Immergerci dentro Van Gogh è il modo migliore per sbarazzarci di lui

Colossale, psichedelica, superpop. Una esposizione immersiva dedicata al pittore olandese è stata la hit dell’estate a New York. Abbiamo cercato di capire perché.

Metti una gita al parco, ma al posto di prati, alberi, e magari anatre di holdeniana memoria, sei dentro Van Gogh. Dove per “Van Gogh” si intende un greatest hits delle sue opere smontate, scontornate, animate, spente e riaccese, in continua transizione, il tutto potentemente sonorizzato con una successione di musiche che passano dalla malinconia gracchiante di Edith Piaf a quella di Thom Yorke, intervallati da una serie di brani che occorrerà shazamare.

Questa è molto in sintesi “Immersive Van Gogh Exhibit New York”, la mostra dell’estate in città. Un film presentato come proiezione immersiva in tre gigantesche sale sull’East River: il video è ovunque, sulle pareti, sul pavimento, sulle installazioni specchianti, sui visitatori che vanno dai 9 ai 99 anni come nei giochi Ravensburger, seduti a terra, accampati su seggiole pieghevoli, sul cuscino personalizzato Van Gogh, che sciallano appoggiati a una parete o si fotografano a vicenda tra girasoli e notti stellate.

Aste milionarie, Tim Roth e Willem Dafoe, drappelli di pensionati stipati come sardine nel pullman, il mito dell’artista maledetto che incontra quello della Costa Azzurra, trasmutandolo in maudit-chic. La storia dell’orecchio mozzato, roba da serie Netflix di Shonda Rhimes. E poi quei girasoli, che tra l’altro a New York non lo diresti mai, ma abbondano. Con un tale carico di stereotipi che lo anticipano, Van Gogh non era tra le mie priorità newyorkesi, finché Karen Wong non ha messo il trigger sul piatto del caffè di Soho dove l’ho intervista, raccontando che questa mostra – in cui non c’è un singolo dipinto originale in esposizione – è la hit assoluta tra gli eventi dell’estate della riapertura in città, per motivi che neanche lei riusciva a spiegarsi bene. E che valeva quindi la pena esplorare.

Raggiunto via mail, il creatore dell’esposizione, Massimiliano Siccardi, fa trapelare prima di tutto un sincerissimo amore per Van Gogh, che definisce come una persona (sic) con cui ha avuto una lunga frequentazione, un rapporto “iniziato tantissimo tempo fa“, quando era bambino, e sottolinea che questa gigantesca installazione sia la terza che realizza sul pittore. “Le suggestioni che ogni opera ha generato in me sono state sedimentate nella mia anima per lunghi anni”, scrive. A ruota, cita un libro dove si racconta il viaggio del nipote di Van Gogh, anche lui di nome Vincent, in cerca dello zio, che trasmette “la sua grande umanità (del Vincent più noto, NdR) scevra dallo stereotipo della follia”: da qui la scintilla creativa che ha ispirato “Immersive Van Gogh Exhibit”, dice. Siccardi, una lunga esperienza nel teatro, sottolinea il ruolo della musica, curata da Luca Longobardi, e il contributo “filmico” alla scrittura dato da Vittorio Guidetti. “Il lavoro è un concentrato di ricerca, visione accurata delle fonti iconografiche, ricerca musicale”. 

C’è un messaggio che vuole fare arrivare al pubblico, scrive Siccardi, ed è “è che la vita succede in questo momento”, (forse fa più John Lennon che Van Gogh, NdR), nella speranza, continua, “che le persone sopraffatte dalle emozioni possano vivere un poco della vita bellissima e potente vissuta da Vincent”.

Vincent Van Gogh dipinge La ronda dei carcerati nel manicomio di Saint Remy, ispirandosi a una incisione di Gustave Doré. Il quadro sarà ripreso a sua volta la scena del carcere di Arancia Meccanica. Non potendo più dipingere all’aperto, Vincent aveva iniziato a cercare soggetti nelle stampe. Difficile pensare a qualcosa di più claustrofobico e dark nella pittura dell’epoca, con una gramma cromatica freddissima spezzata da lampi di arancione, e una figura in primo piano che buca la quarta parete e nei cui tratti è difficile non riconoscere il pittore. Che si uccise con un colpo di revolver al petto qualche mese più tardi, morendo dopo una agonia durata due giorni. Sembra quasi paradossale lo scroscio di selfie che qui a “Immersive Van Gogh Exhibit” gli spettatori si sparano davanti all’opera, anzi standoci proprio in mezzo, non appena compare sulle pareti del Pier 36. Mi chiedo una persona sana di mente che voglia abbia di provare la follia. Ed è lì che sbaglio, probabilmente. Proprio perché la sua vita non sarà mai quella, qualsiasi normcore vorrebbe almeno per un istante vestire i panni di un artista dal talento infinito e mosso da un insaziabile spirito autodistruttivo.

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Più che uno spazio espositivo, quello di “Immersive Van Gogh” è una via di mezzo tra un parco giochi e un luogo da abitare temporaneamente. Un gigantesco picnic, non sull’erba, ma dentro Van Gogh. Con quella sensazione un po’ Tron di essere rimasti incapsulati dentro una serie di giganteschi screensaver, lungo le cui pareti colorate scorrono le silhouette dei visitatori che si radunano in gruppetti, fotografano tutto. Le opere del pittore fiammingo, private della loro consistenza materica e convertite in un flusso abbagliante di pixel, fluttuano, scorrono libere, si allargano oltre le cornici da cui sono state disgiogate, si accendono e si spengono, sono scontornate e animate, abbagliano creando spirali di luce, in un concerto psichedelico di suono e colore, un abbaglio, un Fantasia dove il posto di Topolino è stato preso da Van Gogh. A un tratto c’è il buio, poi sullo schermo si compone la sua firma, il volto autoritratto si moltiplica come un fantasma. “Immersive Van Gogh Exhibit” è un’esperienza psichedelica popolare, un Fantastic Fungi per le masse.

In questo tripudio pro-Van Gogh, tuttavia, quello che scompare alla fine potrebbe essere proprio lui, Vincent. Le opere, private della distanza dallo spettatore, che ci nuota dentro, ripetute a ciclo continuo, amplificate all’inverosimile, finiscono per svuotarsi di qualsiasi senso, decadono al ruolo di paesaggio estetico condiviso, al Van Gogh decorativo che trovi su ogni tazza o t-shirt o calzino o altro ammennicolo disponibile nel vastissimo – e molto affollato – negozio allestito all’uscita della mostra, con tanto di bar in cui puoi assaggiare i dolcetti Starry Night. Da pittore maledetto ad angelo delle magliette di Fiorucci la strada è più breve di quanto immagini. Le tote bag con lo Scheletro con sigaretta accesa vanno fortissime tra le signore. L’effetto è un po’ come quando vedi la foto di una supermodella con la maglietta dei Sepultura. Van Gogh è il nostro sfondo condiviso. Anzi, lo screensaver.

Al di là delle intenzioni degli ideatori, sicuramente onestissime, dell’interesse del pubblico, e di quanto questa mostra rappresenti la schietta cristallizzazione di una contemporaneità perennemente in bilico tra la Divina Commedia e Jersey Shore, io ce lo vedo il fantasma di Van Gogh, trafelato, affaticato, vagare per queste sale, sovrastato dalle sue stesse opere trasformate in un kolossal, e infine scappare via, infilandosi sotto una scritta rossa Exit: ed eccolo, nel tropico della Manhattan di agosto, che percorre contromano i controlli di stampo aeroportuale fuori dalla mostra, passa accanto ai cartelli con scritto Gogh this way, imboccando la direzione opposta alla freccia, e poi raggiunge un punto isolato, deserto, magari di fronte al fiume sotto al ponte di Manhattan, vicino a un playground deserto, all’ombra, con una sottile brezza che lo rinfresca ma solo per un istante, ma senza dargli sollievo, o forse in uno di quei cortili che tagliano i palazzoni dei project dirimpetto al Pier 36, l’eco dell’hip hop di tre ragazzini lontani, e a quel punto – bianchissimo e rosso, terrorizzato, attonito – cava qualcosa da sotto la giacca, Van Gogh, e se lo punta in faccia. A voi decidere se un revolver o uno smartphone.

Il segreto del successo di “Immersive Van Gogh Exhibit” va probabilmente ricercato nel fatto che questa mostra, in sostanza, non è una mostra. È invece un film, proiettato in loop nella maniera più spettacolare possibile, un cinema emozionale, travolgente, con tutta l’epica di un’opera wagneriana trasposta nel linguaggio mite e digitalizzato del presente, che scavalca ogni necessità di una trama lineare, e si accovaccia in una forma estremamente pop all’ombra di quella convergenza tra le arti che oggi sembra forse l’unico modo ragionevole per fare fiorire un progetto. È qualcosa da cui in molti avrebbero da imparare.

“Un percorso che porta l’arte immersiva su un piano emozionale, coinvolgendo la percezione profonda dell’essere umano spettatore-attore”, spiega ancora via mail Massimiliano Siccardi, sottolineando l’apporto decisivo di quello che lui definisce come “scambio quasi osmotico fra musica e immagini”. È una drammaturgia, quella di “Immersive Van Gogh” fatta di fragore e di silenzio, di luce e di buio, di pause e di sospensioni, che ti solleva al di là di tutto, delle seggiole pieghevoli, della coda all’ingresso, del caldo fuori e del freddo dell’aria condizionata dentro, dell’ansia della gente che passa il tempo a farsi selfie, dei bambini che piangono e i genitori chissene, di quella ragazza estasiata che è già la terza volta che guarda tutto e probabilmente resterà finché qualcuno del servizio di sicurezza le dirà che stanno chiudendo. Al di là anche di Vincent Van Gogh, di chi era, della sua opera: qui sei nel flusso, e quando sei nel flusso non c’è spazio per la riflessione, non c’è nessun romanzo dell’autocoscienza; sei dove sei, senza fare domande, e forse va benissimo così.

Nota. Occorre precisare che quella raccontata qui è solo una di svariate mostre immersive dedicate a Van Gogh che si possono vedere oggi negli Stati Uniti e in diverse città del mondo, e a giudicare dai titoli, è una guerra dei cloni: ci sono “Imagine Van Gogh: the Immersive Exhibition”, “Beyond Van Gogh: the Immersive Experience”, e poi, appunto “Immersive Van Gogh”, che al momento si può vedere anche a Chicago, San Francisco e Los Angeles. Nella sua installazione nei circa 22mila metri quadrati del Pier 36, sull’East River, porta il titolo completo di “Original Immersive Van Gogh Exhibit in New York”.

Tutte le immagini di questo articolo sono state scattate con una Fujifilm X-Pro3, gentilmente prestata dal marchio.

Titolo:
Immersive Van Gogh Exhibition New York
Creatore:
Massimiliano Siccardi
Compositore:
Luca Longobardi
Quando:
Fino al 29 agosto
Dove:
Pier 36, 299 South St, New York, NY
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