La Casa del Silenzio

Peter Kulka ha creato insieme a Konstantin Pichler un’architettura per chi cerca nella contemplazione un rifugio temporaneo dal mondo. Testo di Jürgen Tietz.
Fotografia di Keith Collie


Trovare momenti e luoghi di pace e di contemplazione sembra un lusso nella nostra società. Anche durante il tempo libero ci sentiamo obbligati a divertirci, a correre di qua e di là, andare al mare o fare shopping o buttarci in un giro turistico. Sono pochi ormai i luoghi che ci permettono di allontanarci dalla frenetica routine quotidiana, di ritrovare noi stessi per qualche giorno o qualche settimana. Uno di questi è la Casa del Silenzio, costruita su progetto di Peter Kulka nell’Abbazia Benedettina di Königsmünster, a Meschede. È un cubo di cemento, semplice ma raffinato: contiene venti stanze in cui gli ospiti possono evadere dalla vita quotidiana e condurre un’esistenza monastica, anche se temporaneamente.

La Casa del Silenzio offre spazi per coltivare la religiosità e la spiritualità, esigenze che crescono nella società, come reazione alla quotidiana lotta, spesso insensata, per il venale guadagno. Il programma proposto dai Benedettini comprende seminari su temi come “Trovare la pace” o “Digiuno e silenzio”: ma c’è anche la possibilità di dialogare con i monaci, in momenti di crisi personale, o semplicemente di ritirarsi nella quiete e nel silenzio della casa e delle colline del Sauerland che la circondano.

Per soddisfare le esigenze particolari di questo monastero temporaneo – cioè per offrire agli ospiti uno spazio adatto alla contemplazione – Peter Kulka ha realizzato quello che fino a ora è il suo edificio più raccolto e intenso: attraverso la scelta dei materiali (cemento bianco, alluminio scuro, quercia chiara) e l’essenzialità della forma cubica è riuscito a creare una struttura ricca di significato. La Casa del Silenzio è come una scultura le cui diverse facce si rivelano all’osservatore poco a poco. È un edificio che chiede ed emana pace, vive delle sue belle superfici di cemento e della maestria con cui è integrato sia nel tessuto del monastero preesistente, sia nel suggestivo paesaggio.

Per Kulka lavorare a Meschede è stato un po’ come tornare a casa. Negli anni Ottanta aveva costruito un ampliamento del monastero (fondato nel 1928), aggiungendo una cappella, un refettorio e una casa per i novizi: usò allora un linguaggio formale solenne e nobile, con più di un accenno al Postmoderno (vedi Domus, 703, 1989). Ora, con la Casa del Silenzio, ha aggiunto all’eterogeneo insieme dell’abbazia un elemento architettonico completamente diverso. Circondata da prati e da alberi da frutto, la costruzione è situata sul fianco di una collina che sovrasta la città; con la forma cubica e la facciata spoglia essa dialoga con la facciata, in mattoni rossi, dell’imponente chiesa abbaziale di Hans Schilling (1962-1964) e con il Centro per la Gioventù, che la fronteggia: costruito sul finire degli anni Settanta dallo stesso Kulka, allora socio giovane di Schilling.

Kulka ha strutturato la Casa del Silenzio in due corpi di dimensioni diverse: uno stretto, che contiene la scala, e uno più largo, dove si trovano le stanze riservate agli ospiti. Fra i due corpi si apre uno stretto spazio, una specie di ‘canyon’ rivestito di ghiaia e attraversato in alcuni punti da passerelle di collegamento. I muri di cemento chiaro del corpo della scala, completamente ciechi, sono percorsi orizzontalmente e verticalmente da un semplice motivo di tre sottili scanalature. L’aspetto massiccio di questo corpo è controbilanciato dalla trasparenza del corpo delle stanze, dove le vetrate a tutta altezza offrono una bellissima vista sui prati e sugli alberi da frutto. Poiché queste vetrate non si possono aprire, a lato di ognuna ci sono finestre, senza vetri ma con pannelli mobili di metallo, per la ventilazione della stanza. Le intelaiature di alluminio scuro, un po’ in rilievo, creano un elegante contrasto con la superficie chiara della costruzione.

I visitatori accedono attraverso un ingresso poco vistoso, oltre il quale una specie di scala a pioli li conduce ai piani delle stanze, o meglio delle ‘celle’, che hanno anch’esse pareti e soffitto di cemento a vista. Ogni elemento è così bene integrato nell’insieme da dare l’impressione che non si potessero fare scelte diverse: un letto, uno scrittoio, una sedia, un armadio a muro, un ripiano alla parete, tutto in un morbido color guscio d’uovo, più un piccolo bagno. Pur nella loro semplicità, che comunque non cade mai in un purismo ostentato, le celle sono molto accoglienti, e tutta la Casa del Silenzio, nella sua ‘povertà’, non è priva di garbo e di piacevolezza.

Gli spazi comuni ai piani inferiori – il grande refettorio e la sala quadrata a doppia altezza, destinata alle riunioni o alla meditazione collettiva – si aprono sul giardino e godono della bellezza della posizione sul fianco della collina. In corrispondenza del refettorio Kulka ha creato un’interpretazione moderna del tema del chiostro. Con le sue due passerelle, il chiostro offre un collegamento supplementare fra i due corpi dell’edificio, oltre che una serie di belle prospettive. Dal chiostro inoltre si dipartono un piccolo ufficio e due salette di consultazione situate nel corpo delle celle: sono locali appartati le cui finestre guardano sul buio canyon che divide la costruzione in due parti.

Il luogo di maggiore intensità della Casa del Silenzio è la piccola cappella situata all’estremità del corpo della scala: è il cuore dell’edificio, uno spazio poco più grande di una cella, in cui la luce del giorno penetra solo attraverso un piccolo lucernario. Per l’assenza di finestre e di arredi, per le pareti di nudo cemento e il semplice pavimento di terracotta, questa cappella risulta ancora più austera del resto dell’edificio.

Anche la croce sulla parete di fondo, in acciaio inossidabile, è ridotta alla pura essenzialità. L’austerità estetica e formale della cappella è una prova severa per chi vuol venire a pregare qui, ma è proprio la drastica rinuncia a tutto il superfluo che tocca e commuove. Non si tratta soltanto di uno spazio architettonico, è soprattutto un luogo di concentrazione, di meditazione e di preghiera, che non consente distrazioni: un luogo che va oltre la quotidianità.

Con questa essenzialità, che va di pari passo con l’elevazione dello spirito, la Casa del Silenzio di Kulka porta avanti le idee di povertà e di nudità di cui già Romano Guardini e Rudolf Schwarz, il grande costruttore di chiese del Movimento Moderno, informarono le loro opere. Kulka ridà così all’architettura religiosa la dimensione formale e sostanziale, e la posizione di centralità di cui essa ha goduto nell’immaginario collettivo almeno fino all’inizio del Ventesimo secolo.
Appoggiata sul pendio di una collina la Casa del Silenzio completa il complesso benedettino che si è sviluppato con progressive aggiunte negli ultimi settant’anni
Appoggiata sul pendio di una collina la Casa del Silenzio completa il complesso benedettino che si è sviluppato con progressive aggiunte negli ultimi settant’anni
Il monastero è collegato al centro di Meschede grazie a una scalinata
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La Casa si presenta come un blocco di roccia spaccato in due sezioni, unite da passerelle che aprono intensi scorci sul paesaggio circostante
La Casa si presenta come un blocco di roccia spaccato in due sezioni, unite da passerelle che aprono intensi scorci sul paesaggio circostante
L’edificio accoglie in un’ala attrezzata ospiti che vogliono ritirarsi dalle attività quotidiane per trascorrere un periodo di riflessione spirituale
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Gli spazi comuni si trovano ai piani inferiori e si aprono con grandi vetrate verso l’esterno, mentre i muri restanti sono rigorosamente mantenuti ciechi
Gli spazi comuni si trovano ai piani inferiori e si aprono con grandi vetrate verso l’esterno, mentre i muri restanti sono rigorosamente mantenuti ciechi

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