Jean Nouvel: “Fare architettura è dare carattere”

Nel suo primo editoriale il Guest Editor 2022 racconta il ruolo centrale del carattere nella sua Domus e prende come esempio il Labirinto di Mirò, a cui è dedicata una parte importante del numero in edicola.

Il filo conduttore della mia Domus 2022 è il carattere. Mi auguro quindi che Domus rafforzi il suo potere evocativo, dando espressione a sensazioni, sensibilità, anomalie ed eccezioni tanto nella scelta delle architetture e degli oggetti quanto nel modo di comunicarli, tentando di trasmettere le impressioni reali sperimentate di fronte ai soggetti scelti. Non siamo sceriffi con il ruolo di garanti dei codici classici, delle visioni ortodosse che hanno pretesa di oggettività. Accettare la soggettività è il primo passo verso il sensibile.

Fare architettura è dare carattere. Eppure, il tratto distintivo di buona parte delle architetture di questo inizio di secolo è non avere carattere, essere intercambiabili. Siamo entrati nell’èra dell’architettura automatica. I piani regolatori sono predisposti per avanzare il più rapidamente possibile, per far guadagnare tempo a progettisti che non creano più nulla, per compiacere imprenditori che vogliono fare sempre le stesse cose e mediatori che guadagnano senza rischiare. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il carattere, ma ha la benedizione dei politici del momento, la cui principale preoccupazione è farsi dimenticare. Perdonate l’eufemismo: come potete constatare voi stessi, tutto procede a gonfie vele!

Il ruolo sociale e legittimo dell’architettura, e quindi dell’architetto, sta nel dare carattere al luogo, nell’approfondirlo, nell’immaginarlo e inventare concretamente una vita che faccia emergere lo spirito del luogo.

Su una collina di Saint-Paul de Vence, coperta di pini marittimi, un raro evento ha stabilito per sempre, 60 anni fa, la permanenza inaspettata e imprevedibile di un’arte felice, di un’arte insolente, beffarda e giocosa. Questa rara opportunità l’ha fornita l’incontro di Aimé Maeght, appassionato d’arte, Josep Lluís Sert, architetto catalano e discepolo di Le Corbusier, e Joan Miró, artista catalano, eterno bambino gioioso che ha passato la vita ad amare la vita, a gustarla, a divertirsi e far divertire, facendoci commuovere: ebbene sì, il divertimento può essere contagioso! Aveva ragione Robert Filliou a proposito dell’arte: l’arte è l’unica cosa che possa rendere la vita più interessante dell’arte. L’architettura è un’arte, ha il dovere di fare da madre alle arti e accoglierle per rendere sempre più belle le nostre vite.

Il Labirinto di Miró è un’opera che va vissuta, un luogo profondamente ricco, in osmosi con gli alberi, gli orizzonti, il mare, i cieli. Crea delle interferenze con spontaneità, con delle spontaneità che rendono eterno lo spirito del momento… lo spirito dell’artista, quello che dà forma ai caratteri. In seguito, abbiamo scoperto che l’urbanistica globalizzata si è rivelata più che mai mortale per la dimensione umana: il carattere è legato a una situazione, ha il dovere di essere espressione della geografia e della storia di un luogo. È legato alla memoria e, soprattutto, allo schietto desiderio di esprimere il piacere di essere lì e non altrove.

Sì, l’architettura inizia da qui! All’architetto non si deve impedire di fare il proprio mestiere attraverso vincoli e norme. Il ruolo sociale e legittimo dell’architettura, e quindi dell’architetto, sta nel dare carattere al luogo, nell’approfondirlo, nell’immaginarlo e inventare concretamente una vita che faccia emergere lo spirito del luogo.

Il Labirinto di Miró è un’opera che va vissuta, un luogo profondamente ricco, in osmosi con gli alberi, gli orizzonti, il mare, i cieli.

Per riuscirci, abbiamo bisogno di architetti dotati di un grande carattere e di una volontà di ferro. L’architettura non è una cosa che si può fare da soli. L’architetto è un artista che deve lavorare insieme ad altri artisti, a ogni scala del progetto: dalla casa alla strada fino alla piazza, dal giardino privato al parco. Purtroppo, oggi questa collaborazione non viene per nulla incoraggiata.

Domus è una rivista che parla dell’attualità delle opere architettoniche. Come si giustifica, quindi, questo ritorno al passato? Perdonatemi, non è colpa mia se l’attualità della pertinenza delle differenti consapevolezze, della conoscenza profonda tra un committente, un architetto e un artista, mi balza agli occhi e allo spirito. Sono fermamente convinto che oggi non ci sia niente di più attuale nel panorama architettonico di questo esempio che mostra e dimostra come l’arte atomizzata, negli spazi pubblici come negli appartamenti, non abbia la forza dell’indissociabilità e della concettualizzazione premeditata capace di stanare il genius loci.

È per questo che André Malraux, lasciando il Labirinto di Miró nel 1964, ha precisato: “In questo luogo potrebbe essere successo qualcosa per la storia dello spirito”.

Immagine in apertura: Jean Nouvel. Foto Giovanni Del Brenna

Speciale Guest Editor

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