Dal punto di vista meramente estetico non vale neppure la pena di rendere conto della frusta battaglia tra amatori e detrattori del genere. Ma è indispensabile porsi una serie di interrogativi su alcuni aspetti quanto meno ambigui del dilagare del fenomeno.
In primo luogo, quanto terreno si consuma? E con che criterio? Come racconta in queste pagine il caso della Sicilia, individuata nei programmi europei come area privilegiata per lo sviluppo dell'energia solare insieme alla Spagna, al sud della Francia e ad altri paesi affacciati sul Mediterraneo, molti degli investimenti sul fotovoltaico hanno come obbiettivo principale quello d'intercettare i finanziamenti e gli incentivi, mettendo in secondo piano l'effettiva utilità e il pubblico interesse del progetto. In questi casi aranceti e mandorleti vengono sacrificati per pochi megawatt, spesso addirittura superflui. All'opposto, negli Stati Uniti si è sollevata una polemica sull'uso dei campi fotovoltaici per 'rivestire' enormi aree postindustriali intorno alle città: operazioni che consentono di risparmiare le costosissime bonifiche mantenendo un'immagine eco-friendly. Quello della stratificazione è un problema logistico con dei risvolti quasi filosofici in un mondo che non sa più cosa fare dei propri rifiuti, e coinvolge migliaia di specialisti (dagli ingegneri alla criminalità organizzata) impegnati a cercare sia i buchi da riempire che le strutture di superficie più innocenti possibili con cui nasconderli: case, parchi, e appunto energie alternative.
Ma al di là dei rischi di contaminazione, l'opposizione a questa 'logica del tappeto' pone soprattutto la questione del mito della crescita: accumulare montagne di rifiuti e ricoprirli di pannelli è una risposta autistica a un circuito produttivo infinito: sempre più spazzatura, sempre più energia. È senz'altro fondamentale creare delle fratture in questo loop, integrarlo massicciamente con delle politiche di riduzione e di riciclo. E intorno a questo punto verte il secondo paradosso del fotovoltaico: per quale motivo la ricerca in questo campo è focalizzata da decenni sul perfezionamento dei sistemi che consentono un'erogazione on demand, 24/7? La risposta è fondamentalmente una: per assecondare il picco di richiesta d'aria condizionata nelle ore serali. Stiamo in altre parole investendo risorse intellettuali di pregio in una tecnologia verde avanzatissima per soddisfare un mercato fondato su una tecnologia e una cultura vetusta.
Perché invece nei campi dell'architettura e dell'edilizia proliferano le ricerche sulle costruzioni passive, sui materiali e le tecniche che permettono di trattenere il calore d'inverno e il fresco d'estate, sulle strategie per riciclare e riutilizzare le materie prime, gli elementi strutturali, gli imballi, persino i luoghi, per ridurre i costi ecologici (ed economici) dei trasporti. Quella che sta tornando in auge è una mole di conoscenze ed esperimenti che ebbe un momento di grandissima fortuna negli anni '70, in corrispondenza della grande crisi petrolifera che mise in ginocchio tutti i paesi occidentali. Allora, come raccontava la mostra Sorry, Out of Gas al Canadian Center of Architecture nel 2007, furono inventate delle soluzioni straordinarie al problema energetico e alle sue implicazioni per il pianeta. Oggi è una cultura diffusa o in via d'espansione in tutte le scuole e in tutti gli studi, ma anche e soprattutto tra le imprese, nell'intera filiera produttiva dal cemento all'arredo. Per fortuna riguarda anche lo stesso settore delle rinnovabili, dove cominciano a nascere reti e organizzazioni che si occupano della vita dei pannelli dopo la morte delle centrali, scomponendoli o riutilizzandoli per intero.
E in effetti da qualche anno, non moltissimi per la verità, cominciano ad apparire le prime centrali in disuso. I primi campi solari sono già entrati nell'età dell'obsolescenza, il fotovoltaico di prima generazione è già archeologia industriale. I bambini delle scuole vengono portati a vedere le rovine, i pali mozzi nel paesaggio come colonne ioniche. I libri sulle meraviglie dimenticate dell'era sovietica illustrano gli impianti solari kazaki insieme ai monumenti a Lenin. Come tutti i paesaggi fatti di antiche vestigia, a qualunque epoca appartengano, alla fine diventano sublimi. Probabilmente quando arriverà la vera rivoluzione energetica, quella che farà entrare le rinnovabili in tutte le case, che spalmerà i pannelli e le pale e altri strani macchinari su ogni tetto di ogni città, queste megastrutture ci sembreranno come i primi cervelloni a transistor, che occupavano stanze e stanze e facevano un rumore d'inferno. Ma per ora stiamo ancora abituando l'occhio a guardare l'infinito riflesso su un reticolato lucido nero su fondo nero.
