Il Siluro Lambretta, un’enigmatica capsula metallica rossa lunga un paio di metri, che potrebbe contenere tutto, dalla bicicletta all’astronave, contiene la storia dell’Italia del dopoguerra. E quell’Italia, si sa, è un’Italia in corsa. Corsa alla ricostruzione, corsa alla riorganizzazione, e corsa all’innovazione.
Appena la guerra finisce, Piaggio si mette a trasformare i progetti d’aerei in scooter monoscocca, e nel 1946 nasce la Vespa. Innocenti invece, che di tubi ne sa qualcosa – i tubi Innocenti di tutti i ponteggi edilizi contemporanei sono un suo brevetto – punta sempre su know-how aeronautico, ma osserva anche gli scooter militari americani, nella Roma liberata. Recupera poi gli stabilimenti milanesi di Lambrate e lancia un’icona del design a telaio rigido tubolare, rigorosamente a vista: è il 1947, ed ecco la Lambretta.
Bisogna muoversi, agilmente ed economicamente. Lambretta e Vespa rappresentano la vera corsa alla massificazione della mobilità in Italia, forse più della 500. Ma questa corsa si fonda anche molto sul simbolico, sulle imprese e sui record.
E Innocenti si lancia nell’esperimento, partendo proprio dalla Lambretta: sempre sotto la guida del suo progettista, l’ingegner Pierluigi Torre, al telaio scarno, brutalista, della motoleggera viene aggiunta la carenatura che le varrà il nome di Siluro, e al suo motore 125 viene aggiunto un compressore volumetrico – quello che serve per avere potenza già a giri bassi.
Tutta l’Europa in quegli anni si sta ridefinendo, esplorando nuove identità per i suoi luoghi, e per l’impresa viene individuato un lunghissimo rettilineo autostradale in Germania, tra Monaco e Ingolstadt: guidata da Romolo Ferri – con un certo sprezzo del pericolo e del comfort, visto che la carenatura potrà contenere una bici o un’astronave, ma non contiene la testa del pilota – la Siluro stabilisce il record di velocità toccando i 250 km all’ora. La prima volta che una moto di quella categoria supera i 200 orari. Un record ad oggi imbattuto, perché non si sono ripetuti esperimenti di questo tipo.
Oggi, assieme alle prime due Lambretta prodotte, la A e la B, la Siluro torna nelle mani di Innocenti – rappresentata dalla Fondazione Ferdinando e Luigi Innocenti – dopo alcuni passaggi di proprietà che hanno incluso il collezionista modenese Panini. Ora una mostra all’ADI Design Museum di Milano celebra questo ritorno. Che si tratti di cementare subculture urbane come quella Mod anni ‘60 – che della Lambretta faceva un simbolo – o di portare la forma di un siluro dal contesto della guerra a quello della pace, il design qui si mostra come espressione di una società, persino fin da prima che lo si chiamasse design.
Immagine di apertura: Courtesy Lambretta Club Milano
