Il dna urbano di Londra

Nonostante l'apparente riluttanza a produrre piani grandiosi e gesti appariscenti, nel complesso, Londra esce rafforzata anche nella sua pretesa di essere l'unica vera città a respiro planetario in Europa. E questo non si deve solo alle Olimpiadi, ma è frutto dei duemila anni di dna urbano della capitale britannica.

C'è chi sostiene che solo le città dominate dall'insicurezza sentano il bisogno di indebitarsi fino al collo per aggiudicarsi il privilegio di mettere insieme una flotta di almeno cinquecento limousine con aria condizionata: tutto ciò per permettere ai membri esentasse di quella che è definita, senza alcuna ironia, "la famiglia olimpica" di godersi le corsie "riservate ai Giochi olimpici", dalle quali persino le ambulanze sono escluse. Ma Londra, anche dopo lo scomodo faccia a faccia dell'anno scorso con violenza e devastazioni, non si sente affatto insicura.

A maggio, i prezzi delle case oltre i cinque milioni di sterline sono cresciuti di un ulteriore 0,7 per cento. Tutti i greci che se lo possono permettere probabilmente vi hanno già investito, mentre si gonfia la fila di italiani, spagnoli e francesi che vedono nel mercato immobiliare londinese un porto sicuro per il loro denaro. Quanto più superficiale e artificioso il mondo sembra essere diventato, tanto più i suoi rituali pubblici paiono invece segnalare che le sue preoccupazioni di fondo rimangono ancestrali, come lo sono sempre state.

I Giochi olimpici, il circuito dei Gran premi e il movimento delle Esposizioni internazionali rappresentano manifestazioni confezionate con un vistoso, patinato senso di modernità. A prima vista, questi eventi risultano diversi uno dall'altro, ma in realtà convergono in un unico fenomeno. E pur con tutti gli alibi di rinnovo urbano, il loro vero significato è più vicino ai sentimenti che hanno motivato gli scultori delle teste dell'Isola di Pasqua o le feste rituali dei Maya. La matematica della realtà quotidiana vi è del tutto estranea: questi eventi vanno visti come una dimostrazione di prestigio e coesione nazionale, oppure come una corsa incontrollata al risultato spettacolare fine a se stesso. Si tratta di celebrazioni del potere e del denaro, distrazioni dal grigiore della vita di tutti i giorni.

Quando i londinesi hanno saputo che la loro città era stata selezionata per i Giochi del 2012, la reazione più diffusa è stata la delusione: era meglio se avesse vinto Parigi. Altri hanno pensato che, dovendo proprio organizzare i Giochi, si sarebbe potuto far ritorno alle austere virtù del 1948, l'ultima volta che Londra aveva ospitato le Olimpiadi. In quei giorni non si parlava di villaggio olimpico, e gli atleti erano sistemati in tenda, in ostelli della gioventù e b&b. Non esistevano gli sponsor, né stadi costruiti per l'occasione: il vecchio campo di calcio di Wembley era più che sufficiente.

Sono passati sette anni dalla decisione del Comitato Olimpico Internazionale e, mentre i londinesi si stanno preparando a sei settimane di caos che promettono di portare il traffico cittadino alla paralisi e a tempi biblici solo per avvicinarsi a una stazione della metropolitana, in generale la città si è riconciliata con l'idea delle Olimpiadi. Finora, anche se Londra non si è trasformata in Barcellona, città in cui si è assistito alla più convincente dimostrazione che l'idea di ospitare i Giochi poteva servire da catalizzatore per un permanente rinnovamento urbanistico, non è diventata nemmeno l'Atene del nord. Lo spettacolo dell'intera nazione greca col fiato sospeso mentre assisteva alla posa dello stravagante e costosissimo tetto di Calatrava a pochi giorni dall'inizio dei Giochi, in Inghilterra non si è ripetuto.

Londra ha uno stadio non certo sensazionale. Ma, pur mancando della presenza di quello di Pechino, con ogni probabilità avrà almeno un utilizzo a lungo termine dopo la fine dei Giochi. Il Velodromo disegnato da Hopkins è un bell'esemplare architettonico. Zaha Hadid, che abbiamo contribuito a selezionare per il progetto dell'Olympic Aquatic Centre , ha sfruttato l'opportunità per costruire il suo primo progetto su ampia scala nella sua patria adottiva. E, una volta rimosse le tribune temporanee— generalmente definite "water wings"—, il complesso si mostrerà tanto fluido e convincente all'interno quanto lo è all'esterno. C'è un villaggio olimpico, che alla conclusione della manifestazione diventerà il nucleo di una massiccia espansione di alloggi in affitto per la media borghesia nell'est londinese.

E poi c'è la torre ArcelorMittal Orbit tower —per la quale non pare facile entusiasmarsi—, frutto della collaborazione tra l'artista Anish Kapoor e l'ingegnere strutturale Cecil Balmond. Per dimensioni e ambizioni è senz'altro notevole, ma si percepisce a chilometri l'intenzione di stupire. C'è chi l'ha descritta come una torre Eiffel disciolta, tuttavia potremmo paragonarla anche agli agitati tentacoli di un gigantesco mostro marino in punto di morte. Parlando di design, London Olympics ha scelto un logo discutibile—firmato Wolff Olins—, deliberatamente simile a dei graffiti, in quanto lo sponsor principale dell'evento pare convinto che la cultura giovanile londinese eserciti sui suoi clienti più fascino di quanto non faccia lo sport. C'è poi la torcia olimpica , disegnata da Barber & Osgerby. Nello stadio la fiamma arderà in un braciere disegnato da Thomas Heatherwick .

I Giochi perciò non costituiranno fonte di imbarazzo alcuno: si è fatto quanto basta per utilizzare i talenti inglesi in design e architettura. Ma ne sarà valsa la pena? C'è ora un nuovo treno ad alta velocità che in meno di dieci minuti collega il sito olimpico di Stratford e la stazione di St Pancras. A Stratford, sopra la stazione è sorto l'enorme Westfield Shopping Centre: con il suo casinò, champagne bar e outlet Calvin Klein, è già uno dei centri commerciali più frequentati della capitale. Proprio accanto sorgerà una torre residenziale di 43 piani. Nel complesso, è abbastanza per garantire che la corsa lunga un secolo per uno sviluppo verso ovest si sia arrestata. E che l'est londinese sia nato a nuova vita. Non mancano tuttavia i rimpianti. Quello stesso spirito di dissenso, che inizialmente aveva reso Londra scettica riguardo all'opportunità di ospitare i Giochi, lamenta la scomparsa della malinconica normalità, del disadorno abbandono, di ciò che Stratford era stato prima della venuta dei Giochi.

Nel complesso, Londra esce rafforzata anche nella sua pretesa di essere l'unica vera città a respiro planetario in Europa. E questo non si deve solo alle Olimpiadi, ma è frutto dei duemila anni di dna urbano della capitale: un dna che, nonostante l'apparente riluttanza a produrre piani grandiosi e gesti appariscenti, caratterizza una città nella quale l'esiliato Napoleone III trovò, nello scenario urbano creato da Nash, l'ispirazione per commissionare a Haussmann lo stesso tipo d'intervento. Londra ha costruito la prima metropolitana del mondo, ha compiuto i primi esperimenti di edilizia popolare, di città giardino nei sobborghi e di amministrazione locale. E oggi ha permesso a Renzo Piano di trafiggere lo skyline con il grattacielo più alto d'Europa. Per questo, nonostante le facciate in pietra e il denso groviglio di strade del centro, Londra ha una risoluta volontà di cambiare, che la rende più vicina a Shanghai che a qualsiasi altra città europea.

Deyan Sudjic è direttore del Design Museum di Londra. È stato direttore di Domus e dell'8. Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia (2002). Tra le pubblicazioni più recenti: Il linguaggio delle cose, Editori Laterza, Bari 2009; Architettura e potere. Come i ricchi e i potenti hanno dato forma al mondo, Editori Laterza, Bari 2011

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