Come The Last of Us 2 parla attraverso l’architettura

Ambienti ed edifici sono diventati sempre più importanti nel racconto dei videogiochi, fino ad assumere un ruolo da protagonisti, forse ancora più dei personaggi. Tutto questo viene portato all’eccellenza nel sequel sviluppato da Naughty Dog, in quello che potrebbe essere il capolavoro di una generazione.

La letteratura dice quel che deve dire con le parole, la musica con le armonie, il teatro con la messa in scena, il cinema con il montaggio e i videogiochi in terza persona con gli ambienti da esplorare. Da quando è possibile giocare in questa maniera (più o meno dai tempi di Super Mario 64) i videogiochi hanno sviluppato una serie di abilità che, accanto alle dinamiche proprio di gioco, quelle che ingaggiano il giocatore in una gara di abilità manuale e risoluzione di problemi, ce ne sono altre di racconto che hanno a che vedere con i posti in cui ci si trova. Non è accaduto da subito, ci sono voluti anni per sviluppare questa lingua che lascia ai luoghi parte del racconto, ma ora quasi tutti i giochi migliori che non sono open world (nei quali cioè ci si può sì muovere liberamente ma in ambienti circoscritti) utilizzano proprio l’architettura e l’arredamento per dire tutto ciò che non viene detto a parole dai personaggi.

The Last of Us 2 è un videogioco sviluppato da Naughty Dog in esclusiva per PlayStation 4. È il seguito di The Last of Us (2013), considerato tra i migliori videogiochi dello scorso decennio.

The Last Of Us II, uscito da pochissimo per Playstation 4, è un’eccellenza del suo genere, un videogioco disegnato con una perizia mostruosa per raccontare con le sue 30 ore di gioco e trama, tra flashback e scambi di personaggi, qualcosa di estremamente complicato: come veniamo a patti con il senso delle vite che viviamo e come la brutalità umana sia un virus, una spirale che consuma le persone che ne sono contagiate.

Sono tutti concetti uscirebbero sminuiti da un dialogo, entrerebbero goffamente in un monologo e sarebbero sviliti se messi in bocca a dei personaggi, così vengono veicolati da altro. E in un videogioco in terza persona questo “altro”, per l’appunto, è l’architettura e il design degli ambienti.

Esistono alcuni passaggi di Last Of Us II pensati e disegnati appositamente per dire qualcosa solo con gli ambienti e altri in cui gli ambienti introducono il mood, altri ancora in cui l’organizzazione dello spazio spiega quel che non sappiamo ancora o quel che è necessario capire dell’antefatto della storia. Come nelle opere migliori, invece che essere imboccati da una spiegazione, siamo noi a trarre le nostre conclusioni da quel che percepiamo e del resto i videogiochi sono il mezzo migliore per fare tutto ciò tramite l’architettura, perché consentono la creazione di ambienti tridimensionali da vivere ed esperire come nel mondo reale.

Un’avvertenza: da qui in poi proviamo a fare qualche esempio e necessariamente ci addentriamo in un territorio di spoiler e dettagli che riguardano anche il finale del gioco. Vale per il testo come per le immagini. Scorri la gallery in alto per scoprire le sei ambientazioni: Jackson, museo, Seattle, Ocean World, California, casa.

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