In principio era il loft. Ampi spazi post-industriali, soffitti alti, pareti grezze. L'ideale per un'esistenza bohémienne nelle metropoli del mondo. Oggi, invece, il panorama urbano si trasforma per estremi. Gli appartamenti si restringono, i grattacieli sono sempre più alti. È il nuovo vocabolario dell'abitare, che racconta una verità semplice: lo spazio è un lusso, e il lusso, spesso, è altrove.


Il microliving non è solo una tendenza architettonica o una risposta pragmatica alla crisi immobiliare. È un sintomo, un riflesso di come stiamo cambiando. Le città si espandono verticalmente solo per i più ricchi, i prezzi delle case salgono, e lo spazio diventa sempre meno negoziabile.
In Italia, il recente decreto salva-casa ha cristallizzato questa tendenza, riducendo la superficie minima abitabile di un monolocale da 28 a 20 metri quadri e l’altezza dei soffitti da 2,70 a 2,40 metri. Misure che normalizzano una condizione già diffusa: lucrare il più possibile sugli spazi. In Italia, il 61% delle abitazioni ha una superficie inferiore ai 100 m², con il 4% che misura meno di 40 m².


Eppure, questi micro-appartamenti, spesso venduti a prezzi esorbitanti, sono presentati come soluzioni ideali per una generazione di freelance, nomadi digitali e giovani professionisti troppo impegnati a “vivere la vita” per preoccuparsi di questioni banali come lo spazio.
Gli autori degli annunci immobiliari dimostrano ottime doti di scrittura creativa: “Massima semplificazione degli spazi”, “concept abitativo ottimizzato”, “co-living funzionale e audace”.
È un nuovo vocabolario dell’abitare, che cerca di trasformare una limitazione in un’opportunità. Letti che diventano scrivanie, cucine che si chiudono come armadi, pareti modulari che promettono di moltiplicare ogni centimetro. Il minimalismo, da scelta estetica, si trasforma in necessità funzionale. E le aziende di design rispondono con soluzioni sempre più sofisticate: mobili polifunzionali, elettrodomestici compatti, storage invisibili. Tutto sembra progettato per farci credere che 20 metri quadri siano sufficienti, che lo spazio non sia un limite.
Forse questi spazi, più che un riparo, sono il simbolo di un modo di vivere super liquido in cui non possiamo sentirci davvero ‘a casa’.


Il microliving non è solo una questione di metri quadri. È una questione di come ci relazioniamo con lo spazio, con gli oggetti, con noi stessi. In una micro-casa, ogni decisione è una negoziazione: cosa tenere, cosa buttare, cosa nascondere. È un esercizio di controllo, ma anche di rinuncia. E mentre l’architettura e il design cercano di rendere questi spazi più vivibili, c’è il rischio che l’intimità stessa venga compressa, ridotta a una funzione.
Eppure, c’è qualcosa di profondamente umano nel tentativo di rendere abitabile l’inabitabile. Forse è proprio questa la contraddizione del microliving: mentre ci costringe a fare i conti con i nostri limiti, ci spinge anche a reinventare il modo in cui viviamo. In un mondo in cui lo spazio è un lusso, forse l’unico vero lusso è la capacità di immaginare qualcosa di diverso. Di trasformare un micro-appartamento non solo in una casa, ma in un rifugio, un luogo in cui ospitare non solo il nostro corpo, ma anche le nostre illusioni.
Ma cosa significa davvero vivere in questi spazi compressi? E, soprattutto, cosa significa per il nostro senso di intimità, di identità, di casa?
Walter Benjamin, in Parigi: capitale del diciannovesimo secolo, collegava l'importanza dell'interno domestico all'impatto emergente dell'industrializzazione sui lavoratori. L’.interno diventa cosciente nella misura in cui la nostra vita, il nostro lavoro e l'ambiente circostante cambiano. L’interno della vita domestica nasce dal bisogno di un posto proprio: un piccolo ma personale rifugio in un mondo turbolento soggetto a continui cambiamenti.



Muji - la nuova casa prefabbricata
Yō no Ie House, la soluzione prefabbricata di Muji che guarda alla terza e quarta età

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Benjamin sosteneva che nel posto di lavoro si ha a che fare con la vita “reale”, mentre all'interno dell'abitazione si ospitano illusioni. L'interno è un rifugio sicuro, un dominio familiare, in cui si può custodire la propria storia personale in un ambiente altrimenti freddo e minaccioso.
Ma c’.è spazio per le illusioni nelle micro-case? Questi spazi sembrano più adatti a ospitare l'ansia e la precarietà del nostro tempo che a offrire un vero rifugio. Forse, più che un riparo, sono il simbolo di un modo di vivere super liquido in cui non vogliamo - o non possiamo - sentirci davvero “a casa”. Un mondo in cui anche le nostre mura domestiche si fanno mobili e modulari, pronte a trasformarsi e ridursi al minimo, come le nostre vite.
Immagine di apertura: Bong Joon-ho, Parasite, 2019