Fino a non molto tempo fa, gli agenti immobiliari erano figure poco considerate nella sfera social(e), ora invece sono ovunque: compaiono nei feed di Instagram, nei teaser di YouTube, nelle dirette di TikTok, su Netflix, trasformando la vendita di case in un racconto aspirazionale. Ryan Serhant, negli Stati Uniti, ha costruito un impero vendendo attici da centinaia di milioni di dollari mentre accumulava milioni di visualizzazioni sui social. A Londra c’è Daniel Daggers, la star dello show Buying London, a Mumbai, Rafique Merchant che ha reinventato il mestiere condensandolo in trenta secondi di verticalità perfetta. L’Italia non rimane indietro, impossibile non aver visto uno dei video di Gianluca Torre, che non a caso ha lavorato nella pubblicità, oppure quelli Ida Di Filippo o Mariana D'Amico, l’altro volto del programma di Real Time, Casa a prima vista.
È un fenomeno globale, e funziona perché i social hanno ribaltato la logica del mercato immobiliare: non si cerca più solo una casa ma anche uno stile di vita. Instagram, TikTok e YouTube sono ormai vetrine ipnotiche dove l’annuncio si traveste da racconto e il racconto da sogno: le case diventano set per reality show e programmi tv, gli agenti attori, il pubblico una platea emotiva che consuma architettura come se fosse intrattenimento. I formati sono molteplici. L’inquadratura però ti trasporta dentro e se non scrolli, ti sottoponi a un tour frenetico lungo corridoi immacolati fino al balcone con vista, oppure, nel peggiore dei casi ti ritrovi un contenuto emozionale che racconta la storia della proprietà. L’opportunità per gli agenti è evidente: una visibilità immediata che abbatte confini geografici, la possibilità di creare una connessione diretta con acquirenti e curiosi, e la nascita di un brand personale che diventa strumento di business quanto e più di un ufficio fisico.
Il confine tra vita reale e spettacolo si dissolve: lo spettatore abita case che non possiede, sbircia nei frigoriferi e nei conti correnti di estranei, e si riconosce in un ciclo di immagini che alimentano il desiderio più della realtà stessa.
La spettacolarizzazione produce però un’estetica che rischia di banalizzare il valore architettonico, trasformando le abitazioni in oggetti feticcio. La sovraesposizione digitale impone un ritmo di produzione costante, in cui la performance online diventa parte del lavoro e la competenza immobiliare rischia di cedere il passo alla capacità di intrattenere.
Il fenomeno degli agenti‑influencer si intreccia con i trend virali come “fammi vedere casa tua” o “quanto paghi di affitto”, dove i creator fermano sconosciuti per strada e li seguono tra cucine e salotti improvvisati, trasformando il gesto intimo di aprire la porta di casa propria in intrattenimento globale. Qui il confine tra vita reale e spettacolo si dissolve: lo spettatore abita case che non possiede, sbircia nei frigoriferi e nei conti correnti di estranei, e si riconosce in un ciclo di immagini che alimentano il desiderio più della realtà stessa. Gli agenti‑influencer si inseriscono in questo ecosistema ibrido, trasportando la logica della vendita dentro la dinamica dello spettacolo, mentre la casa si riduce sempre di più a supeficie mediatica, un oggetto da condividere prima ancora che da abitare.
Questo non significa che il fenomeno sia superficiale in sé: racconta anche una trasformazione culturale profonda. La relazione con la casa non è più solo funzionale o estetica, ma narrativa: si desidera abitare non solo lo spazio, ma la storia che lo spazio suggerisce, anche solo in potenza. In questo scenario, l’agente‑influencer diventa una figura ibrida, un interprete di aspirazioni, un mediatore tra realtà e spettacolo, un narratore di storie più che di proprietà. Ciò che prima si misurava in superficie e posizione oggi si misura anche in like, condivisioni e capacità di accendere la fantasia di una community che forse non comprerà mai, ma continuerà a guardare. La casa diventa immagine, la vendita diventa storytelling, e il mestiere dell’agente immobiliare diventa lo specchio di un’epoca in cui l’abitare si consuma nello stesso flusso di desiderio di un viaggio, di un abito o di un oggetto di design.
Immagine di apertura: Casa a prima vista. Foto Francesco Margutti
