L'elogio dell'eclettismo

"Dimmi, poiché sei così sensibile agli effetti dell'architettura, non hai osservato, camminando nella città, come tra gli edifici che la popolano taluni siano muti, ed altri parlino, mentre altri ancora, che sono più rari, cantano?". Rubo all'Eupalinos (1921) di Paul Valéry questa domanda, di inossidabile attualità, perché senza tempo e senza luogo. È diventato un luogo comune indignarsi per il babelico caos dei linguaggi architettonici nell'era della globalizzazione. Certo, stiamo assistendo all'irresistibile ascesa dell'eclettismo, all'eclatante rimescolamento delle culture etniche, all'ibridazione meticcia degli ornamenti.

A ben riflettere, tuttavia, in ogni epoca gli scenari urbani sono stati contraddistinti dalla complessità e dalle contraddizioni del pluralismo estetico. Solo nei manuali divulgativi più ingenui gli 'stili' si sono succeduti – con coerenza – uno dopo l'altro sul palcoscenico della storia, come i personaggi di una commedia.
Il labirinto delle icone nell'attuale immaginario massmediologico non deve disorientarci. Da sempre il costruire non si è limitato a rispondere alle mere funzioni pratiche, ma ha sublimato l'utilità nell'emozione plastica. Architettura è una parola antica che include ormai, nella convenzionalità del suo suono, fenomenologie diverse, dissonanti, fin troppo eterogenee. Per brevità, provo a dipanare l'intricato groviglio distinguendo almeno tre fili: il diritto alla qualità diffusa, la necessità del simbolico e il desiderio della meraviglia.

La bellezza delle città storiche deriva prevalentemente dalla silenziosa tessitura di mattoni, di case, di strade, dalla quale emergono pochi monumenti eloquenti e, ancor più rare, architetture liriche. Basti pensare a Siena, alla corale cultura del costruire sedimentatasi nella suggestiva forma urbis, edificata dalla sapienza di anonime maestranze, interrotta dallo squarcio scenografico della Piazza del Campo o dal lirico verticalismo della Torre del Mangia. Per emulare nel nostro tempo quel livello di civiltà, sarebbe opportuno elevare la qualità tecnica dell'edilizia corrente. La promozione di ricerche sempre più avanzate in tale settore dovrebbe vedere in prima fila la leadersphip imprenditoriale, benché affiancata dai politici, dagli architetti e dai pianificatori. Il ruolo della committenza è decisivo.

La città contemporanea, per essere tale, non può tuttavia restare priva di architetture 'parlanti', per dirla à la Ledoux. Nella tradizione europea la simbolicità è stata riservata quasi esclusivamente alla sacralità dei templi e ai monumenti pubblici, nei quali la comunità identifica i valori della memoria collettiva. L'ideazione delle metafore lapidee è stata non a caso affidata di volta in volta ai migliori architetti del tempo. Storicamente è in tale ambito progettuale che sono state prodotte le innovazioni paradigmatiche. Nelle metropoli americane e nelle megalopoli asiatiche è oggi soprattutto la committenza privata degli agguerriti delevopers ad alimentare la ricerca linguistica al fine di esaltare l'immagine aziendale. La sperimentazione, a suo modo, continua.

Infine, le costruzioni liriche non possono che essere rarissime, sia per l'enormità di costi che per l'eccellenza estetica. Uno scenario urbano, se affollato da troppi acuti, diventerebbe assordante. Sarebbe però insensato lanciare anatemi contro il formalismo vanesio delle cosiddette archi-star. L'architettura realizzata risponde alle richieste della società. Non deve sorprendere se anche nel nostro tempo permane una domanda di architetture della meraviglia, di invenzioni spettacolari capaci di sedurre il puer aeternus che si aggira nella folla. Ciò che è stato definito il fenomeno dello star-system non è che l'enfatizzazione prodotta dall'attuale cultura mass-mediologica della legittima attesa di emozioni protese verso l'estraniamento dalla quotidianità.

Benedetto Gravagnuolo
Architetto

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