Archivistica e realtà istituzionale
L'archivistica ha una storia antica, lunga quanto la storia delle società o perlomeno delle istituzioni umane. Non farò alcuna sintesi di questa storia, che neanche mi compete, ma mi limiterò a segnalare il dato fondamentale dell'archivistica (e di più: fondativo), il suo costruirsi attorno all'idea di dover garantire l'esercizio del diritto entro le società umane attraverso la cura del valore giuridico dei documenti.
Un esempio per fare la questione semplice e chiara: quando compriamo una casa abbiamo tutti cura di conservare il contratto d'acquisto in un cassetto, ben al sicuro, e non certo perchè quel documento ha un qualche valore letterario o artistico, ma perchè nel caso sorgesse un contenzioso di qualsiasi tipo sulla proprietà dell'immobile che abbiamo acquistato, lo si possa portare in tribunale e si possa su questo documento poggiare tutta la rivendicazione del nostro diritto di esercitare la proprietà materiale della casa. Ecco, quando si dice che un documento ha valore giuridico si intende questa semplice cosa. Ebbene, l'archivistica ha costruito la sua ragion d'essere sul valore giuridico dei documenti, siano questi gli atti notarili o gli atti di un pubblico ufficio. Questo viene spesso tradotto nella vulgata archivistica in un bizzarro slogan secondo cui l'archivistica si occupa di documenti che (1) nascono 'spontaneamente' e che (2) solo con il tempo diventano fonti storiche.
Torneremo sulla seconda parte della affermazione tra poco. Qui vale la pena di valutare un momento il primo punto, quell'idea di formazione 'spontanea' del documento: perchè ci sarebbe un baratro di senso tra un documento prodotto dall'ufficio anagrafico di un comune (o il nostro contratto di prima prodotto in uno studio notarile) e, facciamo il caso, la bozza di un romanzo prodotta e conservata tra le carte di uno scrittore: quest'ultimo documento non nasce per avere un valore giuridico, nasce per avere un valore artistico, ovvero storico o culturale (dunque starebbe qui la sua 'intenzionalità' o 'non spontaneità').
Il disegno di un architetto rappresenta un caso davvero interessante: il lucido originale ha la stessa natura della bozza del romanzo, documento 'intenzionato'. Ma quando il progetto, nella sua versione definitiva, viene presentato in copia (eliografica) per ottenere le varie e necessarie autorizzazioni da parte degli uffici preposti, entrando cioè negli archivi delle istituzioni di cui detti uffici fanno parte ed entrando nella meccanica delle procedure a cui deve essere sottoposto, bene, in questo momento preciso le copie del lucido acquisiscono un valore giuridico: in qualche modo per l'archivistica il disegno 'nasce spontaneamente' [sic] solo in questo passaggio dalla persona all'istituzione: prima per l'archivistica non esiste. In questa curiosa situazione in cui la copia surclassa l'originale, diventa chiaro il nesso cruciale tra archivistica e realtà istituzionale, un rapporto che ha nel valore giuridico dei documenti il suo totem (o tabù).
Archivi di persona
Una delle trasformazioni più interessanti che sono intervenute nella storia recente dell'archivistica è proprio il progressivo smantellamento di questo totem, o almeno una certa relativizzazione della sua fondatività rispetto la disciplina. Naturalmente si è sempre pensato che l'archivistica ha una seconda anima, un'anima votata al valore culturale dei documenti: è del resto la seconda parte dell'affermazione precedente, quella che prevede che 'solo col tempo i documenti [di cui si occupa l'archivistica] diventano fonti storiche'.
Torniamo all'esempio, il nostro contratto d'acquisto: morti tutti i contraenti (cioè anche noi), e magari caduto in disuso il bene immobile, magari espropriato e demolito per far posto a un bel centro commerciale, ebbene quel contratto rimasto nel cassetto perde del tutto il valore giuridico che ne ha motivato la conservazione iniziale. Parallelamente però può acquistare nel tempo un valore storico, culturale, perchè racconta la storia di un edificio che non c'è più, forse ne descrive la consistenza, oppure descrive un modo superato di stendere contratti (a seconda insomma che si posi l'attenzione sul contenuto o la forma del documento). Gli archivi correnti col tempo diventano 'archivi storici' e a quel punto il valore giuridico delle carte lascia il posto al valore storico-culturale: l'archivistica ha sempre costruito le sue pratiche in riferimento a questa metamorfosi semantica (per così dire) che avviene dentro alle carte.
Quello che è intervenuto, di nuovo, possiamo dire - un po' schematicamente - nel corso del '900, e in particolare nella seconda metà del secolo, è l'imporsi quali oggetti legittimi dell'archivistica anche di quei complessi di carte che, saltando la fase del valore giuridico, nascono come complessi di documenti propri di valore storico-culturale: gli archivi di persona, ovvero complessi documentali che non nascono dentro pratiche istituzionali fortemente formalizzate, 'spontaneamente' - si potrebbe dire seguendo lo slogan citato, ma nascono 'intenzionati' dentro pratiche consce del soggetto produttore.
Sembrerà strano, ma la conquista per l'archivistica di questo territorio non è stata affatto scontata e pacifica, e per lungo tempo il dibattito è stato agitato da figure autorevoli che escludevano la possibilità per l'archivistica di occuparsi di questo tipo di archivi, e finanche che si potessero chiamare 'archivi' questo tipo di complessi documentali (al massimo sub specie di archivi, da guardarsi con diffidenza: oltre che per la questione del valore giuridico dei documenti, per il fatto che gli archivi di persona sono un universo piuttosto anarchico, non essendo prodotti 'spontaneamente' [sic] dentro protocolli rigidi e interpersonali, sono universi arbitrari e soggettivi, solitamente fortemente de-strutturati).
Eppure come tutte le rivoluzioni, anche questa aveva delle radici lontane. Fino all'Antico Regime, tutte le cariche istituzionali erano di fatto una prerogativa delle più influenti famiglie aristocratiche: l'archivistica, proprio per muoversi sul terreno a lei più consono degli archivi istituzionali, aveva dovuto spesso confrontarsi con gli archivi di famiglia di queste casate aristocratiche (dato che finivano per fondersi con gli archivi delle istituzioni rette dai suoi membri); senonché dentro questi complessi e articolati archivi di famiglia, che raccoglievano la documentazione prodotta anche da diverse generazioni dei suoi membri, capitava fatalmente di incontrarsi in nuclei riferibili all'attività di qualche uomo di lettere o di scienza, nuclei di cui si capiva bene l'importanza a prescindere dalla mancanza di valore giuridico delle carte fin dalla loro origine: insomma il passo dagli archivi di famiglia agli archivi di persona, e quindi alla legittimazione di questi ultimi quali degni d'attenzione scientifica, era nella logica delle cose.
Tuttavia questo sarebbe potuto rimanere un fatto marginale, da non comportare alcuna trasformazione della disciplina archivistica; ma nel '900 si è innestato un fenomeno storicamente inedito, che così ben descrive Stefano Vitali: "[...] la massiccia diffusione nel corso del Novecento dell'alfabetizzazione e di tecnologie di riproduzione e di memorizzazione di suoni e immagini sempre più potenti ed economiche ha fatto sì che quasi tutti ormai 'mettono insieme' un proprio archivio, sia esso costituito da una semplice raccolta di fotografie oppure un complesso più ampio di materiali tradizionali (diari, memorie, corrispondenze) o di nuovo tipo (registrazioni sonore, audiovisive, ecc.), in grado di documentare un intero percorso di vita." [Vitali 2007/82].
Insomma, l'archivio di persona è diventato un costume sociale, di massa. E forse ha ragione Vitali a connettere questo fenomeno con un ampliamento e cambiamento del pubblico degli archivi negli ultimi decenni e, alzando il tiro in maniera suggestiva, con una diffusa ansia di identità, individuale e collettiva, che va di pari passo con la produzione di archivi non istituzionali.
Archivi di architetti
Ovviamente neanche gli archivi di persona sono un blocco omogeneo e la loro inclusione nel campo archivistico è avvenuto per gradi, con tempi differenti in diversi ambiti. Più prudente è stato l'avvicinamento archivistico al mondo degli archivi degli architetti. Riccardo Domenichini e Anna Tonicello, in un comodo e sintetico affresco, fissano alla fine degli anni Settanta e poi negli anni successivi la congiuntura cruciale per una inaugurazione sistematica, a livello internazionale, della cultura della preservazione e valorizzazione archivistico-museale del patrimonio documentale di matrice architettonica: nel 1979 viene fondato il CCA di Montreal (Centro Canadese di Architettura) ma anche il DAM di Francoforte (Museo dell'architettura tedesca) e l'ICAM (Consiglio Internazionale dei Musei di Architettura); nel 1980 l'IFA di Parigi (Istituto francese di Architettura), nel 1984 si inaugura la sezione architettura del Getty Institute di Los Angeles, nel 1988 il NAI di Rotterdam (Istituto dell'architettura Olandese). In Italia per una volta ci si è mossi abbastanza in sincronia: nel 1978 l'Accademia di S.Luca di Roma inizia a raccogliere gli archivi dei suoi soci architetti, nel 1980 viene fondato il CSAC di Parma (Centro Studi e Archivio della Comunicazione), nel 1988 l'Archivio Progetti IUAV di Venezia, nel 1989 l'Archivio del '900 del Mart (il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, che raccoglie anche fondi archivistici di architetti). Nel 1999 infine viene fondata l'AAA/It (Associazione nazionale Archivi di Architettura) [Domenichini-Tonicello 2004/16-17].
Dunque quella degli archivi di architettura è una storia relativamente recente, e questo in realtà anche per ragioni che stanno nel mondo dell'architettura: degli architetti in primis, che nell'epoca aurea del boom post-bellico in cui si costruiva sistematicamente ciò che si progettava, hanno sempre inteso l'opera realizzata, l'edificio, come il vero 'documento' a testimonianza del loro lavoro (disegni, plastici, fotografie e carte erano materiali di lavoro, transitori, alla stessa stregua dell'impalcatura che una volta realizzata l'opera viene smantellata e dimenticata); sempre Domenichini e Tonicello segnalano anche un altro fattore che probabilmente ha giocato in favore di un rinnovato interesse per le fonti documentarie dell'architettura in ambito storico-critico, ovvero la fine della forte ideologizzazione degli studi sull'architettura, fino a tutti gli anni Settanta ancora pervasiva [Domenichini-Tonicello 2004/15].
Gli archivi di architettura mettono particolarmente in difficoltà la disciplina archivistica per come si è costruita ed evoluta, nei suoi strumenti concettuali e tecnici. A differenza degli archivi di persona facilmente 'digeribili' con gli strumenti descrittivi tradizionali dell'archivistica, quelli affini per materiali di cui dicevo anche precedentemente, il campo specifico degli archivi degli architetti presenta delle difficoltà inedite per l'archivistica: dalla estrema varietà dei materiali che si presentano conservati (dalle tecniche grafiche e dai supporti cartacei degli elaborati, dalle infinite tecniche di copiatura meccanica dei disegni ai materiali dei modelli, dalle tecniche di condizionamento dei materiali stessi, e così via), alla necessità di fare i conti con lessici nuovi e 'fuori standard' (e la standardizzazione dei lessici descrittivi è una delle frontiere sempre aperte dell'archivistica, soprattutto dall'introduzione delle tecnologie informatiche e dalla necessità di sfruttare appieno le potenzialità enormi - di ricerca per esempio - che ne derivano le banche dati elettroniche).
Sarebbe interessante soffermarsi su quanto risultino poco maneggiabili per l'archivistica dati quali la scala metrica di un disegno di architettura, oppure la riconfigurazione del rapporto tradizionale tra le nozioni di 'originale' e 'copia' (pensiamo alle copie eliografiche che costituiscono l'originale di consegna di un progetto, mentre il disegno su lucido, la matrice originale [sic] rimane in fondo un semilavorato; per non andare al mondo contemporaneo della digitalizzazione delle pratiche di progettazione che apre un baratro di difficoltà ancora più insidioso per l'archivistica del futuro sempre più prossimo). Insomma, senza andare qui oltre nei tecnicismi, mi pare sufficiente chiaro come il mondo degli archivi di architettura possa essere inteso come una sfida interessante per l'archivistica.
Leggi la seconda parte dell'intervento di Francesco Samassa – Archivio Cesare Leonardi. Archivio con/fusione
Riferimenti bibliografici:
[Domenichini-Tonicello 2004] Riccardo Domenichini, Anna Tonicello, "Il disegno di architettura. Guida alla descrizione", Il Poligrafo ed., Padova 2004.
[Vitali 2007] Stefano Vitali, "Memorie, genealogie, identità". Sta in: Linda Giuva, Stefano Vitali, Isabella Zanni Rossiello, "Il potere degli archivi", Bruno Mondadori ed., Milano 2007 (pagg. 67-134)
Francesco Samassa è un libero professionista attivo nel campo della conservazione, ordinamento e valorizzazione degli archivi storici.
