La nuova Simmons Hall al MIT, progettata da Steven Holl, sarà un landmark dell’architettura contemporanea americana. Yehuda Safran ne commenta la valenza, Carlo Ratti presenta il work in progress architettonico del campus. Fotografia di Michael Moran.
Colin Rowe, l’austero critico inglese che ha trascorso gran parte della sua carriera accademica in America, è molto negativo sul campus del MIT di Boston: lo ritiene un precedente disastroso per quanto riguarda l’urbanistica delle città universitarie. Come i dormitori di Alvar Aalto e l’Auditorium Kresge e la cappella progettati da Saarinen, questa istituzione universitaria ha definito infatti il paradigma dell’edificio come “oggetto di design”. Il risultato è che ogni università americana ha finito per trasformarsi, in proporzioni mai viste prima del 1950, in una specie di sfilata di architetture prive di relazione tra loro, commissionate ai progettisti di volta in volta considerati migliori.
Mezzo secolo dopo abbiamo però l’occasione di veder nascere, proprio nella stessa università, un nuovo modello di intervento a scala urbana. Se Le Corbusier con l’Unité d’Habitation e con il convento di La Tourette proponeva dei modelli residenziali destinati alle comunità dei lavoratori e a quelle dei monaci, la Simmons Hall del MIT rappresenta un tentativo, da parte di Steven Holl, di fare la stessa cosa per la comunità degli studenti.
Nell’intervento di Holl il dormitorio non è più semplicemente un luogo dove riposarsi, ma diventa uno spazio che risponde a un programma di attività pienamente evoluto: un condensatore sociale nel vero senso della parola. Il progettista ha pensato a una serie completa di funzioni sociali: una mensa collettiva, un ristorante raggiungibile direttamente dalla strada e una varietà di spazi comunitari caratterizzati dai singolari pozzi di luce che perforano ogni livello dell’edificio, portando la luce naturale fino al cuore della struttura. All’esterno c’è anche un teatro da 125 posti con annessi impianti sportivi, affiancato da un’installazione di Dan Graham: intitolata Yin and Yang, vista da certe angolazioni riflette l’immagine dell’edificio.
Se la vita degli studenti è una sorta di prova generale per il futuro che li attende, si può affermare che questo progetto rivoluziona la vita quotidiana dell’università: trasforma la strada tradizionale in un mondo di esperienze e di divertimenti, che cercano di proporre un’alternativa all’apatia politica e all’isolamento personale. Rivoluziona così anche il modo di considerare la vita che si svolge nello spazio pubblico della strada e nella dimensione domestica della casa. Lunga non meno di 140 metri e alta dieci piani, la Simmons Hall è una vera porzione di città. I corridoi relativamente ampi che collegano le camere al MIT trasformano l’atrio in qualcosa di simile a una strada urbana, che beneficia della morfologia ‘porosa’ dell’edificio offrendo aperture inaspettate, aree di relax e sale comunitarie. Questi spazi collettivi sono pensati per far incontrare gli studenti, generando interazione e dialogo. Le aperture permeabili sono provviste di finestre più grandi e presentano superfici inaspettate.
Edificio grezzo e dal rivestimento minimale, contraddistinto da un tocco di ingenuità evidente non soltanto dal punto di vista tettonico ma anche nel trattamento dei colori e nell’articolazione deliberatamente approssimativa delle superfici, sembra offrire soprattutto un ambiente comunitario. Forse è la prima volta che un linguaggio brutalista viene applicato a questa scala in una delle maggiori università degli Stati Uniti; a parte l’eccezione dello Yale Art and Architecture Building di Paul Rudolph, un tempo al centro di numerose polemiche e oggi considerato un autentico modello.
Poroso, permeabile, schermo, rete, porosità, poro, foratura, passaggio, traforo, nido d’ape, perforazione, spugna, apertura, foro: sono alcuni dei concetti elaborati nelle prime fasi del concorso di progettazione urbana, vinto da Holl quattro anni fa, che gli ha permesso di realizzare l’edificio. Originariamente il progetto prevedeva quattro ampi dormitori tagliati da una strada, che dovevano conferire all’area d’intervento un ordine di carattere urbano; tutti i blocchi avevano lo stesso grado di permeabilità. Questo piano generale (del quale è stato realizzato alla fine un solo edificio), si riferisce a un campo lessicale predeterminato, con “radici multiple” che mandano in pezzi la linearità e l’unitarietà del linguaggio stesso; in questo modo la sfera concettuale di Holl si trasforma in una sorta di rizoma. Per questo architetto la questione fondamentale è la conoscenza delle cose, vista come una convergenza di relazioni infinite: passato e futuro, realtà e possibilità. Il suo edificio stabilisce incessanti connessioni tra le catene semiotiche, l’organizzazione del potere e dello spazio e tutto ciò che riguarda le arti, le scienze e la differenziazione sociale. Entrando in relazione con vari atti – percettivo, mimetico, gestuale e cognitivo – esso forma una sorta di bulbo con vari strati.
L’elemento modulare implica la molteplicità e la varietà delle misure, la molteplicità accresce il numero delle possibili connessioni. Il piano della densità è il reticolo, manifestazione esterna di tutte le molteplicità. Le singole stanze, i gruppi, le formazioni sociali, le accelerazioni e le trasformazioni sono sempre in comunicazione diretta con l’esterno. Grandi open space con pozzi di luce si contrappongono nettamente ai dormitori tradizionali, e ai loro corridoi senza fine. La separazione delle strutture o l’interruzione di una singola struttura corrisponde a una rottura. Come in un rizoma, la struttura può essere rotta, frantumata in un punto determinato: ma ricomincerà di nuovo a espandersi lungo una delle vecchie direttrici, o ne individuerà una nuova.
In questo senso l’opera di Holl richiede che ogni cosa debba essere denominata in modo preciso, descritta e localizzata nello spazio e nel tempo. La sua molteplicità si coniuga alla sua realtà eterogenea. Alla comunità degli studenti viene così offerta non una “machine à habiter” ma un segmento di città con il quale compiere esperimenti e scoperte.
Holl ha sfruttato le potenzialità di una pelle grezza tesa su un reticolo rigido di piccole finestre, nove per ciascuna camera. Prevedendo tre file di finestre (ciascuna di altre tre finestre, corrispondenti al modulo di un pannello prefabbricato), ha ottenuto soffitti più alti di quanto richiedevano gli standard dell’università.
In collaborazione con l’ingegnere Guy Nordenson, noto per la sua capacità innovativa, Holl ha ideato una struttura chiamata ‘Perfcon’: essa incorpora nello stesso elemento prefabbricato finestre, pareti e strutture portanti. Questo procedimento unico determina il ritmo secondo cui vengono disposte le murature, sia interne sia esterne, così da farne un aspetto distintivo del progetto.
Lo scrittore Henry David Thoreau sosteneva che gli studenti non devono giocare al gioco della vita, o studiare come affrontarla mentre la comunità li sostiene in questa simulazione dispendiosa; devono piuttosto vivere nella maniera più sincera i loro anni universitari. “Come può la gioventù imparare a vivere meglio se non compiendo simultaneamente l’esperimento di vivere?” Forse Thoreau avrebbe preferito che gli studenti costruissero la Simmons Hall con le proprie mani, ma sicuramente l’edificio è più che all’altezza dei suoi ideali.
La Simmons Hall
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- 01 aprile 2003