A Osaka, nella casa museo di un celebre romanziere, fotografata in esclusiva per ‘Domus’ da Todd Eberle, Tadao Ando rievoca la passione dello scrittore per la ricerca storica. Michael Webb racconta
La maestria di Tadao Ando nel trattare i materiali e le forme è indubbia, anche se l’intensità e la trattenuta energia dei suoi edifici di piccole dimensioni si ritrovano più difficilmente nelle opere recenti, che hanno un po’ sofferto per l’aumento di scala. Sotto la pressione di clienti desiderosi di grandeur, non condizionati dai costi, dai contenuti o dal pubblico, i progetti sono diventati sempre più vasti, e questo non sempre ha giovato: ma il compatto museo-biblioteca, che Ando ha recentemente portato a termine in un quartiere alla periferia di Osaka, rappresenta un ritorno alla qualità sublime di sue opere come il Tempio dell’Acqua e della Luce.
Il Museo-Memorial dedicato a Shiba Ryotaro celebra uno scrittore straordinariamente popolare, ammirato e apprezzato. Nato a Osaka nel 1923, Shiba Ryotaro è stato arruolato nell’esercito imperiale: un’esperienza che lo ha traumatizzato, per la brutalità dei comandanti e il sistema militaristico che essi rappresentavano. Da allora, egli ha consacrato la sua vita a studiare il significato della burrascosa storia del Giappone, dall’epoca Meiji in poi. Inizia come giornalista e reporter, ma ben presto passa a scrivere romanzi storici meticolosamente documentati – fra gli altri, Drunk as a Lord (Ebbro come un Signore), Burning Sword (La spada fiammeggiante) e The Last Shogun (L’ultimo shogun) – che gli guadagnano un grande seguito in Giappone e all’estero. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1996, la moglie ha creato una fondazione a suo nome, che assegna premi e borse di studio, e ha voluto la costruzione del museo, un edificio che parte dall’abitazione dello scrittore e con una curva aggraziata si inoltra nel fiorente giardino.
In pianta, l’edificio di cemento armato disegna due archi di cerchio che si sovrappongono, intersecati da pareti radiali. Le scale e i locali di servizio sporgono dalla facciata interna. I visitatori arrivano attraverso un ingresso non vistoso, che si apre nel muro del giardino, lungo un percorso serpeggiante. Un alto portico vetrato lungo la parete sud, priva di finestre, li conduce nell’atrio dove sono subito attirati dallo spettacolo delle librerie ricolme. I libri raccolti da Ryotaro in cinquant’anni di carriera probabilmente debordavano da ogni scaffale della sua pur spaziosa abitazione. La collezione è stata ora trasferita nel museo, di cui è diventata il motivo conduttore. Due pareti alte otto metri, foderate di libri dal pavimento al soffitto, conducono a una finestra a motivi geometrici. Una balconata interna di acciaio gira tutt’attorno, al livello del piano superiore, partendo dall’ufficio del direttore: una scala porta dall’atrio all’area riservata alle mostre, nel seminterrato.
Ando descrive questa esperienza di lavoro come un “tuffo nella mente dell’autore”: con la sua opera ridà vita e rilievo alla passione di Ryotaro per la ricerca e alle solide basi che a questo scopo lo scrittore si era costruito. Ispirandosi alla dinamica verticalità delle Carceri del Piranesi – come ha fatto anche nella vertiginosa scala e nei piani spezzati del suo studio di Osaka – l’architetto ha creato un edificio intenso, chiaramente riconoscibile come suo, ma anche in armonia con il soggetto. Le curve brusche e gli improvvisi cambiamenti di livello sono “in puro stile Ando”: un percorso di continue scoperte attraverso uno spazio di mille metri quadrati, che sembra però infinito. Ci si sente quasi trascinati avanti, a esplorare e a osservare la biblioteca da vari punti di vista, ci si lascia avvolgere e abbracciare. L’elegante sala proiezioni a forma di ventaglio, l’esposizione di oggetti vari e di cimeli (l’inevitabile shop) ci sono, è vero, ma hanno soltanto ruoli accessori. L’ambiente è molto rigoroso ma accogliente, come un guscio di cemento foderato di quercia giapponese: un materiale freddo e un materiale caldo insieme a confronto. Entrambi sono trattati con la raffinatezza e la sapienza inconfondibili di Ando, e splendono di quieti bagliori nella luce naturale che penetra copiosamente da est attraverso una ‘scacchiera’ di vetro chiaro, che filtra, anche se con esiti solo parziali, i raggi di luce dannosi per i libri. La curva della sala trova un’eco nell’andamento dei listoni del pavimento, e la scala della biblioteca ricorda una pila di cassettiere che si debbano misurare con il sistema dei ripiani. È evidente, in ogni caso, che i libri sono più da guardare che da usare, perché molti punti della biblioteca sembrano davvero inaccessibili in pratica.
Ciò che rende più valido, anzi prezioso, il progetto di Ando è il piacere evidente che esso procura agli ammiratori dello scrittore, per i quali questo spazio è diventato quasi un santuario. Vengono letteralmente catturati dallo spirito del luogo, e si muovono felici da un punto all’altro, assorbiti dal ricordo della gioia che la lettura di Shiba Ryotaro ha loro donato.
Un’architettura di libri

View Article details
- 31 gennaio 2003