Mitch McEwen

La morte del 'Manhattanismo'

Le contraddizioni poste da Detroit indicano l'emergere di un nuovo tipo di città globale.

Le ragioni del fascino di Detroit sono numerose. Gli edifici abbandonati e il disfacimento dell'ordine urbano possiedono una specie di fascino da sfasciacarrozze che entra in circuito (mi sia permesso il gioco di parole) con i piaceri estetici del sublime. Gli abitanti di Detroit detestano questo genere di attenzione. Preferiscono ricordare i bei tempi dell'industria automobilistica e i connessi effetti collaterali cosmopoliti (la musica dei Motown, la borghesia urbana, una popolazione di 1,8 milioni di abitanti[1]).

Tra la fine di marzo e i primi di luglio di quest'anno è venuto in luce un aspetto alquanto contraddittorio della Detroit di oggi. Alla pubblicazione delle rilevazioni demografiche degli Stati Uniti si è rivelato un calo della popolazione di Detroit del 25 per cento nell'arco dell'ultimo decennio. Nel complesso i 237.500 abitanti che hanno abbandonato Detroit negli ultimi dieci anni superano tragicamente i 140.000 che hanno lasciato New Orleans dopo Katrina.[2] Ma un'analisi disaggregata dei dati rivela sacche di espansione: da Mexicantown con la crescita demografica degli ispanici all'aumento del 59 per cento dei giovani laureati che vivono nel centro cittadino. Quest'ultima statistica è stata presa a fondamento di un recente servizio che il New York Times ha dedicato a Detroit nelle pagine di moda e lifestyle, che presentava una foto con la seguente didascalia: "L'influenza dei giovani creativi sta trasformando Detroit in una TriBeCa del Middle West".

È difficile parlare di Detroit senza parlare dei media. La città è ossessionata dalla rappresentazione di se stessa, dalla sua immagine, dal suo valore culturale. E, in termini mediatici più contemporanei, Detroit – si direbbe – fa tendenza. Dal fondo di investimento di Magic Johnson[3] alla fiera dell'arte Figment di Belle Isle c'è un'intera serie di imprese nazionali che stanno investendo su Detroit. Per non dire della tradizionale attenzione dei media. Il New York Times l'anno scorso ha pubblicato qualcosa come otto servizi importanti su Detroit, al di là degli articoli sulle società sportive e sulle aziende dell'automobile. Le reti radiotelevisive pubbliche PBS e NPR di recente hanno fatto sèguito a un articolo del New York Times sul centro di Detroit con servizi intitolati "Detroit è la nuova Brooklyn?"[4]

Detroit quindi è messa ben peggio di New Orleans dopo Katrina e, contemporaneamente, è la prossima Brooklyn. O perfino la prossima Berlino.

Diciamola tutta: ho curato una mostra intitolata Detroit: A Brooklyn Case Study, che si è inaugurata a Los Angeles in gennaio e di recente si è trasferita al Marygrove College di Detroit. L'ultima volta che sono stata a Detroit ho visitato un ostello dove il custode ripeteva a gran voce le dichiarazioni che aveva fatto a un giornalista della NPR: "Non voglio che Detroit diventi come Brooklyn", diceva. "Voglio che Detroit sia Detroit." Sapeva della mostra e, a quanto pare, non ne era molto soddisfatto.

La mostra cerca di instaurare un dialogo tra due città, rompendo la gerarchia delle classifiche di popolarità delle città e le reti di influenza istituzionale, pur senza tendere all'obiettivo di un'impossibile condizione oggettiva di 'non luogo'. Si è rivelato più difficile di quanto mi aspettassi. 'Brooklyn' oggi porta con sé una carica culturale cui, dopo averci vissuto per cinque anni, mi sono assuefatta. Brooklyn, nel mio mondo, vuol dire forestieri che chiedono se il quartiere si può frequentare con tranquillità di notte, invitati che non si fanno vedere alle manifestazioni, amici di Manhattan che si lamentano di quanto certi quartieri siano "aperti". Brooklyn, fuori da New York, vuol dire qualcos'altro. Fondamentalmente vuol dire la zona di Williamsburg.

Invece che chiamare una città con il nome di un'altra, credo che sia possibile elaborare una terminologia e uno strumentario analitico utili a descrivere e misurare la condizione urbana contemporanea. Se si chiama Detroit la Brooklyn o la Berlino del futuro, forse lo si fa perché non si è capita bene la sostanza di Brooklyn e di Berlino. Non abbiamo ancora stabilito i criteri di valutazione né analizzato i meccanismi in opera, e così puntiamo il dito su questa e quest'altra cosa come un bambino chiama ogni cane con il nome del cucciolo di casa: "Guarda, un Fido, e ce n'è un altro!".

Oltre alle analogie tra una condizione urbana e l'altra occorre tenere presente il configurarsi di una tipologia mondiale e la lenta trasformazione delle città americane in direzione di un modello globale. Il white flight, la migrazione dei bianchi in quartieri residenziali omogenei che ha caratterizzato demograficamente le città americane della seconda metà del XX secolo, si è finalmente esaurito. Lo testimonia la diffusione del termine hipster, che è soltanto un modo ben educato e sublimato dal punto di vista razziale di definire la cultura bianca in quanto cultura urbana. Accanto a questo fenomeno stiamo assistendo al moltiplicarsi dei quartieri residenziali suburbani di neri e di immigrati. Le città americane si stanno muovendo nella direzione di un meccanismo più simile a quello delle città europee e sudamericane. In questo paese l'ultima parte del XX secolo è stata anomala a paragone dello sviluppo urbano e suburbano mondiale, e quel momento storico è finito.

E allora a che punto è Detroit? O, quanto a questo, Brooklyn? Oppure, certo, Berlino, città 'povera ma attraente', il cui carattere connettivo sembra ancora rappresentare un mistero per i professionisti dell'urbanistica che definiscono la grandezza di una città attraverso la sua ricchezza?[5] Se li paragoniamo a una città centralizzata, con un piano regolatore burocratico e un'economia affluente fatta di ricchezza di servizi, questi tre luoghi forse sono indistinguibili. Ma si spera che le discipline della ricerca urbanistica (dall'economia spaziale al progetto urbanistico) imparino a confrontare le città su altre basi. Il modello Manhattan (inefficace e ormai privo di qualunque valore conoscitivo non autoriferito) forse è morto. Lunga vita a Detroit.

1. La popolazione di Detroit oggi è prossima ai 750.000 abitanti. Cfr. il Wall Street Journal: "Detroit's Population Crashes: Census Finds 25% Plunge as Blacks Flee to Suburbs; Shocked Mayor Seeks Recount" http://online.wsj.com/article/
SB10001424052748704461304576216850733151470.html
2. http://www.nytimes.com/2011/03/23/us/23detroit.html - 22 marzo 2011: "Detroit Census Confirms a Desertion Like No Other".
3. "Magic Johnson announces partnership and investment to rebuild Detroit" http://www.wxyz.com/dpp/news/region/detroit/magic-johnson-teases-big-detroit-announcement-on-twitter
4. http://www.pbs.org/wnet/need-to-know/the-daily-need/is-detroit-the-new-brooklyn/10290/
5. Cfr. Josef Joffe che dichiara: "Che cosa fa grande una città? Sempre la stessa combinazione di ricchezza e povertà, di dinamismo e libertà che stimola talento e ambizione in tutto il mondo. Ciò fa emergere una massa critica di persone che creano, inventano e spezzano i modelli convenzionali", in New York Times, Room for Debate, 14 luglio 2011, "Where Would Hemingway Go?: In every era, one city is designated as a magnet of creativity and energy. Which city is the dynamic center in Europe now?" ("Dove andrebbe Hemingway? In ogni epoca una città assume il ruolo di calamita della creatività e dell'energia. Quale città oggi è il centro dinamico dell'Europa?". Ovviamente non posso addebitare a Joffe il fatto che il titolo confonda il termine energia con il termine centralità, vecchia banalizzazione che, purtroppo, caratterizza tutto il settore dell'economia spaziale.

Mitch McEwen è direttrice di A. Conglomerate; ha ricevuto il premio del New York State Council on the Arts 2010 Independent Projects for Architecture, Planning and Design. L'Akademie Schloss Solitude le ha assegnato una borsa di studio in architettura per una residenza nel 2012/13. Da quando ha fondato SUPERFRONT nel gennaio 2008, ha curato più di quindici mostre e pubblicato quattro cataloghi.

Articoli più recenti

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram