L’arte non è moda

Deyan Sudjic sul rapporto arte-moda e il nuovo teatro di Tadao Ando per Giorgio Armani

Come è pronto a dire qualsiasi stilista che abbia una minima dose di istinto di conservazione, la moda non è arte. Però mai come oggi la moda si è data da fare per suggerire l’idea che arte invece potrebbe essere. In fondo questo è l’anno in cui Giorgio Armani ha avuto il privilegio di occupare con una sua retrospettiva tutta la grande spirale wrightiana del Guggenheim di New York, uno spazio noto finora per la sua collezione di arte del Ventesimo secolo e non come sede di mostre di abiti, anche se elegantissimi.

La scorsa estate Gucci ha tirato fuori i soldi necessari a portare alla Biennale di Venezia le gigantesche spirali di rugginoso metallo di Richard Serra, probabilmente nella speranza che un po’ della solida credibilità di Serra si rifletta sulle collezioni di Tom Ford. Questo è anche l’anno in cui Prada ha cercato di trasformare i suoi negozi in oggetto di indagine intellettuale, rendendo noti i progetti di Rem Koolhaas e Jacques Herzog per i nuovi punti di vendita in Giappone e in America. Si tratta di due architetti che in un’altra epoca si sarebbero limitati a progettare musei e gallerie d’arte. Herzog è l’autore della Tate Modern. Koolhaas ha appena terminato la sezione di Las Vegas del Guggenheim.

Prada ha chiesto loro consiglio sull’impegnativa questione di come sistemare gli specchi nei camerini di prova e come appendere gli abiti da esporre in un ambiente di estrema ricercatezza culturale. Il negozio newyorkese di Koolhaas, la cui realizzazione si è fatta attendere, ha alla fine trovato posto all’interno del Guggenheim Downtown. Il messaggio suggerito dalla scelta degli architetti e dall’ubicazione dei negozi ha un significato ben maggiore del progetto in sé: in modo subliminale viene fatto passare il concetto che i vestiti vanno presi sul serio, soprattutto i vestiti firmati Prada.

Ancor più da quando Andreas Gursky è andato ad accrescere il numero degli artisti fotografi chiamati a prestare il loro talento per promuovere la moda. Gursky ha fotografato la collezione di biancheria intima di Prada, dai vistosi colori primari, con lo stesso occhio che sa cogliere la dimensione monumentale in posti improbabili, come ha fatto nelle sue immagini della Borsa di Shanghai. D’altra parte, questi progettisti sfondano una porta aperta.
La moda è la forma culturale perfetta per la limitata potenzialità di attenzione del nostro tempo, si diffonde riempiendo il vuoto lasciato dal diminuito interesse per le forme d’arte più vecchie, si adatta ai nostri gusti ristretti. E poi far entrare la moda nell’ambito della cultura aiuta le strategie dei gruppi e delle aziende che continuamente operano per rafforzare la loro presa sull’industria della moda: fa apparire i vestiti come cose che contano, fa sì che se ne parli. Il sapere tradizionale confinava la moda fra le arti minori, come cesellare tabacchiere o soffiare il vetro.

La distinzione fra arti maggiori e arti minori appare oggi sempre più assurda. Non c’è niente di ‘minore’ nella moda che, a differenza delle migliori tabacchiere, è fatta per sottolineare e mettere in evidenza il sesso, la posizione sociale e la celebrità: una combinazione che l’ha trasformata da attività artigianale a industria miliardaria, conferendo grande potere culturale e finanziario a coloro che la controllano. La moda, insomma, è diventata troppo grande e troppo potente per poterne parlare come di uno show secondario e frivolo. Essa ha la capacità di toccare tutti i punti sensibili della vita contemporanea. Ed è questa convergenza fra cultura alta e arte popolare che le dà tanto potere: può trattare magari problematiche serie, ma tenendo sempre d’occhio il gusto corrente. Che cosa, se non una sfilata di moda, può mettere insieme in prima fila una celebrità del calcio e un rapper, un artista e un regista cinematografico?

Cos’altro può catturare l’attenzione totale di banchieri, industriali e artisti? Nel bene e nel male la moda è diventata l’industria dominante e la forza culturale dominante. Può darsi che arte non sia, ma dell’arte sta prendendo il posto. Come il teatro dell’opera ottocentesco, la sfilata di moda dei nostri giorni è diventata il luogo degli incontri alla moda: ma una sfilata dura ventun minuti, invece delle tre ore di un’opera lirica: un tempo perfetto per la generazione dei videoclip, che non ha voglia di tirare le cose per le lunghe. A Milano, in una vecchia fabbrica di cioccolato, Giorgio Armani ha inaugurato quello che egli definisce un teatro. In realtà il suo architetto, Tadao Ando, non ha fatto che ricreare l’equivalente, per il mondo della moda, dei grandiosi e sontuosi teatri d’opera vittoriani: un luogo progettato per consentire alle celebrità di scendere dalle grandi auto di rappresentanza e sfilare lungo la “via trionfale” fino ai posti loro riservati.

Il passaggio dallo scombinato quartiere industriale milanese, in cui si trova il teatro, al mondo di Armani, che sta all’interno, è segnato da una parata di solenni e austere colonne di cemento, come il chiostro di un convento. Questa strada interna sfocia in un grande spazio di ricevimento, con cui Ando sembra alludere a uno dei monumentali archi inclinati di Richard Serra, ma in cemento. Anche i banchi della reception potrebbero passare per opere d’arte, con il loro aspetto di immacolati box di vetro illuminati dall’interno alla Dan Flavin. Grandi porte immettono nel teatro: accanto, un sobrio e immenso ‘soggiorno’ dalle stupende proporzioni, con basse finestre attentamente tagliate per inquadrare lo specchio d’acqua che orna la corte esterna, mentre si beve un bicchiere di champagne dopo una sfilata. Quali che siano gli abiti presentati, si esce di qui convinti di aver preso parte a un evento.

L’architettura di Ando si è trasformata nella raffinatissima cornice di un quadro. I fini pratici della sfilata sono lasciati da parte. Essa è diventata fine a se stessa, poco ha a che fare con la prosaica operazione di mostrare una collezione di abiti ai compratori che li ordineranno per poi venderli nelle loro boutique. La sfilata è un evento, gli affari si fanno altrove.