New York: abitare la città nei giorni della variante Delta

Spostarsi, mangiare e fare festa, nonostante la pandemia. All’aperto, soprattutto. Continua l’esplorazione della più grande città degli Stati Uniti. Il secondo episodio. 

Ho trovato un cartello fuori dalla caffetteria dove prendo la mia dose mattutina di caffè freddo e scrivo un po’.
Dice “Il governo della città richiede una prova di vaccinazione per tutti i clienti seduti all'interno, per favore presentatecela se volete sedere dentro”. Il nuovo mandato si applica anche a negozi, palestre e cinema. I vaccini sono obbligatori per gli operatori sanitari. Molti college richiederanno le vaccinazioni per frequentare di persona il semestre autunnale, con maschere obbligatorie per le attività al chiuso. Secondo il canale di news NY1, il 56% dei newyorkesi è completamente vaccinato.

Vaccinarsi per strada

Tutto quello che si fa in un negozio, o quasi, lo si può fare su un furgone lato strada, a New York.
Ho visto furgoni veterinari. Stazioni mobili con dentro saloni di parrucchieri. E molti food truck, ovviamente.
Qui a New York ci si vaccina contro il Covid anche per strada. Lo stesso per i tamponi. E non c'è bisogno di essere un immigrato regolare, per farlo.

Ristoranti all’aperto

“New York è quel posto che accoglie tutti coloro che vogliono inventare e scoprire, che si impegnano: qui molte persone vivono sole, in abitazioni molto piccole, che sono diventate ancora più piccole durante la pandemia”, dicono Marion Weiss e Michael Manfredi, fondatori dello studio di architettura WEISS/MANFREDI. “Così, per sentire che la città è più grande di così, ed è tua, i parchi pubblici sono diventati essenziali, come nel nostro pensiero lo è l’utilizzo dello spazio delle strade per i ristoranti. Speriamo che resti. È come dire che il nostro bisogno di essere è più grande del nostro bisogno di parcheggiare un'auto”.

Il celebre ristorante Balthazar di Tribeca

La possibilità di mangiare all’aperto è stata approvata per aiutare i ristoranti, ma il risultato è che ha aiutato la città. “Quindi speriamo che da questa tragedia nascano nuovi e durevoli paradigmi urbani”. E la risposta è positiva quando chiedo se pensano che i tavoli all'aperto rimarranno in futuro. “Sì, perché è economicamente molto popolare”, risponde sorridendo Michael Manfredi.

Il ritorno alla strada

Union Square Park

Non si tratta solo dei ristoranti. Se fai un giro all’Union Square Park, che ora si chiama “Reunion”, in sintonia con i tempi che corrono, troverai tavoli e sedie da giardino e ombrelloni, dove la gente fa uno spuntino o legge o si incontra con gli amici. Non è un bar, è il modo newyorkese di arredare l'aria aperta, ed è frequente vederlo nelle piazze e nei parchi. I newyorkesi stanno riconquistando le strade: nessuna novità, qui. Ma in tempi di pandemia è qualcosa che è diventato davvero importante.

Un block party greco-ebraico nel Lower East Side

Questa è la città dove la gente si raduna in estate intorno a un idrante aperto, è la città dei block party, una tradizione che risale addirittura alla seconda metà del diciannovesimo secolo, e come ha scritto Sandra E. Garcia sul New York Times ben prima che iniziasse la pandemia, “Newyorkesi, viviamo uno sopra l'altro, quindi è naturale che a volte ci riversiamo sul cemento”. 

Un idrante aperto

Nella primavera del 2020, il sindaco de Blasio ha firmato per rendere permanente il programma Open Street, nato perché le comunità possano “abbracciare nuovi spazi pubblici e sostenere le piccole imprese”, dando la priorità a pedoni e ciclisti, “trasformando le strade in spazi pubblici”.

Il block party della società del Giglio, ad Harlem

Due giganteschi murales sono stati creati in Union Square dagli artisti di strada di Brooklyn Geraluz e Werc per celebrare la ripresa post- Covid, lungo due nuovi passaggi pedonali ritagliati sulla strada e sottratti al traffico automobilistico.

Il nuovo murale di Union Square

La sostenibilità riporterà le persone in città

Il fondatore di ODA Eran Chen è sicuro che tra 10 anni vedremo una grande rinascita delle città, in opposizione all'attuale tendenza. “La gente tonerà perché ci sarà un grande cambiamento”. Per far sì che ciò accada, spiega, le città devono diventare più sostenibili, ma non solo dal punto di vista ambientale. “La sostenibilità sociale è la capacità delle persone e delle comunità di vivere e prosperare in un certo quartiere. E la sostenibilità economica è la capacità delle persone di avere le proprie imprese”, un concetto che non riguarda la ricchezza, ma la possibilità “di creare crescita economica all’interno delle loro comunità".  “Se creiamo cose buone in città”, conclude, “vedremo un enorme flusso di persone tornare”.  

L’automobile è morta, lunga vita all’automobile!

“Le automobili hanno reimmaginato la mobilità, ci hanno collegato a distanza con velocità sempre maggiori, ma questa libertà e il potere economico che ci hanno dato hanno causato enormi sofferenze umane e danni ambientali”, dice Juliet Kinchin, ex curatrice del MoMa, a proposito di Automania, la mostra “che esplora la cultura automobilistica del XX secolo”. È l'occasione mettere in vetrina nove auto della collezione del museo, tra cui due recenti acquisizioni, una Citroen DS 23 berlina e una Porsche 911 coupé del 1965.

Automania al MoMa

Un sabato pomeriggio, i ragazzini si entusiasmano per le auto in mostra, avvicinandosi come faresti con una qualche preziosa e rara reliquia del passato. Ma il vero valore della mostra sono i quadri, le fotografie di Robert Frank e Margarite Bourke-White, i lavori di Andy Warhol e Frank Lloyd Wright, e il plastico che mostra il Ghost Parking Lot di James Wines a Hamden. Immagini potenti di un mondo in cui le automobili erano essenziali, mentre oggi sembrano un po’ goffe e fuori moda, dato che la presenza delle automobili, e la poesia che le celebrava, sono diventate rare anche nella stessa pubblicità delle auto.

A detail of Ghost Parking Lot in Hamden
Due sono le cose interessanti che hanno guidato i musei durante la pandemia (Karen Wong)

Sunday always comes too late/la domenica è sempre troppo tardi

Domenica mattina, ore 8.
Sono fuori da Nowadays, un posto che l'amica e collaboratrice di Domus Virginia Ricci mi ha suggerito di visitare. “Ho seguito il loro account Patreon per tutta la pandemia, stanno facendo un ottimo lavoro”, mi ha spiegato. 
Sono in fila. Tra poco, il musicista britannico Four Tet suonerà all'interno.
In una grande sala poco illuminata, piena di piante.
E affollata di gente che balla. 
Ballare al chiuso è qualcosa che si può fare, a New York. E ottimisticamente nessuno ti salterà addosso, o ti verserà un drink, o ti spingerà, come accadrebbe a Milano. Una distanza che c’è sempre stata mentre si assiste alla musica dal vivo, qui in America. Ma per ora sono in fila. Non è una fila lunga. È mattina.
Ci sono tre persone in cima alla fila. Una per una controllano i biglietti e i nostri certificati di vaccinazione. 
“Ho un Green Pass europeo”, dico. “Va bene, vai, entra”, risponde con un sorriso un ragazzo magro e biondo, che indossa una canottiera rosa. Poi siamo cinque o sei persone, riunite in una stanza buia, e c'è un uomo che spiega le regole del club. Non si fissano le persone, non si tocca, non si molesta. Rispettare tutti. Altrimenti sei fuori.
Mi rendo conto di quanto sia opportuno avere qualcuno che ti dice le regole di un posto, prima di entrare. Alla fine sono dentro. C’è un grande bar, e un enorme giardino all'aperto.
È pieno di gente. 
Le vibrazioni dei bassi sono come il canto di  una sirena.
È vietato usare il telefono nella sala dove Four Tet suona.
È una buona idea, e così spengo il mio.

Un consiglio del professor Reinhold Martin

“Se vuoi raccontare ai lettori cosa sta succedendo a New York, una buona idea sarebbe quella di togliere il discorso sui vari architetti e i loro stili e le loro personalità. E rendersi conto che quello che stiamo guardando è uno spot televisivo. È architettura commerciale. E parte di questa architettura è disegnata da progettisti molto bravi e alcuni degli edifici sono piuttosto belli. E sono brave persone che progettano quegli edifici, ma non importa se sono brave persone. Stanno pur sempre progettando per il profitto”.

Un traghetto di NYC

I vaporetti di New York

"Conosci i traghetti di New York?", mi chiede Chris Singleton, assistente vicepresidente agli affari pubblici della Economic Development Corporation, la corporazione per lo sviluppo economico. Questa agenzia newyorkese ha molti progetti in corso in città, per lo più riguardanti parchi e aree verdi, e i traghetti sono, spiega Singleton, il progetto di trasporto più importante che EDC supervisioni. “Il sistema di traghetti di New York in questo momento viaggia sull’East River, quindi sul lato orientale di Manhattan, e abbiamo circa sei rotte. Costa 2,75 dollari per corsa, quindi è lo stesso costo di una strisciata della MetroCard (ovvero un viaggio singolo in metropolitana, ndr)”. Singleton spiega come le persone possano viaggiare sull’acqua in modo molto, molto veloce ed efficiente, attraversando molti quartieri diversi sul lungomare di Brooklyn e Manhattan, da Governors Island al Queens al Bronx. Lanciato nel 2017, il progetto traghetti è in crescita. “Lo espanderemo da Staten Island a Battery Park, estendendolo a nord nel versante occidentale di Manhattan, e questa è la prima rotta che risale l’Hudson”.

I traghetti offrono una splendida vista sulla città, ma possono servire anche ai bisogni più strettamente pratici dei newyorkesi. “Spesso la gente deve camminare dai 15 ai 25 minuti solo per raggiungere la stazione della metropolitana più vicina”, dice Singleton, “ma abitano vicino all’acqua”. Considerando che a New York creare nuove linee di metropolitana è estremamente costoso, come mi ha spiegato il professor Rit Aggarwala quando ci siamo incontrati al campus della Cornell Tech, e che tutte le linee di metropolitana esistenti tranne una passano per Manhattan, sviluppare più linee di traghetti sembra uno scenario futuro promettente.

L’idea dell’acqua come spazio pubblico qui è ancora piuttosto nuova (Dong-Ping Wong, parlando della + POOL)

Tutte le foto sono state scattate con una Fujifilm X-Pro3, gentilmente fornita da Fujifilm Italia, salvo dove diversamente indicato.