Competenze sociali: post scriptum per Interboro al PS1

Un riepilogo della recente installazione al PS1 mette in discussione la forza dei gesti ispirati come strumenti per produrre cambiamenti sistemici.

Come la coda di un animale esotico nella danza nuziale, per quindici estati una coda di intellettuali modaioli si è snodata intorno al recinto di cemento alto cinque metri dello spazio d'arte PS1 di Long Island, nel Queens. Questo alto muro spoglio – idea ingenua nell'èra del progetto degli spazi a misura di pedone – nel quartiere è stato a lungo un facile soggetto di chiacchiere sulla separatezza urbana tra quartiere e istituzione, tra vecchi e nuovi usi, tra classi ed etnie.

Il gruppo Interboro, vincitore quest'anno dello Young Architect Program MoMA-PS1 (il cui premio consiste nella possibilità di spendere 50.000 dollari per rendere più attraente l'ascetico cortile del museo destinato alle serate-discoteca estive dell'istituzione) si è dato l'obiettivo di superare il muro per trovare tra istituzione e circondario un rapporto differente da quello di una festa o di una sala d'attesa. Lo slogan è: "Quel che va bene per Long Island va bene per il MoMA PS1!".

La proposta è che il PS1 stesso diventi una specie di sala d'attesa per il circondario. Come illustrano gli elaborati di concorso di Interboro per la proposta vincitrice Holding Pattern, presentata la primavera scorsa, il gruppo ha cercato di collegare il PS1 a ciò che gli sta intorno facendo circolare gli oggetti. Prendendo contatto diretto con gli esercizi commerciali, le scuole, le associazioni di categoria, le biblioteche e altri attori sociali locali i progettisti hanno elaborato un elenco di oggetti utili sia alle esigenze degli appuntamenti mondani del museo (sedili, protezione dalla luce solare, acqua) sia alle necessità di più lungo periodo dei vicini (specchi per una scuola di danza, sedili per un giardino da farfalle, tavoli da picnic per una rimessa da barche, tavoli da pingpong per un deposito di taxi e alberi per biblioteche, chiese, scuole e cimiteri). La forma degli oggetti di Interboro, realizzando una poetica di programma, esprimeva i desideri degli altri: il Queensbridge Seniors Center, il Teamsters Local 808, Recycle-A-Bicycle, la Flux Factory, la chiesa episcopale di St. George. Gli oggetti miravano a istituire nel corso dell'estate un legame tra il museo e i suoi vicini, per entrare poi a far parte dell'ecologia materiale locale.

Il secondo grande gesto dell'installazione consisteva in una serie di cavi avvolti in nastri argentei che correvano tra i parapetti di coronamento del museo e i muri del cortile, delineando la geometria latente del sito del museo come i nastri di una festa parrocchiale. L'elemento d'interesse intellettualmente più aggressivo del progetto – la tettoia – nella sua immanenza empirica, restava fortunatamente libero da sovrapposizioni narrative, rinfrescante sberleffo alla contemporanea mania architettonica per le forme di origine pseudoalgoritmica. E per di più era molto bello.

I disegni erano particolarmente riusciti, e dimostravano le ambizioni polimorfe e alternative del progetto. Un alzato obliquo mostra la tettoia come un muto telaio architettonico tessuto attraverso il cortile sullo sfondo di una geometria a bizzarri spioventi, forma casuale tra le altre, senza precedenti. Una serie di diagrammi in stile da fumetto descrive la selezione degli oggetti tramite criteri come "di pubblico interesse" e "divertente". Infine una caricatura di Lesser Gonzalez Alvarez, a metà tra l'illustrazione per bambini e lo show musicale televisivo, suggerisce che cosa potrebbe diventare il mondo sotto l'influsso di un progetto come questo: creature d'ogni genere, tra cui galline giganti, cani, vecchi capelloni, coccodrilli capelloni, capre ballerine e scimmie con il cappello cinese si scatenano nel ballo, senza confini precisi tra spettacolo cromatico, movimento e brontosauri fuori delle mura del museo; e nel frattempo tutta la calca, la scioltezza, il relax, le partite di pallavolo.

Nella vita reale certi spazi creati dall'ibridazione del museo e dei suoi dintorni si sono dimostrati stupendi: l'intrigante spazio degli specchi era attraente e sorprendente, l'atrio Chelsea anni Novanta decisamente convincente (elemento d'annata condiviso con il cortile del PS1) e lo spazio degli alberi, pieno di pacciame e balle di paglia, aveva un profumo delizioso, si accordava bene con i cappellini di paglia evidentemente ancora di moda per la stagione e offriva un comodo spazio a chi faceva da tappezzeria.

Ma altre scelte realizzative rendevano più complicato l'impatto del progetto. In un video promozionale, qualcuno dice di guardare parecchio a Donald Judd, e si vede. La grande maggioranza degli oggetti dell'Holding Pattern – sedie, sgabelli, panche, vasche, recinti di sabbia, tavoli da picnic, sedie a sdraio e un sedile da bagnino – sono costruiti in stile minimalista, in compensato marino non verniciato. Dopo l'iniziale celebrazione dell'eccentrico e del vernacolare un lessico formale così rigoroso rappresenta una delusione e un'infelice vendetta del buon gusto sull'urbano. La spiritosa tessitura delle organizzazioni ospiti, introdotta con foto e testi a colori nelle sedici pagine del fascicolo di presentazione del progetto, appare lontana dagli obiettivi prescelti. Essendo il compensato il materiale americano per eccellenza in fatto di allestimenti rapidi e a buon mercato, ci si chiede come una sedia di compensato alla Mies, a parte la ricercatezza del materiale e del riferimento progettuale, sarà interpretata dai suoi futuri fruitori, specialmente dopo che nel corso di un'estate una torma di beoni ci è salita sopra, l'ha presa a calci e ci si è accasciata. Perché non si è semplicemente lasciato che ciascuno andasse a comprarsela? Accanto alla gigantesca versione dell'illustrazione di Gonzalez Alvarez ci si sente un po' come Dorothy quando guarda il regno di Oz standosene nel Kansas.

Perché questa volontaria austerità? Nel comunicato stampa il direttore artistico del MoMA Barry Bergdoll spiega che "il lavoro [di Interboro] dimostra al contempo una modestia e una dedizione agli antipodi del lusso e delle complesse forme di origine digitale che in anni recenti hanno avuto il sopravvento in città". In altre parole l'attenzione del MoMA alla Grande Recessione è dimostrata dalla posizione del progetto nei confronti di una serie di contrapposizioni e di riferimenti: modestia contrapposta al lusso, dedizione (politica? sociale? religiosa?) contrapposta alle forme "complesse e digitali". Forse delle lampade di plastica dell'Ikea avrebbero guastato l'atmosfera. Nel dilemma tra dedizione e complessità ecco la scelta Che cosa farebbe Judd?, che consegna oggetti di desiderio alla modesta espressione pseudoutilitarista, smorzando ogni potenziale eruzione del locale nello spazio idealizzato del museo. Perché non essere più magici, più ambiziosi? Non siamo forse passati attraverso il Postmoderno per consolarci alla fine con l'idea che l'architettura attenta al fruitore non deve necessariamente cadere vittima delle costellazioni del gusto fondate sulla distinzione di classe? Invece qui le gerarchie tradizionali e i loro regimi visivi vengono tutelati anche se vengono dichiarati superati.

In fin dei conti il contesto più sensibile per il progetto sono le istituzioni e le reti di potere cui esse danno struttura, entrambe a livello di MoMA/PS1 e a quello della ribalta dell'architettura. Il progetto di Interboro raggiunge un brillante successo come rappresentazione allegorica della sua stessa generazione urbanistica. I disegni si sono già dimostrati utili nell'allettare gli studenti avviandoli alle delizie dell'indagine allargata dei siti, se non nel prepararli a decifrare i crudi conflitti politici che vi scopriranno. Il tono celebrativo del progetto taglia fuori altri problemi: in un quartiere newyorchese dove prevale la diversità perché dare rappresentanza a un gruppo irlandese e a parecchie chiese ma non a organizzazioni etniche non bianche e a gruppi religiosi non cristiani? Questi gesti critici delineano inconsciamente il profilo dei curatori: si può ben immaginare la difficoltà di collegamento con la chiesa filippina dietro l'angolo. Inoltre, mentre il progetto sottolinea la sua incidenza precisa – come quando i diagrammi, gli elenchi e il resto del fascicolo di presentazione illustrano in ogni particolare la liberalità del progetto – le buone intenzioni rischiano di portare sotto i riflettori l'impatto reale: dell'impressionante numero di 60 previsti beneficiari del bottino di Holding Pattern, così convincente del delineare un quadro di vita organizzativa, 32 riceveranno, secondo il programma, un unico albero.

In fin dei conti un gesto suggestivo non è un cambiamento sistemico, e forse Holding Pattern si accontenta troppo facilmente di dare stupendi suggerimenti rispettando però le debite distinzioni. Dopo tutto la politica della generosità, specialmente lungo le ripide piramidi del potere, di solito è conservatrice. Qualunque speranza di innescare tendenze di lungo periodo in fatto di progresso formale o politico sta nell'istituzione, non negli architetti che invita. Nella prossima puntata: Foreclosed: Rehousing the American Dream, in cui cinque studi d'architettura affrontano la crisi dei mutui immobiliari e il futuro della vita americana, presentando un altro possibile incrocio tra le storie che gli intellettuali potenti si raccontano e quel che c'è dietro. Speriamo che il presidente del MoMA Jerry Speyer (che è anche presidente della Tishman-Speyer, che gestisce complessivamente quasi sette milioni e mezzo di metri quadrati) prenda nota ed esprima osservazioni.

Damon Rich è designer e artista. È Urban Designer per la Città di Newark, New Jersey. Il suo lavoro di designer è stato esposto in diverse mostre internazionali.

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