Architettura nuova per l’università

La nuova Simmons Hall al MIT, progettata da Steven Holl, sarà un landmark dell’architettura contemporanea americana. Yehuda Safran ne commenta la valenza, Carlo Ratti presenta il work in progress architettonico del campus. Fotografia di Michael Moran.

Le parole con cui il Presidente del MIT Charles Vest ha lanciato, un paio di anni fa, uno dei programmi edilizi più ambiziosi nella storia della celebre università americana sono prese in prestito da Winston Churchill: “Noi plasmiamo i nostri edifici ed essi, a loro volta, plasmano noi”. La qualità dell’architettura – ha detto in sintesi – è fondamentale per una grande istituzione universitaria che voglia restare competitiva, continuando ad attrarre i migliori studenti e a stimolare la loro creatività.

Sono concetti largamente condivisi nel mondo accademico statunitense, ma i pareri su che cosa si debba intendere per “qualità architettonica” sono discordi. Molte università americane continuano ancora oggi a propinare ai loro studenti architetture in stile neogotico o neogeorgiano (Princeton, per esempio, si è appena lanciata nella costruzione di un complesso medievaleggiante di 25.000 metri quadrati, muri rigorosamente in pietra, tetti a falde d’ardesia). Diverso il caso del MIT che, forse anche per lo stimolo del Preside della Facoltà di architettura Bill Mitchell, ha deciso di affidarsi ad alcuni dei più noti progettisti contemporanei, nell’ambito di un grandioso programma di espansione del campus da circa un miliardo di dollari. Sono previsti diversi edifici-simbolo su cui si stanno cimentando Steven Holl, Frank Gehry, Kevin Roche, Fumihiko Maki e Charles Correa.

Il lavoro più importante tra quelli già completati è certamente il dormitorio Simmons Hall (progettato da Steven Holl Architects, in collaborazione con Perry Dean Rogers & Partners). Si tratta di un grande edificio traforato, quasi una spugna frattale svuotata al proprio interno, che si affaccia su Vassar Street e costituisce un nuovo punto di riferimento nello sfrangiato paesaggio urbano della parte ovest del campus.

Sempre su Vassar Street, ma all’estremità opposta del campus, è in corso il cantiere dello Stata Center, un grande istituto di ricerca che dovrebbe accorpare i dipartimenti di informatica, intelligenza artificiale e linguistica del MIT. La progettazione ha impegnato Frank Gehry, in associazione con Cannon Design, per circa due anni. L’edificio (che rimodella l’affaccio del campus verso nord e la stazione della metropolitana, generando – grazie anche ad alcune demolizioni – un nuovo corridoio visivo centrato sull’aulica cupola neoclassica posta al centro del MIT) è composto da due torrioni di mattoni dalla geometria regolare, che rappresentano le due anime dell’edificio: quella prettamente informatica e quella linguistico-filosofica. Tra essi si coagula una serie di volumi di forma libera, rivestiti di alluminio e acciaio inossidabile. L’impressione che ne deriva è quella di un complesso regolare su cui siano cresciuti degli elementi mutanti: alcuni sembrano staccarsi, piroettare e precipitarsi a terra da un lato e dall’altro.

Un’altra importante area di intervento si trova al centro del campus, in quel quadrilatero nobile dell’architettura del Novecento dove si fronteggiano Alvar Aalto (gli storici dormitori curvilinei della Baker House, 1949), Eero Saarinen (la cappella e l’auditorium, 1955) ed Eduardo Catalano (il centro studentesco, 1965). Per rispondere alla sfida dell’inserimento di un nuovo complesso sportivo in un contesto tanto sensibile, è stato chiamato Kevin Roche, a suo tempo collaboratore di Saarinen proprio su questo sito.

L’edificio, da poco inaugurato, si inserisce nel contesto con grande discrezione, grazie a una facciata leggermente curvilinea in vetro e pietra che riprende con maestria i fili delle costruzioni adiacenti. L’interno è forse meno ben risolto, ma risente di un programma funzionale straordinariamente complesso nonché delle costrizioni esterne del sito.

Gli ultimi due grandi progetti che segneranno il campus del MIT nei prossimi decenni sono ancora soltanto sulla carta. Si tratta del raddoppio del Media Lab e del Brain and Cognitive Sciences Project. Il primo è un intervento molto preciso e raffinato, firmato da Fumihiko Maki. Si affianca all’edificio esistente del Media Lab (Pei, 1985) con un parallelepipedo regolare, scomponibile al suo interno in una serie di volumi duplex a incastro, affacciati su un grande e luminoso atrio centrale. Il secondo progetto, firmato da Goody, Clancy & Associates e Charles Correa Associates dovrebbe, invece, creare una nuova facciata urbana del MIT verso la città di Cambridge, scavalcando la ferrovia e risolvendo una delle discontinuità più problematiche poste dall’estensione del campus.

Una valutazione complessiva di tutto l’ambizioso programma edilizio del MIT dovrà essere rimandata al prossimo futuro, quando tutti i cantieri saranno completati. Fin d’ora però sorge spontanea una domanda: che cosa accomuna questi interventi, firmati da progettisti tanto diversi? Al di là delle loro differenze formali, è possibile proporne una lettura unitaria? Si può rispondere a questa domanda con alcune brevi considerazioni. La prima riguarda l’organizzazione distributiva dei nuovi edifici, quantomeno rivoluzionaria.

Su precisa richiesta del MIT, i progettisti hanno cercato di integrare al massimo gli spazi di lavoro e quelli di ricreazione, al fine di favorire l’interazione e la socializzazione tra studenti e ricercatori delle diverse discipline. Questo capita sia in una struttura residenziale come Simmons Hall (definita da Safran un “condensatore sociale nel vero senso della parola”), sia in un polo di ricerca come lo Stata Center, dove gli uffici sono organizzati in sottoinsiemi indipendenti che si affacciano su spazi comuni a doppia altezza. La ragione di queste scelte è semplice. Spiega John Guttag, direttore del Dipartimento di ingegneria elettrica e informatica: “In passato, studenti e ricercatori avevano l’opportunità di incontrarsi, per esempio mentre andavano in biblioteca per fare ricerca. Oggi tutto si svolge via computer, così non vi sono più molte occasioni di lasciare il proprio ufficio e socializzare con gli altri”.

La seconda riflessione è di carattere più generale ed esula dalle affinità programmatiche dei singoli edifici. A volte sembra che il genius loci del campus del MIT abbia forzato la mano dei diversi progettisti. Nessuno di loro è infatti immune dagli influssi di quel contesto ruvido e industriale il cui principio ispiratore sembra essere una pura logica di necessità: edifici disposti secondo una rigorosa maglia ortogonale, individuati da sigle alfanumeriche (l’ufficio di chi scrive ha l’inquietante identificativo NE18-5FL), collegati dal cosiddetto “corridoio infinito” un asse di comunicazione della sezione di tre metri per quattro che trafigge il campus con una linea retta di oltre 250 metri. C’è un po’ di tutto questo nella facciata a scansione regolare di Simmons Hall (che ricorda una scheda perforata e che con le sue 5.500 finestre quadrate e colorate vuole rendere evidente la propria logica strutturale – i colori scelti fanno riferimento all’entità delle sollecitazioni strutturali nelle singole parti); oppure nello Stata Center, un edificio insolito nella produzione degli ultimi anni di Frank Gehry, con i suoi due bastioni squadrati in laterizio punteggiati da finestre di stampo tradizionale.

Infine, pensiamo alla forte partecipazione degli studenti e di tutta la comunità accademica alle diverse fasi di questa grande operazione edilizia. In alcuni casi essi sono stati coinvolti in modo formale nella definizione del programma. In altri casi si sono chiamati in causa da soli, inviando messaggi a mailing list e forum di discussione su Internet. “Stata’s status” (cioè lo stato di avanzamento lavori dello Stata Center) è oggi uno degli argomenti di conversazione preferiti sul campus. Poco importa che a volte i giudizi siano contrastanti e che l’edificio di Gehry, per esempio, susciti passioni forti di segno opposto (viene descritto in rete, alternativamente, come una delle nuove meraviglie del campus, degno erede della Baker House di Alvar Aalto, o come una pila di lattine ammaccate). Il coinvolgimento della comunità accademica era proprio uno degli effetti desiderati. Dice Mitchell, stratega dell’intero progetto: “È compito di una grande istituzione favorire l’innovazione in architettura: una disciplina che comunque non è fatta solo per piacere, ma per permettere l’esplorazione continua di nuove idee”.
All’interno del dormitorio disegnato da Steven Holl, il brutalismo del cemento a vista si coniuga con forme libere, ispirate alla porosità della spugna
All’interno del dormitorio disegnato da Steven Holl, il brutalismo del cemento a vista si coniuga con forme libere, ispirate alla porosità della spugna
Il campus del MIT vanta interventi architettonici illustri, come la Baker House
Il campus del MIT vanta interventi architettonici illustri, come la Baker House
Il dormitorio realizzato da Alvar Aalto nel 1949, con la sala del ristorante dai caratteristici lucernari cilindrici
Il dormitorio realizzato da Alvar Aalto nel 1949, con la sala del ristorante dai caratteristici lucernari cilindrici
Nella veduta della zona ovest del campus si individua il nuovo dormitorio di Holl, allineato lungo Vassar Street. Fa parte dell’ambizioso programma di espansione, affidato a progettisti internazionali
Nella veduta della zona ovest del campus si individua il nuovo dormitorio di Holl, allineato lungo Vassar Street. Fa parte dell’ambizioso programma di espansione, affidato a progettisti internazionali
Fumihiko Maki ha progettato l’ampliamento del Media Lab, disegnato da I.M. Pei nel 1985: un rigoroso parallelepipedo, organizzato intorno a un atrio centrale a tutta altezza
Fumihiko Maki ha progettato l’ampliamento del Media Lab, disegnato da I.M. Pei nel 1985: un rigoroso parallelepipedo, organizzato intorno a un atrio centrale a tutta altezza
Il nuovo Zesiger Sports and Fitness Center di Kevin Roche, John Dinkeloo & Associates si rapporta con un’altra icona del campus: l’auditorium con la copertura voltata di Eero Saarinen del 1955
Il nuovo Zesiger Sports and Fitness Center di Kevin Roche, John Dinkeloo & Associates si rapporta con un’altra icona del campus: l’auditorium con la copertura voltata di Eero Saarinen del 1955
Lo Stata Center, uno dei più grandi complessi del campus riservato alla ricerca, è in via di ultimazione. Frank Gehry realizza qui una delle sue tipiche aggregazioni di forme variate, in cui corpi di fabbrica in mattoni sono accostati a volumi rivestiti in alluminio e acciaio
Lo Stata Center, uno dei più grandi complessi del campus riservato alla ricerca, è in via di ultimazione. Frank Gehry realizza qui una delle sue tipiche aggregazioni di forme variate, in cui corpi di fabbrica in mattoni sono accostati a volumi rivestiti in alluminio e acciaio

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram