Riccardo Paradisi

Mario Perniola, il silenzio della bellezza

“Sarebbe il caso di cominciare a vivere in uno stato di sospensione nei confronti del mondo utilitario”. Un omaggio al filosofo italiano, scomparso di recente.

Dal rumore del mondo Mario Perniola, filosofo, docente di estetica all’università Tor Vergata, s’è sfilato a 75 anno lo scorso 9 gennaio a Roma. Allievo di Luigi Pareyson, amico di Guy Debord è stato tra i pochi capaci d’una visione globale del reale che gli ha consentito di portare uno sguardo originalissimo su aree e discipline non contigue: dalla sociologia all’arte, dalla letteratura alla comunicazione passando per la qualità degli spazi. È stato tra i primi a mettere a tema l'espansione dei confini dell'arte da parte dell'estetizzazione di massa indotta dalla pervasività sempre più avvolgente nell'immaginario di grafica, design e comunicazione.

Perniola aveva intuito già negli anni Settanta – mentre l’intellighentia s’attardava su ideologie ormai defunte – che il movimento del mondo procedeva verso il grande interregno presente affacciato sull’orlo della storia e la sua più decisiva divaricazione. Lo spegnersi dell’umano nell’immaginario della tecnica, (“il sex appeal dell’inorganico” lo chiamerà in uno dei suoi saggi più intriganti), o il suo accendersi nella percezione del vivente più originario celato dietro il rumore del mondo. Realtà quest’ultima inafferrabile al comunicare coatto e allo sguardo pornografico che si posa con identica rapace opacità su merci e corpi, in spazi saturi di roba e ingranaggi.

S’era volto al Giappone dell’Hejo e dell’Hagakure: l’arte samurai che rende leggeri come la brina e taglienti come acciaio

Realtà a cui Perniola indicava la via d’accesso in quel silenzio contemplativo da cui era nata l’estetica. Edle Einfalt und stille Größe: la bellezza è una nobile semplicità e una tranquilla silenziosa grandezza, diceva Perniola ricordando la lezione di Winckelmann. Nemico del piccolo io occidentale calcolante e predatorio, s’era volto al Giappone dell’Hejo e dell’Hagakure: l’arte samurai che rende leggeri come la brina e taglienti come acciaio. La critica ai totem del presente è così divenuta affilata come un rasoio, micidiale. Perniola non era divenuto un conservatore reazionario: avendo attraversato le avanguardie e i movimenti di contestazione del tardo secolo scorso ne conosceva genesi e struttura, soprattutto codici e cifra. Ne concludeva alla luce del loro esito che “l’immaginazione al potere” di cui vagheggiavano i baby boomer della contestazione s’era avverato nel “potere dell’intrattenimento”.  

Lo stile propugnato nella lotta politica dalla generazione impegnata nella contestazione, l’esaltazione della flessibilità comunicativa, il situazionismo manierato e coatto delle avanguardie artistiche, la disintegrazione di ogni gerarchia di valori e generi è stato il fermento che ha distillato il terzo “spirito” del capitalismo, dopo quello ascetico e quello organizzativo: “Il capitalismo – dice Perniola in Miracoli e traumi della comunicazione – da un lato accoglie le istanze estetiche e cerca di dar loro soddisfazione, dall’altro decostruisce il mondo del lavoro e delle categorie socioprofessionali come si era costituito a partire dall’Ottocento”. Infatti “il manager creativo si pone come l’erede dell’artista bohemien: esperienze maturate in ambienti marginali, trasgressivi o rivoluzionari sono ritenute molto utili ai fini dello sfruttamento capitalistico di settori non ancora o debolmente mercificati”. Si pensi agli eco-prodotti, al turismo d’avventura o al turismo spirituale della New Age, ma soprattutto al pret à porter della seduzione, della cosmesi, della chirurgia estetica e della pornografia direttamente collegati all’ideologia della liberazione sessuale.

Tra il ‘68 e Berlusconi o Renzi o Trump o il resto degli scritturati che calcano ormai il palcoscenico mediatico-politico occidentale, non c’è soluzione di continuità. Nello spettacolo da loro animato trovano il loro inveramento i “vietato vietare” e “il tutto e subito” e il più imbecille di tutti generatore del giovanilismo alla Holden: “Non fidarti di nessuno sopra i trent’anni”: sono gli slogan della contestazione. Frasi dove “le basi logiche del pensare e dell’agire sono state sostituite da un sentire collettivo manipolato e delirante, lunatico e stravagante”. L’immaginario del godimento illimitato si sbarazza d’ogni passato, liquida la tradizione, nega ogni autorità culturale. A plasmare menti e coscienze resta l’industria dell’intrattenimento, l’arena sportiva, la cultura del lotto.

Sarebbe il caso di cominciare a vivere in uno stato di sospensione nei confronti del mondo utilitario

E tuttavia questa ripulsa per la decadence ha spinto Perniola, come s’accennava, a esplorare modernità parallele a quella euro-occidentale. “La modernità del Giappone, a differenza della nostra – ricordava – non ha tagliato il suo legame con la tradizione, pur trasformandola profondamente. Il nostro errore è dare per scontato che il nuovo sia per definizione meglio dell’antico”. Del resto l’intento della società della comunicazione è la dittatura del presentismo, la rimozione della stessa realtà a favore dell’allucinazione, lo stato alterato di massa: un’uscita dal tempo cronologico verso l’informe indifferenziato dello stordimento e della rimozione. Contro la comunicazione è il saggio di Perniola più apocalittico, senza perciò essere disperato. La via d’accesso al tempo immobile della tradizione, oltre l’orrore e il rumore, è ancora e sempre aperta: è la via del silenzio di romiti e samurai, degli stoici e dei neoplatonici, dei mistici e dei contemplatori d’ogni tempo e latitudine. Silenzio agente il cui scopo non è la diserzione dalla storia ma l’azione nel tempo attraverso la separazione della coscienza e del pensiero.

“Sarebbe il caso di cominciare a vivere in uno stato di sospensione nei confronti del mondo utilitario”, buttava là Perniola, con sprezzatura. Mai prescrittivo, sempre vigile: un pensiero tagliente come il sibilo della lucente katana. “Non ho castelli, lo spirito contemplativo è il mio castello. Non ho spada, il sonno della mente è la mia spada” (Bushido).

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