si muovono come comparse. Che abitano in grandi blocchi di case diroccate e si muovono a piedi, perché i mezzi pubblici sono pochi e sgangherati. Le foto di Armin Linke raccontano una città pensata e realizzata tutta d’un colpo da un dittatore e dal suo staff di architetti. Una città punteggiata da immensi monumenti semivuoti e rotante attorno ad un gigantesco rudere - il Ryugyong Hotel - simbolo e incidente di percorso di un regime fallimentare, che sta forse cercando di uscire da un isolamento suicida.
Ma c’è dell’altro. I paesaggi sinistri di Pyongyang non sono semplicemente la riprova dell’esistenza di un “regno del male”. Come abbiamo scritto c’è in loro qualcosa di familiare; familiare per un occhio abituato all’immaginario della fantascienza e della fantapolitica occidentale. È come se dopo i bombardamenti del 1952 a Pyongyang (una intera città rasa al suolo, a sette anni di distanza da Hiroshima e Dresda: ce lo eravamo dimenticati?) avessero deciso di realizzare, senza alcuna ironia, le utopie negative costruite dall’immaginario occidentale: da George Orwell fino a Ridley Scott. La bizzarra serie di caricature della storia dell’architettura realizzate dalla nomenclatura nord-coreana non ci può infatti lasciare indifferenti. Ci racconta di una città popolata da automi senza scelta, che incarna un regime assoluto e isolato dal mondo, eppure capace di spregiudicate incursioni nel mondo simbolico delle democrazie occidentali. Insomma: che lo si voglia o no, in quell’incubo ci siamo anche noi.
Per questa ragione abbiamo lanciato una consultazione di idee di “architettura e geopolitica” per ripensare l’immensa piramide di cemento di Pyongyang (www.domusweb.it/domus/ryugyong). Abbiamo usato questa rovina come un ponte simbolico. Come uno spiraglio per denunciare una dittatura e aprire una fessura - senza “bombe chirurgiche” - nel suo isolamento. La qualità delle proposte che stiamo raccogliendo da tutto il mondo (anche dall’interno della Corea del Nord) conferma che avevamo visto giusto. Che a volte lo sguardo dell’architettura può rivelare punti di debolezza e spiragli che la politica delle spie e delle diplomazie internazionali non sa neppure cercare. Davvero ci dispiace di aver turbato il mondo in bianco e nero di Jan Kaplicky, ma ne valeva la pena.
Stefano Boeri

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