Elisa Poli e Giovanni Avosani

Ha ragione Bruce Mau: mai partecipare ai concorsi

Le competizioni d'architettura sono ancora da considerare come occasioni progettuali? Alla vigilia del gran raduno viennese di Europan, proponiamo alcune riflessioni e dieci domande sullo stato dell'architettura legato al sistema concorsuale.

Don't enter awards competitions. Just don't. It's not good for you. Bruce Mau, Incomplete Manifesto for Growth

Leggiamo ogni settimana sull'inserto di un noto quotidiano italiano una pagina dedicata esclusivamente alla formulazione di domande. Ho sempre creduto che porre domande fosse il più arduo tra i compiti intellettuali, appannaggio dei colti e dei saggi. L'occasione di Europan, il malcontento legato alle effettive possibilità di poter realizzare i progetti presentati a questa kermesse – sempre più simile a un Sanremo Giovani – e l'introduzione quest'anno di una spesa di 100 euro i partecipanti non laureati (più viaggio, vitto e alloggio), ci ha spinti a tradurre verbalmente un fastidio crescente verso le mancate soluzioni per il rinnovo del sistema-architettura. Non avendo soluzioni però, abbiamo pensato di porre domande, non da saggi o colti, ma da curiosi, sapendo che di fronte a noi c'è una generazione brillante, intelligente e volonterosa che molto probabilmente le risposte già le possiede, semplicemente, senza ancora saperlo.

1) Qual è il senso di una macchina complessa come Europan creata per incentivare lo start-up dei giovani architetti bloccati nella condizione di dover spendere cifre alte per recarsi a un premio che, a queste condizioni, laurea i burocrati piuttosto che i progettisti?

2) Il costo minimo per una giocata al Superenalotto è di 1 euro. Quello per la partecipazione a Europan minimo 200. Siamo sicuri che i concorsi siano un buon investimento?

3) La scrittura è progetto. I concorsi sono o dovrebbero essere occasioni progettuali. Gli architetti, soprattutto i giovani, sembrano particolarmente legati a queste due forme di espressione per poter esplicitare e definire il proprio lavoro. Ma non è forse un alibi da parte loro (nostra) rifugiarsi in queste due formule non riuscendo, in pratica, a realizzare architetture?

4) Il ricorso al metodo concorsuale – con qualche eccezione – è dimostrazione di un sistema asfittico che supplisce con dispositivi mal funzionati l'evidente assenza d'interesse pubblico nei confronti dell'architettura. Crediamo veramente che il ripiegamento in questa forma progettuale permetterà alla generazione dei giovani professionisti di uscire dalla crisi?

5) La lamentazione generazionale che si sposa troppo spesso con un'aderenza pedissequa al modello dei padri (o degli zii visto che "non ci sono più maestri") impedisce di riflettere su soluzioni fattive che spostino l'attenzione sulla comunicazione. I concorsi restano appannaggio di un pubblico ristretto – a meno di non voler parlare della parabola discendente dell'archistar system. Occorrerebbe scendere in campo e sensibilizzare l'opinione pubblica invece che continuare a parlare sempre e solo tra simili. O vogliamo negare di trovarci – nella maggior parte dei casi – a fare incontri autoreferenziali?

6) Certo, le eccezioni sono molte ma se non fanno sistema come possono intervenire su un piano di realtà che schiaccia la qualità dietro la facile bandiera della necessità economica? E i concorsi non sono spesso un prodotto della cattiva coscienza di questa visione alterata?

7) L'economia culturale è un tema spesso evocato ma poco studiato da chi, come gli architetti, dovrebbe invece farne il baluardo del proprio operato. Troppo spesso i concorsi sono la riduzione di un approccio che dovrebbe poter essere sviluppato in tempi lunghi, attraverso una ricerca ponderata. Parlarsi meno addosso e leggere di più potrebbe essere una dieta valida per uscire dalla bulimia dell'egocentrismo disciplinare?

8) Tra il 1922 e il 1927 Alma Siedhoff-Buscher, allieva del Bauhaus Metallwerkstatt, progettò i blocchi da costruzione poi prodotti dalla Naef Spiele e tutt'ora in commercio. Interessata alla pedagogia e al rapporto tra design e didattica può essere considerata un esempio di come sia possibile sensibilizzare il pubblico attraverso una progettualità raffinata e semplice. Una vision chiara, elaborata grazie allo studio e non nell'urgenza della risposta a una domanda parziale come, spesso, è quella dei concorsi. Sarebbe forse più utile un po' di volontariato nelle scuole: perché non ricominciare da lì (e lì) a parlare di architettura?

9) Il lavoro dell'architetto rimane marginale rispetto ai complessi sistemi decisionali economico-politici che governano le prospettive di condivisione della città dell'oggi quanto quella del futuro. E i concorsi spesso sono il velo che nasconde in modo bigotto questa realtà. Ha ancora senso credere di lavorare in un mercato non saturo, nonostante i dati dicano che siamo alle soglie di un collasso sistemico?

10) Demonizzare è sempre un ottimo modo per non affrontare i fatti. I nemici, a seconda dell'occasione, a seconda del concorso, sono la finanza, le multinazionali, le aziende, i politici, i privati, le istituzioni, gli amministratori, il capo-condominio, le Poste, la stampa, le banche, l'università, ecc. E se fossero invece tutti gli interlocutori necessari per iniziare a risolvere il problema?

Elisa Poli e Giovanni Avosani sono i fondatori di Cluster Theory

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