Carlo Rambaldi era considerato un maestro indiscusso dell’animatronica cinematografica, un artista capace di riconoscere negli effetti speciali dei veri e propri strumenti di comunicazione espressiva, più che semplici innovazioni tecniche. In un’epoca in cui la televisione accelerava e il cinema inseguiva forme narrative sempre più complesse e articolate, il suo percorso creativo e formativo rimane ancora oggi un caso singolare: un attraversamento raro, che ha saputo unire sotto l’insegna della maestria scultorea e dell’ingegneria meccanica il cinema d’autore italiano con le grandi produzioni hollywoodiane.
A cent’anni dalla sua nascita, il MoMA di New York gli dedica un omaggio con una grande retrospettiva realizzata con Cinecittà e sostenuta dal Ministero della Cultura, proponendo un programma di 15 film che ripercorrono l’intera carriera di Rambaldi, dai restauri di titoli italiani come Profondo Rosso, Scacco alla regina, Frankenstein ’80 o I racconti di Canterbury, alle grandi produzioni americane che gli valsero tre Premi Oscar per King Kong, Alien ed E.T.
Se il cinema è il regno della magia, allora gli artisti degli effetti speciali sono i maghi. Da un Kong alto dodici metri agli orrori intrisi di sangue, fino all’alieno più gentile mai apparso sugli schermi terrestri, Carlo Rambaldi ha creato e costruito personaggi destinati a vivere per sempre nella storia del cinema
Rajendra Roy
“Carlo Rambaldi” vuole ricostruire le fila di un approccio intrinsecamente artistico, dove tecnica e immaginazione procedono inseparabili per portare sullo schermo nuove forme di verosimiglianza. Il percorso newyorchese, curato da Rajendra Roy, si muove su questa traiettoria per restituire senza soluzione di continuità un dialogo tra questi due mondi, anche geografici, che Rambaldi ha attraversato con naturalezza.
La sua vocazione artigianale era infatti un’eredità che veniva da lontano, da una passione giovanile per il disegno e la modellazione scultorea coltivata poi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove l’incontro con la pittura e le avanguardie europee (da Picasso a Morandi) gli permise di affinare uno sguardo in bilico tra figurazione e invenzione. Dopo una prima esperienza per Sigfrido di Giacomo Gentilomo — per cui realizzerà un drago di sedici metri — Rambaldi si trasferì a Roma. È lì, nella sua “fabbrica dei mostri”, che iniziò a dare forma a quella produzione inedita che lo portò a collaborare con Mario Monicelli, Dario Argento, Pier Paolo Pasolini, Marco Ferreri e Luchino Visconti. Il suo repertorio di effetti speciali e sistemi animatronici era così realistico e accurato che nel 1971 fu costretto a testimoniare davanti a un giudice che la scena di vivisezione canina in Una lucertola con la pelle di donna, di Lucio Fulci, fosse di natura artificiale, evitando così al regista una condanna penale per maltrattamento e crudeltà verso gli animali.
A metà degli anni Settanta, il passaggio a Hollywood lo porta a costruire mostri monumentali e figure perturbanti che ridefiniscono il linguaggio della fantascienza, aprendo una nuova stagione nell’immaginario cinematografico internazionale: dai vermi delle sabbie del Dune di David Lynch all’empatia di E.T., la mano di Rambaldi rimane riconoscibile nella convinzione che anche ciò che non esiste debba muoversi secondo una logica interna, credibile, coerente. Un lascito che continua a incidere sul cinema internazionale e che, a distanza di un secolo dalla sua nascita, mantiene intatta la sua forza di invenzione.
